"Così penserai a tutto questo mondo fugace:
Una stella all’alba, una bolla nella corrente; Un lampo di
luce in una nuvola estiva, Una lampada tremolante, un fantasma ed
un sogno”
Il Sutra del Diamante
La vita è un
sogno – il sogno di vivere. Esso scaturisce da uno sfondo non-duale,
ma è interpretato dualisticamente sulla base dei nostri preconcetti
sulla realtà. Questa interpretazione fa sorgere l’illusione – le cui
radici sono ostinatamente profonde – che c’è una persona, un
individuo o un’anima che sperimenta le cose. L’intera colorata gamma
delle esperienze nasce da questa illusione, benché a volte essa può
essere bellissima. A titolo di analogia può essere assimilata ad una
commedia, in cui tutte le parti sono simultaneamente interpretate
dallo stesso attore, che è però così assorbito nei personaggi e
negli eventi della commedia da identificarsi con essi. Il giocatore
si è perduto nel sogno dell’esistenza, di
maya, del
samsara.
A volte sembra che non sia gradito quanto
questa intuizione sia centrale a Thelema. Molti sembrano pensare che
Thelema sostiene la sovranità e l’assolutezza dell’individuo e della
“sua” Vera Volontà, in frasi come “Fai ciò che vuoi sarà tutta la
Legge” e “Ogni uomo e ogni donna è una stella”. Questo è un
malinteso che ignora lo sfondo di intuizione mistica da cui
scaturisce il Liber AL,
ed in cui è fondato. Per parecchi anni prima della ricezione del
Liber AL, ed in verità per parecchi anni dopo, Crowley fu un
Buddhista. Egli ha sperimentato profondamente l’intuizione
fondamentale del Buddhismo –
sunyavada, la realizzazione della vacuità o vuoto. Semplicemente, la
realtà o vacuità, vuoto di concettualizzazioni, vuoto di forma. La
forma è, di fatto, la “nostra” proiezione su questa vacuità; in
realtà, è la natura illusoria della forma che la rende docile alla
manipolazione del mago. Una conseguenza di
sunyavada è
anatma, la negazione
dell’esistenza di un’entità individuale.
Questa intuizione pervade la successiva
opera di Crowley, ed è fondamentale. In particolare, opere come il
Liber Aleph e Il Libro delle Menzogne sono saturate da ciò. Ancora
ed ancora il punto è prendere atto che l’esistenza individuale è
un’illusione, che questa illusione è il solo ostacolo
all’illuminazione o chiaro vedere. Quindi, Thelema ha forti affinità
con la Corrente che fiorisce con Nagarjuna e la
prainaparamita, e che culmina nella semplicità e nella chiarezza del
Ch’an.
Può sembrare paradossale che una dottrina di
apparente individualismo sia radicata – se qualcosa può esserlo – in
sunyavada. Tuttavia, è una questione di comprensione intuitiva. La
logica è essenzialmente e inerentemente auto-contraddittoria, e in
queste materie appellarsi ad essa è inutile. Lettori interessati
possono essere indirizzati alle opere dello pseudonimo Wei Wu Wei.
Questo componimento, è sull’andare oltre –
andare oltre a logica e dualità, e attraversare verso l’altra sponda
di comprensione diretta e intuitiva.
1: Advaita
Il Maestro mi disse: “Tutti i Buddha e tutti
gli esseri senzienti non sono altro che la Mente Una, oltre alla
quale niente esiste. Questa mente, che è senza inizio, è non-nata e
indistruttibile”. Registrazione Chun Chou, Insegnamento Zen di
Huang Po.
Advaita
è una parola sanscrita che significa non diviso, non duale, intero.
Come una filosofia o dottrina è usata per indicare che la realtà –
con cui si intende ogni cosa che è, come anche ogni cosa che non è –
è un insieme, un continuum. La divisione in individui ed oggetti è
apparente, non reale. Questa unica sostanza può convenientemente
essere riferita come “io”. Tutte le cose non sono semplicemente
impregnate con quell’io, ma sono effettivamente quell’io. Io è
l’Attore che recita tutti i ruoli simultaneamente – ma anche la
scena, il pubblico, le critiche cattive, le civette che strillano,
le lumache che strisciano, la luna brillante, e così via ad
infinitum. Io sono tutto. Tutto è io.
La realizzazione che è così – la
realizzazione intuitiva, piuttosto che la supposizione intellettuale
– viene come uno shock tremendo a “uno” per cui il dualismo è stato
per lungo tempo un articolo di fede. E ciò nonostante, una volta che
la si è intravista, tutto sembra così naturale. Effettivamente, il
vero mistero è questo: perché è stato preso per scontato che il
dualismo è un principio fondamentale, la realtà delle cose? Al fine
di osservare il mondo attorno a noi, e di intuire i suoi principi,
abbiamo tagliato ogni cosa in pezzi o unità – per un’osservazione
più pratica. Il problema è, comunque, che una volta che questo è
stato fatto, è stato dimenticato che questa “divisione” in sezioni
era puramente teorica, del tutto schematica, imposta
dall’osservatore sull’osservato. Invece, la divisione schematica
stessa è presa come reale! In questo modo, vediamo una moltitudine
di unità indipendenti ed isolate dove vi è realmente un continuum.
Un esempio di quanto può divenire perniciosa
questa visione è la concezione dell’uomo di sé stesso e del suo
posto nell’universo. Da un punto di vista dualistico ogni uomo è
realmente un’isola – per questo motivo, così è tutto il resto –
un’isolata unità di esistenza in un mare di non-esistenza. Di
conseguenza, una persona vede sé stessa come qualcosa simile ad un
pallone gonfiato, la pelle del corpo è il suo guscio. La pelle è la
linea di demarcazione tra il sé e il non-sé: uno è un’entità isolata
in una terra straniera. Molte persone prendono ulteriormente questa
visione, e identificano il sé come una parte o organo particolare
della ipotetica unità – spesso la mente, il cuore, lo spirito, o
l’anima – che in qualche modo abita il corpo, questo stesso ora come
poco più di un sofisticato pupazzo. Questo è davvero dualismo
impazzito!
Questa, la visione che l’uomo ha di “sé
stesso”, ha condotto ad una convinzione profondamente radicata che
l’uomo è in qualche modo separato dal resto dell’universo, che una
linea può essere tracciata tra l’uomo e la “natura”. Abbiamo l’idea
assurda che in qualche modo l’uomo ha, o può, “conquistare” la
natura, che l’universo, con tutte le sue ricchezze, è qui
specificatamente per il progresso dell’uomo; come un uovo, in attesa
di essere succhiato. Questa visione conduce a un comportamento
rapace e sfruttatore e alla distruzione sfrenata, che è culminata
nella società industrializzata del ventesimo secolo: l’uomo egoista
non solo è dedicato a violentare l’universo attorno a lui, ma anche
le altre persone sono un discreto gioco di sfruttamento e conquista.
Negli ultimi decenni la ricerca scientifica,
anche se basata sulla nozione dualistica di osservatore ed osservato
– dal quale l’osservatore è completamente distaccato, e così
indipendente dal suo oggetto di studio – sta portando alcune persone
a mettere in discussione la nozione dualistica. La fisica nucleare,
in particolare lo studio delle particelle sub-atomiche, è un
interessante indicatore. È emerso che non ci può essere realmente un
osservatore neutrale, poiché proprio la presenza dell’osservatore
modifica il comportamento dell’oggetto di studio – in questo caso,
le particelle sub-atomiche. Sarebbe davvero una cosa curiosa
supporre che la premessa di base del dualismo sia valida – che
l’osservatore sia un’entità indipendente, autosufficiente a cui
accada di osservare un’altra entità indipendente, autosufficiente.
Tuttavia, dal punto di vista dell’influenza, si può solo concludere
che dopo tutto l’osservatore e l’osservato non sono così
indipendenti l’uno dall’altro. È un’altra scoperta della ricerca nel
campo della fisica nucleare che indica il “meccanismo” per cui è
possibile tale interazione tra l’osservatore è l’osservato. Cioè,
fondamentalmente, che i fenomeni sono composti di miriadi di
particelle sub-atomiche interconnesse, e che hanno apparenza solida
solo quando guardati da una distanza relativa.
Nonostante un inseguimento vivace nel corso
dei secoli, un’unità indivisibile di materia – una sorta di basilare
blocco di costruzione – non è stata ancora scoperta. Ad un certo
momento si è sperato che l’atomo fosse questo blocco. Quando l’atomo
si è rivelato composto da una moltitudine di particelle
sub-atomiche, si è sentito che il blocco basilare poteva essere una
di quelle particelle. Tuttavia, dobbiamo ancora scoprire una
particella che non risulti essere composta di particelle sempre più
piccole. Ci possono essere tutte le ragioni per supporre che questo
processo continua indefinitamente, e che non c’è un blocco di
costruzione basilare. Ciò che possiamo postulare abbastanza
fiduciosamente, comunque, è che le particelle sembrano essere
energia bloccata in certi modelli. Quindi tutti i fenomeni possono
essere considerati come campi di energia. L’immagine è di un vasto
campo di energia, l’energia qua e là si blocca o si intreccia in
spirali o aree di maggiore densità e compattezza. L’intera scena è
fluida e caleidoscopica piuttosto che statica, con interscambio e
influenza reciproca tra spirali vicine o campi energetici
localizzati. Deve essere detto che questa è un’immagine speculativa;
tuttavia, il progresso della fisica nucleare questo secolo sembra
puntare in tale direzione. Se corretto, questo spiegherebbe molto.
Per esempio, la telepatia, la chiaroveggenza e simili sembrano
abbastanza naturali e comprensibili, dato quello che è per lo meno
un collegamento o una connessione tra fenomeni apparentemente
individuali.
Dunque, l’immagine che emerge è monista.
Ogni cosa è composta essenzialmente di una sostanza. La dualità, che
è basata sul principio degli opposti, è vista come un’illusione,
basata su concetti scorretti. Abbiamo imposto i nostri preconcetti
sull’universo, vedendo divisioni dove realmente non ce n’è nessuna.
Un’utile analogia è quella di un magnete. Concettualmente,
consideriamo un magnete come avente un polo nord e un polo sud. Ora,
i due poli esistono solo in relazione l’uno all’altro: essi non
possono esistere separati. Sono aree differenti dello stesso campo
magnetico. Se tagliamo la metà associata l polo sud, un “nuovo” polo
sud è immediatamente creato sulla prima metà, e allo stesso modo un
“nuovo” polo nord sulla seconda. Distinzioni come “polo nord” e
“polo sud” sono solo concettuali. Sono imposte dal nostro
intelletto, proiettate su ciò che osserviamo.
Questa analogia dei poli magnetici è
un’illustrazione abbastanza ovvia di un importante principio.
Abbiamo visto che noi imponiamo la dualità di poli nord e sud dove
di fatto non ne esiste nessuna: abbiamo fatto una distinzione dove
non ce n’è nessuna. Questo può essere esteso alla nostra percezione
dell’universo intorno a noi. Categorizziamo un continuum in oggetti
separati sulla base di preconcetti, e vediamo molteplicità dove c’è
unità. Il probabile meccanismo per questo è qualche tipo di
ipotetico riconoscimento da parte dell’intelletto, sulla base di un
minimum di dati sensoriali. In altre parole, le percezioni
sensoriali sono affrontate nei termini di classificazioni
concettuali esistenti, nude ossa rimpolpate dall’immaginazione. C’è
una tendenza a guardare allo sconosciuto nei termini del conosciuto
o familiare. Un esempio mi viene in mente dalla mia esperienza,
quando ho vissuto per la prima volta in un paese straniero. Di
fronte a quasi ogni straniero ero solito “vedere” le più
impressionanti somiglianze a conoscenti in Inghilterra. In
retrospettiva l’ho riconosciuto come soddisfazione del desiderio, il
bisogno di vedere il nuovo in termini di vecchio e familiare. Lo
stesso principio sottende, con ogni probabilità, la nostra
percezione dell’universo. Un uomo ha una percezione; sembra un po’
come quello che egli ha appreso è un albero; e quindi, egli ora
percepisce un albero. In realtà, naturalmente, “un albero” è
un’astrazione, una generalizzazione molto ampia. Non ci sono due
fasci di percezioni che chiamiamo albero che sono gli stessi. Non ci
sono, quindi, cose come alberi. “Albero” è solo un nome,
un’astrazione o concetto da parte nostra. Con tali mezzi i nostri
intelletti hanno imposto un'uniformità e una struttura dove in
realtà non ne esiste nessuna.
Siamo giunti in qualche modo, in quanto
abbiamo ridotto il presunto dualismo alla Sostanza Una, il Tutto.
Questo, comunque, non è abbastanza: un
ulteriore raffinamento è necessario. Abbiamo usato il termine “uno”
o monismo solo in contrasto a “due” o dualismo. Questa è,
naturalmente, una dualità – e quindi, come abbiamo visto, puramente
concettuale. Poiché non c’è moltitudine, allora neppure c’è il
contrasto di “uno”. Il fatto è, che l’universo non è più Uno di Due.
Possiamo continuare all’infinito con questo
processo di risolvere apparentemente una dualità, solo per scoprire
che la presunta risoluzione o abolizione porta essa stessa ad
un’altra dualità. La ragione di ciò è che il nostro intelletto, la
nostra ragione, è saldamente incorporato nel concetto di dualismo.
Ogni pensiero nasce da concetti dualistici ed è quindi inerentemente
non vero, data la nostra conclusione che il dualismo è presunto
piuttosto che effettivo. Semplicemente, ogni cosa che possiamo dire
riguardo l’universo è essenzialmente non vera, una menzogna! Sembra
che ci troviamo di fronte a un muro di mattoni. Se i nostri processi
intellettuali sono inerentemente dualistici, se qualunque cosa
possiamo dire riguardo l’universo è non vera, allora non dovremmo
rinunciare alla lotta, slegare le nostre reni, e disperarci?
A questo punto è istruttivo confrontare il
quadro a cui siamo arrivati con tradizioni come l’Advaita Vedanta,
il Taoismo, il Buddhismo Mahayana e simili. Per queste tradizioni è
assiomatico che l’universo è realmente oltre la descrizione – perché
il linguaggio è basato su concetti dualistici, e quindi incapace di
dare un’espressione adeguata a qualsiasi cosa che non sia essa
stessa dualistica. Questo non significa condannare il linguaggio
come errato o inadeguato; è uno strumento molto utile, ma ha i suoi
limiti. In generale, non tentiamo la chirurgia cerebrale con un
pelapatate! Il massimo che si possa sperare è che il linguaggio sia
usato come un indicatore. In altre parole, sebbene la realtà è
non-duale, nondimeno, in primo luogo, deve essere usata una
struttura del linguaggio apparentemente dualistica come stadio
iniziale della sua trascendenza. Dichiaratamente, questa prima fase
comporta il sostituire un concetto con un altro; e poiché tutti i
concetti sono falsi questo può sembrare distintamente strano, per
non dire futile. Tuttavia, evolvendo una catena di immagini che
sembra condurre in una certa direzione, la speranza è che
l’intuizione comprenda ciò che non può essere espresso nel
linguaggio.
Questo processo, comunque, può essere preso
solo fino a qui, ed è limitato. L’idea non è indicare qualche
“Verità” non-duale, per quanto vagamente, ma piuttosto dimostrare la
futilità e la vacuità del dualismo. Proprio come un polo nord e un
polo sud magnetici esistono solo in relazione l’uno all’altro, e
non come cose oggettive o
per sé stessi, così è con tutti i così detti opposti o dualità. Per
esempio, il nero esiste solo in contrasto al bianco. Chiamiamo
qualcosa nero solo per distinguerlo da qualcos’altro che abbiamo
designato bianco – o, nel contesto di questo esempio, non-nero. Se
avessimo un mondo totalmente nero, non ci sarebbero contrasti e
quindi nessun bisogno del non-nero o bianco. Nello stesso modo,
concetti più ovviamente astratti sono mutualmente dipendenti;
abbiamo bisogno del “male”, per esempio, per definire i parametri di
“bene”, e viceversa.
Se non è realizzato che tutti i così detto
opposti o dualità sono relativi piuttosto che reali, concettuali
piuttosto che effettivi, allora “la catena di immagini” sarà di
fatto circolare. Questo perché, non importa quanto sottilmente il
linguaggio sia stirato, esso rimane dualista – e il dualismo sottile
è solo cattivo come la varietà più ordinaria – di più, anzi, poiché
il praticante pensa che sta arrivando da qualche parte. Un buon
esempio è il processo di contrastare la tesi con l’antitesi, e poi
ostentare con orgoglio la sintesi emergente. Il problema è che la
sintesi è figlia dei suoi genitori; e quindi, rimanendo dualistica
in natura, stabilisce la propria polarità. Prendiamo, per esempio,
il linguaggio metafisico di Noumenon e Phenomenon. Il primo può
essere visto come soggetto, e il secondo il suo oggetto. Il Noumenon
può essere visto come la sintesi di una dualità: il Phenomenon è la
tesi originale, mentre il negativo di questo, il niente o
non-phenomenon, è l’antitesi. Tuttavia, il Noumenon rimane un
concetto dualistico, avendo significato in relazione al Phenomenon e
non-phenomenon. Il Noumenon può essere reso il più sottilmente
possibile, ma esso rimane
qualcosa. Immediatamente, è evocato il suo opposto o relativo
niente.Non possiamo mai superare la dualità per mezzo di questo metodo,
semplicemente perché per analogia stiamo continuamente dividendo
qualcosa, e restando con una frazione di qualcosa, che deve sempre
essere qualcosa. Siamo di
fronte ad un’infinita regressione di generi.
Questo può essere escluso come gioco di
prestigio semantico. Ciò comunque dimostra che non possiamo usare la
dualità e qualsiasi cosa che può essere espressa linguisticamente è
per definizione dualistica al fine di trascendere da sola la
dualità. Può possibilmente essere un aiuto, ma in tal caso
suggerisce piuttosto che esprimere. Lasciata a sé stessa, la logica
tesserà una rete sempre più stretta e sempre più densa che, per il
suo stesso slancio, strangolerà l'aspirante! Di gran lunga meglio
semplicemente tagliare tutto questo; ciò di cui abbiamo bisogno è la
spada di Prajna, o intuizione diretta nella natura della realtà.
Prajna
è una parola spesso tradotta come “Saggezza”. Questa traduzione è
tuttavia inadeguata, non trasmettendo il senso di intuizione
diretta, immediata. L’intuizione diretta tende a sorgere
spontaneamente, spesso quando il pensiero dualistico è esausto ed è
stato raggiunto l’inevitabile muro di mattoni. È allora, quando il
pensiero non può andare oltre e si arrende, che questa diretta
consapevolezza può sorgere. Hui Neng, secondo la tradizione, ebbe la
sua esperienza sentendo qualcuno leggere il
Vajracchedika o
Sutra del Diamante, una
breve opera della classe
prajnaparamita. Leggendo vari aneddoti dalla storia del Ch’an e
del Buddhismo Zen, di fronte a queste insorgenze spontanee di
intuizione diretta si è all’inizio piuttosto perplessi. Esse
sembrano essere scatenate da osservazioni, frasi o azioni che
appaiono piuttosto minori o anche senza significato. Tuttavia,
quando vengono gettate in una mente pronta per questo, si dimostrano
un catalizzatore, la "ultima goccia".
Può
quindi essere ipotizzato, che
Prajna sorge quando la mente non è più assorta nell’inutile
chiacchera di rincorrere la propria coda (o
storia!), tentando di
raggiungere la realtà per mezzo di processi di pensiero logico.
Quando questa scimmia è calmata, portata ad arrestarsi, allora la
reale consapevolezza non è più bloccata. Non più distratto, il
vedere è diretto e reale. La conclusione è inevitabilmente che
questo Prajna o
intuizione diretta c’è permanentemente, oscurato solo dalle
macchinazioni della mente. Di fatto questo
Prajna può essere
identificato con l’Illuminazione, il Satori, la Liberazione, e i
vari altri eufemismi per questo stato di diretta consapevolezza. Tra
gli studiosi, questa sarebbe vista forse come una dichiarazione
controversa: alcuni vedono il
Prajna solo come una facoltà, a disposizione dell’aspirante.
Tuttavia, gli studiosi sono generalmente persone che amano
categorizzare e schematizzare. La dualità è stata lasciata indietro,
e con essa queste categorie di esperienza. Come Wei Wu Wei dice, “Prajna
è l’atto dell’azione – pura esperienza, dinamica e concreta;
un’esperienza, non un concetto.” (Dita che puntano verso la
Luna). Prajna è
l’esperienza dell’esperienza, la sua vera essenza. Dove
Prajna è, non c’è più alcuna distinzione tra l’esperienza, lo
sperimentare e lo sperimentatore. C’è solo una consapevolezza,
indivisa, senza soggetto o oggetto. Prajna è quindi la realtà stessa
– la realtà spogliata dei concetti. Un diretto vedere-dentro sarebbe
un termine utile, fino a che si ricorda che non c’è nessuno che
guarda e niente da essere visto.
In realtà, non c’è niente che possiamo dire
o fare di vero riguardo l’universo. Non possiamo descriverlo o
concepirlo, perché questo sarebbe basato su concetti; e tutti i
concetti sono, come abbiamo visto, non veri. L’universo è senza
divisioni, né uno né molti, né grande né piccolo. È espresso
ugualmente ed affatto nel silenzio come nel rumore, nel rayon come
nel cotone, nella pienezza come nel vuoto. Non possiamo neppure dire
che esso è, poiché questo
evoca immediatamente la relatività di
non è, e tutte queste
dualità sono inerentemente false.
Meglio non dire niente? Proprio come l’umore
ti porta, senza dubbio!
Ammettendo che qualunque cosa può essere
detta della realtà è falsa – inclusa qualunque cosa può essere detta
in questo componimento – una o due idee sulla natura di
Prajna possono ancora
essere utili. Abbiamo già visto che
Prajna è intuizione diretta, e che questa sorge in assenza di
pensiero concettuale e discorsivo. La realtà può forse essere meglio
espressa dalla parola
spontaneità. Con spontaneità intendiamo comportamento naturale.
La spontaneità è la realtà che esprime sé stessa. È cieca, non
pensante, irriflessiva, abbandonata e naturale. In termini Thelemici
è la Vera Volontà. Effettivamente, il comportamento non può mai
essere altro che naturale. Siamo sempre spontanei, anche quando
pensiamo di non esserlo. Nient'altro potrebbe accadere, a parte ciò
che accade realmente. Il problema viene quando pensiamo che “le cose
accadono” a causa dei nostri sforzi individuali. È a causa di questa
illusione che soffriamo, perché ci preoccupiamo che "le cose"
potrebbero essere accadute diversamente se avessimo agito in un modo
diverso. Ma “le cose” non accadono perché “noi” facciamo qualcosa, e
“le cose” non potrebbero mai accadere diversamente da come sono
accadute. Questo non è per sostenere la predestinazione contro il
libero arbitrio; che è semplicemente un’altra dualità, falsa quanto
ogni altra. Si può dire semplicemente che “le cose” sono come sono,
e questo è.
Siamo giunti allo stadio in cui possiamo
riconoscere che, in termini dualistici - e l'espressione linguistica
non può mai essere qualcos'altro – il punto più vicino a cui
possiamo arrivare per descrivere la realtà è semplicemente dire che
essa è. Tuttavia,
dobbiamo tenere in mente che
essa non è un oggetto, poiché noi stessi siamo inclusi in
essa. Quindi, il Prajna o
intuizione diretta che sorge è una spontanea esperienza di
essa – o piuttosto,una reversione
dall’illusione alla realtà.
2: Dualità
Come abbiamo visto nella sezione precedente,
la realtà è non-duale, ma la nostra percezione di essa è fermamente
dualistica. Tendiamo a vedere le cose in termini di due poli
contrastanti od opposti. Per esempio, ci sono i poli di buono e
cattivo, caldo è freddo, oscurità e luce. Le cose o gli eventi sono
infilate in vari punti tra i due poli; raramente un evento è visto
come completamente buono o cattivo, ma piuttosto è abitualmente
graduato - abbastanza buono, non così male, e così via. Sembra
naturale speculare sul perché è sorta una tale disparità tra la
realtà e la nostra percezione di essa. Se la realtà è non-duale,
perché non la possiamo vedere in quel modo? Se il mondo è privo di
particolarizzazioni, se non ci sono entità ovunque da essere
trovate, perché a noi dovrebbe apparire come diverso? Perché la
nostra percezione non dovrebbe essere diretta?
Certamente, noi comunichiamo in un
linguaggio che è strutturato dualisticamente. Grammaticalmente
abbiamo soggetto ed oggetto come il fondamento della struttura, da
quello molto scaturisce. È vero che non percepiamo in termini di
linguaggio, tuttavia, prendiamo il concetto di soggetto ed oggetto
così scontato, che interpretiamo automaticamente ogni cosa in quei
termini. Ciò che abbiamo qui è un condizionamento che è
profondamente radicato, alla luce del quale è interpretata la
percezione. “Raw” o impressioni sensoriali non variegate sono
ordinate in modelli o oggetti, forse sulla base di ciò che ci si
aspetta di percepire.
Comunque, questo condizionamento non può essere sorto puramente e
semplicemente da una struttura dualistica del linguaggio. È più
verosimile che la struttura del linguaggio si sia evoluta da
un’interpretazione dualistica della realtà, sebbene naturalmente
l’una rinforza l’altra.
Sfortunatamente, non possiamo mai sapere
come è sorto questo modo viziato di interpretare la realtà, sebbene
sia indubbiamente interessante da speculare. C'è sempre e solo l’adesso e la situazione come è, e riflettere su ciò che è accaduto
nel supposto passato è inutile. Viene prestata molta attenzione alla
"questione" del tempo e l'esistenza stessa del tempo è data per
scontata. Ciò nonostante, il tempo è un chiaro esempio di come un
concetto è imposto sulla realtà, e poi accettato come parte e pezzo
di quella realtà. Noi concepiamo il tempo come un qualche genere di
corrente in movimento, che porta inesorabilmente le cose avanti.
Parliamo di passato, presente e futuro. Ciò nonostante, riflettendo,
il tempo è notevolmente difficile da trovare. Il presente è l’unione
tra il passato e il futuro; ma non possiamo mai percepirlo, a causa
del ritardo apparente tra la percezione dei sensi e la registrazione
di quella percezione da parte del cervello. Per definizione, il
passato non è mai qui e non può mai essere sperimentato, poiché è
finito da tempo. Il futuro deve ancora arrivare. Quindi passato e
futuro sono costrutti concettuali o astrazioni e, a causa del
ritardo nella registrazione della percezione, non possiamo mai
conoscere il presente. Quindi, cosa percepiamo? O meglio, che ora è
adesso, per favore? Potremmo provare a parlare di un presente
percettivo; ma in assenza di un passato e di un futuro non c'è
certamente bisogno del concetto del presente.
Dopo un’ulteriore analisi è evidente che il
tempo è usato come un modo per misurare gli eventi e il movimento,
ed è quindi reale solo come centimetri o chilogrammi, pollici o
pietra (ndt, unità di peso UK). Il "ticchettio dell'orologio" è
proprio questo: una molla muove un indicatore su un quadrante e
diciamo che sono trascorsi cinque minuti. Finché il tempo è ritenuto
solo come un concetto, un modo utile di misurazione, allora non c’è
problema. Tuttavia, quando supponiamo che il tempo abbia
un’esistenza oggettiva, e sia qualche genere di corrente con una
velocità di movimento fissa o variabile, allora c’è illusione.
Noi imponiamo le nostre idee e costrutti
sulla realtà in vari altri modi. Un esempio è la suddivisione
soggetto/oggetto, per cui io sono il soggetto e tutto il resto è
l’oggetto. In modo simile, c’è la suddivisione tra bene e male, la
suddivisione tra uomo e Dio – infatti, ogni dualità rappresenta la
suddivisione della realtà. Sembra verosimile che questa divisione
del non-duale nel duale fu fatta in primo luogo come un metodo
conveniente di osservare la realtà. Parlando in generale,
l’investigazione scientifica progredisce sulla base dell’analisi.
Qualsiasi cosa deve essere studiata è suddivisa in pezzi convenienti
all’attenzione individuale, sperando che con un successivo processo
di sintesi il tutto possa essere compreso. Quindi, la
diversificazione di un tutto non diversificato è un conveniente
metodo di misura e classificazione, fintanto che sia ricordato che
questa divisione è puramente schematica. Ma ciò che è accaduto
precisamente è che la frammentazione della realtà è arrivata ad
essere vista come reale piuttosto che semplicemente concettuale.
Questo è ora ampiamente accettato, almeno in Occidente, e perpetuato
da un linguaggio dualistico che rinforza questa illusione. Sembra
appena necessario aggiungere questo, poiché la logica è fondata sul
dualismo come una realtà, nel qual caso le argomentazioni contro la
dualità sembreranno francamente illogiche.
Allora, se la
dualità sembra così logica, da dove è sorta l’idea contraria? Perché
è così che, con il dado gettato fermamente in favore del dualismo,
le asserzioni di una realtà non-duale rimangono vive e vegete?
Per
prima cosa, come abbiamo notato nella sezione precedente, molte
delle scoperte dei fisici negli ultimi cento anni sono state così
sorprendenti – dal punto di vista del dualismo – che hanno indicato
nella direzione dell’advaita.
Ma, soprattutto, tali scoperte non sono isolate. Ci sono sempre
state tradizioni mistiche e religiose che hanno dichiarato che la
realtà è non-duale, una realtà che potrebbe essere sperimentata
direttamente ma non espressa in linguaggio. Esempi sono il Taosimo,
il Buddhismo Mahayana, l’Advaita Vedanta, e così via. Negli ultimi
anni molti paralleli stati fatti tra queste "scoperte" della fisica
nucleare e la visione della realtà come sposata da tradizioni non
duali. C’è un’esplorazione di questo tema di Fritjof Capra, lui
stesso scienziato, nel suo libro
Il Tao della Fisica, e in
effetti ci sono molti altri libri di questo tipo. Si può immaginare
che, per uno per il quale il dualismo è una visione della realtà
profondamente radicata, le scoperte che sembrano mettere in dubbio
tale visione vengono come uno grave shock. Tuttavia, uno shock di
questa magnitudine è necessario, sembra, mettere in discussione le
nostre care idee e i nostri preconcetti. È allora che il vedere
diretto, o penetrazione nella natura della realtà, può sorgere
spontaneamente.
Senza questa intuizione diretta, questa
separazione concettuale tra il soggetto e l’oggetto rimane. Poiché
questa condizione è incastrata nella mente, essa è proiettata nella
realtà. In altre parole, noi costruiamo un universo illusorio “là
fuori”. Inoltre, non solo costruiamo una separazione tra “corpo” e
“mente”, come se qualche tipo di mente sia l’orgoglioso proprietario
di un corpo, simile a un vestito, o una macchina. In qualche modo
questa separazione mente/corpo è relativamente facile da
neutralizzare, e le pratiche dell’hata yoga eseguite in modo
appropriato rendono potentemente consapevoli della mutua
interdipendenza e dell’unità davvero essenziale di questi aspetti o
categorie. Una volta che questo è stato sperimentato, potremmo anche
iniziare a interrogarci sulla dualità di "me" e "non me" – e chissà
dove e se questa linea di ricerca potrebbe finire?
In assenza
della esperienza diretta della non-dualità, tendiamo ad
indentificarci con un lato o l’altro della polarità
concettualizzata. Il processo di dualità può essere portato avanti
ad infinitem, come notato precedentemente, e la mente è comunemente
concepita come divisa in pensiero e sensazione o emozione. Questa è
di fatto una divisione profonda e diffusa della mente separata, e
tendiamo a identificarci prevalentemente con l'uno o con l'altro. La
divisione attraversa l'intera gamma dell'attività umana.
Generalmente, quelli che si identificano con il "sentire" tendono ad
essere maggiormente attratti verso le Arti, mentre quelli che si
identificano con il "pensiero" tendono più verso le Scienze e
l'attività intellettuale.
E, in
tutti ma pochi individui, è il caso che "... e mai i due si
incontreranno"!
Se si dovesse accettare il dualismo come un
fatto, sembrerebbe comunque ragionevole concludere che entrambi i
poli siano necessari per raggiungere un equilibrio armonioso.
Tuttavia, sembra che la mente separata senta il bisogno di
identificarsi con un polo o l'altro, e così è che la maggior parte
delle persone tende a concentrarsi sulle Arti o sulle Scienze ad
esclusione virtuale dell'altro. Questo è attivamente incoraggiato
nel nostro sistema educativo, in cui i bambini spesso sono costretti
a fare una scelta tra materie artistiche e scientifiche. Questo
tende inevitabilmente a produrre persone sbilanciate. Pochi davvero
sono gli individui che vedono la rilevanza, e davvero il bisogno, di
entrambi gli aspetti – ancora meno il numero di chi realmente
raggiunge quell’equilibrio. Il risultato è un abisso di comprensione
tra gli specialisti di entrambe le parti.
Naturalmente,
parte della ragione di questa divergenza è la massa di materiale che
è stata accumulata nella via della conoscenza, le montagne di dati
che devono essere digeriti prima ancora di raggiungere una
comprensione superficiale di un'area specifica, diciamo, di
biochimica.
I
particolari delle varie divisioni o rami di conoscenza sono ora così
ampi che diventa sempre più difficile ottenere una sorta di visione
panoramica.
Che una tale
panoramica sia desiderabile sembra ovvio; è facile arrivare così
vicino e assorbiti nei dettagli che la distesa più ampia e gli
schemi si perdono, e noi non possiamo vedere il legno per gli alberi
(ndt non essere in grado di
comprendere chiaramente una situazione per esserne troppo coinvolti).
Tuttavia, nonostante questa riserva sull'enorme compito necessario
solo per la specializzazione, è più probabile che la vera ragione
della divisione Arte/Scienza sia l'identificazione con un polo o un
altro.
Molto
prima che arrivi il momento della specializzazione, un bambino è
gravitato verso un polo o l'altro, immerso in uno dei flussi
apparentemente divergenti.
Sarebbe
interessante sapere a che livello è responsabile il condizionamento
rispetto ai fattori intrinseci; certamente, entrambi devono fare la
loro parte.
Lo stesso tipo
di divisione si manifesta in altri campi e su altri livelli.
Tuttavia, la base è un'apparente divisione tra sentimento e
conoscenza, talvolta caratterizzati più o meno come intuizione e
logica, emozione e pensiero, astratto e concreto, e, naturalmente,
Arte e Scienza.
Va
tenuto presente che queste divisioni sono alquanto arbitrarie e le
distinzioni tra i due poli sono quindi piuttosto sfocate.
Tuttavia, le connessioni ci sono.
Un buon
esempio è la scissione tra intuizione e logica - come potremmo
aspettarci dalle nostre deliberazioni fino ad ora, una divisione che
è più apparente che reale. Quelli in cui uno predomina sembrano
diffidare di quelli che hanno l'inclinazione opposta.
L'intuizione sembra funzionare sulla base di un sottile rilevamento
di una cosa o di una situazione nel suo complesso.
Mentre
il pensiero logico tende ad affrontare un problema mediante
l'analisi, l'intuizione tenta un approccio più olistico.
È
interessante notare che a volte l'intuizione viene definita "il
sesto senso" - cioè qualcosa oltre i cinque sensi comunemente
accettati.
La
chiaroveggenza sembrerebbe essere una funzione di un'intuizione ben
sviluppata. Le persone che fanno grande affidamento sull'efficacia
del pensiero logico o del ragionamento deduttivo di solito hanno una
grande sfiducia nell'intuizione; poiché non riescono a vedere una
catena di ragionamenti logici, la considerano una congettura o anche
una pura fantasia.
Tuttavia, la riflessione di un momento mostra che entrambi hanno il
loro posto e si completano a vicenda.
La
scoperta scientifica sarebbe dolorosamente lenta se il progresso
fosse basato da solo sulla logica o sul ragionamento analitico.
Ci sono
così tante opzioni da coprire, così tante possibilità da
considerare, tanti dati potenziali da elaborare, che in effetti
l'investigatore deve "azzardare un'ipotesi" - cioè, fidarsi
dell'istinto - su quale area o direzione di ricerca sarebbe più
fruttuoso e lavorare in quella direzione.
Il
fatto è che l'intuizione e la logica non sono solo complementari e
hanno bisogno l'uno dell'altro per funzionare al meglio, ma sono la
stessa cosa che funziona, in modi diversi.
Possiamo
rintracciare questo ad un ulteriore livello, la dualità di
introversione ed estroversione, e ancora una volta ciò corrisponde
ampiamente alla scissione tra intuizione e logica.
Gli
introversi dovrebbero essere più in contatto con i propri
"sentimenti", gli estroversi più in sintonia con il "mondo esterno".
Gli
introversi tendono ad essere introspettivi, preferiscono le Arti,
tendono a lavorare più per intuizione. Per comparazione, gli
estroversi sono più rivolti all’esterno, attratti più dalle Scienze
e preferiscono il ragionamento logico.
L'introverso si affaccia verso l'interno, l'estroverso verso
l'esterno. È necessario, naturalmente, sottolineare che si tratta
solo di tipi puri. In pratica, le persone tendono ad essere una
fusione dei due in una certa misura.
Siamo ora in
una fase delle nostre indagini in cui abbiamo bisogno di fare un
bilancio.
Queste
categorie che stiamo creando - Arte e Scienza, intuizione e logica,
introversione ed estroversione, dentro e fuori - hanno un
significato solo dal punto di vista del dualismo, o di due poli
opposti.
Tuttavia, è stato precedentemente sostenuto che la realtà è non
duale. Questi poli sono in effetti aspetti della stessa cosa. La
divisione che stiamo studiando è solo concettuale e non reale.
Tuttavia, a causa della diffusa accettazione del dualismo, questa
visione della realtà come divisa tra due poli contrapposti è
ampiamente accettata. Essa conduce a persone che tendono a
concentrarsi su un polo o sull'altro, ad esclusione della sua
controparte, e quindi a perpetuare e persino ad aggravare la
predisposizione che hanno. Chiaramente la divisione dualista, anche
se concettuale in origine, si perpetua attraverso il condizionamento
o preconcetto.
L'intera gamma di esperienza umana dipende
da questa divisione, una divisione che è illusoria. Non importa cosa
possa essere la natura della realtà, i nostri preconcetti agiscono
come una sorta di camicia di forza, in cui la percezione e
l'esperienza sono costrette o distorte in questa forma
preconcettuale. Quindi un'interpretazione dualista della realtà è
sostituita per la realtà stessa, e si auto-perpetua. A un livello
fondamentale questa scissione può essere ulteriormente illustrata
considerando Magia e Misticismo. Anche se essi stessi sono una
dualità, almeno indicano la strada verso la dissoluzione della
nostra abitudine preconcettuale di ordinare e organizzare la
percezione.
3: Verso la Reintegrazione
In termini di mente separata e della sua
proiezione sulla realtà, la Magia è generalmente correlata alla
conoscenza o alla logica, all'estroversione e alla Scienza.Allo stesso modo, il Misticismo può essere visto come
collegato al sentimento, all'intuizione, all'introversione e alle
Arti. Queste sono ovviamente correlazioni approssimative piuttosto
che precise. Una distinzione semplice ed approssimativa tra la Magia
e il Misticismo è che mentre il mago manipola l’apparenza, il
mistico cerca di dissolverla. Il mago fondamentalmente gioca con
l'illusione - infatti, la parola "magia" deriva dalla stessa radice
di maya, che significa
illusione o manifestazione. Generalmente egli cerca di penetrare i
suoi misteri non tanto per cercare la "realtà" quanto per plasmarla
nel modello che sceglie. La magia tende a consolidare l'ego, il
senso dell'identità individuale: il mago sembra manipolare e
produrre effetti, e questo conduce a un senso di volontà, creatività
e potere. Portato agli estremi, questo può portare alla megalomania
e ad indentificare sé stessi con Dio. Il mistico cerca, al
contrario, di strappare o dissolvere il velo dell'illusione nella
ricerca di qualcosa che è concepito come al di là. Piuttosto che
proiettarsi verso l'esterno sulla forma, cerca di rivolgere la
propria mente verso l'interno nel tentativo di localizzare il
percettore. Cerca di dissolvere il senso dell'identità individuale,
di ritirarsi dall'idea di ego.
Accade
raramente che una persona sia interamente un mago o un mistico, ma
di solito l'uno o l'altro predomina. Crowley, per esempio, si
considerava molto più un mistico che un mago. Tuttavia, esaminiamo
prima i tipi puri. Ci aspetteremmo che prima o poi il mago, dopo
aver giocato con la manifestazione quasi come un bambino gioca con
la plastilina, inizi a sospettare che la cosa
sia davvero illusoria, e
inizi a chiedersi cosa diavolo stia succedendo.
In
effetti, si potrebbe sostenere che la comprensione della natura di
maya attraverso la sua
manipolazione sia lo scopo principale della Magia. Comunque, la
maggior parte dei maghi sembra giocare abbastanza felicemente anno
dopo anno senza il sospetto di una simile intuizione che sollevi la
sua testa minacciosa per rovinare il divertimento. Naturalmente,
come è già stato suggerito, la Magia tende a rinforzare l’ego, a
potenziare l’identificazione con il concetto di un sé individuale.
Il mago, attraverso i suoi giochi di prestigio, può facilmente
convincersi di esercitare una specie di controllo volontario sugli
eventi.
L'auto-esaltazione è una conseguenza di ciò; in ultima analisi, non
importa quali pepite di oscura conoscenza siano estratte, non
importa quali potenti trasformazioni della coscienza siano vissute,
il concetto di un sé individuale che fa tutte queste cose rimane.
Ci sono
pericoli e seduzioni anche per il mistico puro. Questa via è molto
sottile, e il praticante deve "suonarla a orecchio".
La
difficoltà più ovvia è, naturalmente: come si può "dissolvere
l'ego"?
Dopo
tutto, la frase implica una sorta di attività volitiva da parte del
sé apparente o ego – esso cerca di dissolvere sé stesso – e tale
ambizione si limita a rafforzare proprio ciò che, si spera, deve
essere negato!
A parte
questo inconveniente, è inevitabile che il mistico si disimpegni da
maya e dai suoi imbrogli
almeno in una certa misura.
Se
questo non viene fatto a poco a poco, anziché in fretta, sottilmente
anziché in modo brusco, come la caduta delle foglie autunnali
anziché come la rapida defogliazione, allora la conseguente
"ricaduta" ambientale o reazione rischia di essere dirompente e
insistente.
Ci sono buone
ragioni per questo. Non è impresa del mistico sfuggire al samsara,
qualunque cosa ciò possa significare, perché chi è lì per fuggire da
cosa? - ma piuttosto per risvegliarsi alla realtà o – oso dicendolo
- alla coscienza cosmica.
In
ultima analisi, il samsara
non è diverso dal nirvana.
Dire che la manifestazione è un'illusione dietro la quale si
maschera la realtà è concettualizzare, stabilire una dualità ed è
errato.
Un
disimpegno troppo rapido di solito significa che il mistico non
riesce a vedere attraverso la falsità del dualismo il non-duale o l'advaita.
Egli pensa di fare progressi tentando di sfuggire a
maya piuttosto che vederla per quello che è -
maya, e non più reale o irreale di qualsiasi altra cosa.
Magia e
Misticismo, allora, costituiscono una dualità, forse la dualità
basilare. Tuttavia, tutte le dualità sono puramente concettuali e
quindi in definitiva false. Viste come tendenze predominanti in un
individuo, tuttavia, possono essere abbastanza utili. Dovrebbe
essere evidente che una sorta di fusione tra i due è necessaria, ed
è comunque il caso. La Magia senza Misticismo diventa un’inutile e
infinita manipolazione di maya, masturbatoria e narcisistica. Il
Misticismo senza Magia, tuttavia, può essere semplicemente un
rifugio da maya che è
anche inutile e può portare solo alla quiete della tomba.
Come
tipi puri, il mago saltella nel
samsara mentre il mistico
dorme nel nirvana.
Tuttavia, samsara e
nirvana sono gli stessi -
assolutamente e completamente lo stesso. E la percezione differisce
solo perché è interpretata - o meglio, mal interpretata - in termini
di un quadro concettuale preconcetto.
Ciò che è
necessario è forse una sorta di Via di Mezzo, che prenda sia dalla
Magia che dal Misticismo, pur riconoscendo che, come concetti, sono
distinti. Un tale sentieri eclettico potrebbe forse essere descritto
come “Illuminazione Comparata”. L'aspirante si sentirebbe libero di
considerare tutti i sistemi e le tradizioni il più possibile grano
per il suo mulino, ma si spera che si prenda la briga di capire
qualcosa prima di ingerirli. Il punto di partenza di ogni aspirante
è un individuo che si sente disilluso dalle cose come sembrano, e
che sospetta che la realtà sia qualcosa di diverso da ciò che
comunemente passa per essa.
Se ha
qualche discriminazione, studierà vari sistemi e filosofie prima di
decidere cosa vuole fare; se non ha discriminazioni, ovviamente è in
grado di inghiottire il primo boccone che si presenta.
L'aspirante spera, come risultato dei suoi studi e delle sue
pratiche, di "scoprire la realtà".
Una tale
metodologia, un percorso eclettico, potrebbe essere definita Yoga
Occidentale. Questo può sembrare un termine fuorviante, poiché lo
yoga è spesso associato ai metodi orientali.
Tuttavia, in questo caso intendiamo un mezzo per l'illuminazione
adatto agli Occidentali. Tale yoga partirà dal punto di vista di un
aspirante che deve superare un dualismo concettuale per raggiungere
una realtà non duale.
A rigor
di termini, questo è falso: non c'è infatti nulla da superare, se
non l'idea che c'è
qualcosa da superare!
Tuttavia, per quanto riguarda l'aspirante, invischiato com'è nella
sua visione condizionata e dualistica, questo è qualcosa che deve,
in un modo o nell'altro, essere superato.
All'inizio della sua ricerca, ovviamente, avrà poca idea di ciò che
sta cercando e tenderà a giocherellare a volte con questo, a volte
con quello.
Molti
di questi ricercatori non arrivano mai ad avere un'idea di una
realtà non duale. Tuttavia, quelli che lo fanno affrontano un
problema apparentemente intrattabile nel raggiungere quella realtà
non duale.
Ritorniamo per
un momento a quel termine che abbiamo usato,
yoga. La radice di questa
parola Sanscrita dà origine alla parola inglese "yoke",
unire. Yoga può quindi
essere tradotto come unire. Tuttavia, questo sembra dire poco. Unire
cosa con cosa? La risposta data spesso è unire il jivatman,
o sé individuale, con il brahman, o sé universale. Yoga,
quindi, è un nome dato a ogni pratica o sadhana che ha questo
fine dichiarato.Lo
svantaggio è, tuttavia, che l'individuo non esiste; solo il sé
universale esiste, e quindi non si tratta di unire qualcosa.
Ne consegue che ogni sadhana perseguita con una tale unione
come obiettivo è davvero inutile e serve solo a rafforzare
ulteriormente l'illusione di un sé separato e individuale.
Così tante tradizioni magiche e mistiche sembrano essere costruite
su questa base di dualismo; e fintanto che viene accettato, anche
tacitamente, la realtà è più lontana che mai.
Le religioni occidentali - come il Cristianesimo, il Giudaismo e
l'Islam - sono strettamente dualiste. C'è il creatore, Dio, e c'è il
creato, l'ordine naturale. I mistici di queste religioni che hanno
riconosciuto una realtà non duale sono pochi.
Per la maggior parte di essi i loro preconcetti sono troppo forti e
le loro visioni rimangono dualistiche.
Molti Thelemiti, forse la maggior parte, mantengono anche questa
visione dualistica.
La massima "Ogni uomo e ogni donna è una stella" si presta troppo
facilmente al concetto di un individualismo basilare ed eterno,
essenzialmente un'anima.
Una critica al "Sistema" di Crowley è che incoraggia l'idea che la
realtà o la verità sia qualcosa che si può ottenere solo dopo una
lunga, estenuante e difficile lotta.
Il suo nome magico, il latino Perdurabo - lo resisterò
- lo dimostra abbastanza chiaramente. Finché il ricercatore pensa
che ci sia una sorta di "sistema" che può seguire e una realtà
finale alla quale può arrivare, correrà in cerchio.
Se ogni sforzo
verso l'illuminazione è controproducente, cosa si può fare? La vera
risposta è: niente.
La
realtà è non duale e deve essere vista direttamente, poiché la sua
espressione in termini dualistici è immediatamente falsa.
Questa
intuizione diretta è Prajna, a volte tradotto inadeguatamente come
Saggezza. Tuttavia, Prajna
non è l'esperienza della realtà, né l'intuizione diretta:
è la realtà!
Questo
deve essere il caso, perché se la realtà non è duale, allora non c'è
alcun percettore che la percepisca; il più vicino che possiamo
arrivare ad esprimerlo è dire che c'è un
percepire.
Questo
è ancora fuorviante, perché conduce a un
concetto di percezione.
Tutto quello che possiamo dire sulla realtà è che
è - tenendo a mente che è
la polarità di non è.
Meglio
non dire nulla, poiché tutto ciò che possiamo dire è falso? Senza
dubbio, ma questo è di scarso aiuto per il povero aspirante, che
lotta nel fango di maya e dell’illusione, cercando qualche via
attraverso.
Il punto è,
che questo processo di lotta e inutilità da parte dell’aspirante è
uno stadio molto necessario ed importante. In primo luogo, la
conoscenza di una realtà non-duale è concettuale e teorica. Egli può
aver convinto intellettualmente sé stesso che ciò deve essere vero;
ma questa “convinzione” rimane ad un livello superficiale. Tuttavia,
per realizzarlo – renderlo reale – egli deve avere qualche
esperienza di esso. La conoscenza concettuale può essere inadeguata,
ma è almeno un inizio. È quando un aspirante ha esaurito le
possibilità del dualismo, ha compreso i suoi limiti, che può nascere
una comprensione diretta e intuitiva della realtà.
La
mente è esausta, calma e cessa la sua agitazione. In queste
circostanze può sorgere un diretto vedere-dentro.
Questo
è probabilmente lo "scopo" dietro il metodo
koan della scuola di Zen
Rinzai, per cui allo studente viene dato un
koan o un enigma
apparente, e gli viene detto di tornare dal Maestro quando lo ha
risolto.
Può
essere che l'elemento cruciale qui sia l'induzione della quiete o
della recettività attraverso l'esaurimento dell'intelletto nei suoi
inutili tentativi di "risolvere" il koan.
Nel
sistema del raja yoga una
delle pratiche consiste nel raggiungere la concentrazione mentale o
l'unidirezionalità, sopprimendo i pensieri man mano che si
presentano. Ora, chiunque ha provato questa pratica sa quanto questo
sia realmente difficile.
L'atto
stesso di tentata soppressione, invece di diminuirla, aumenta
l'attività del pensiero, che come tutti i bravi pagliacci ama un
pubblico.
Comprendendo ciò con un'esperienza amara, il praticante acquisisce
l'abilità di ignorare i pensieri invece di reprimerli.
È stato
ritenuto che solo dodici secondi di concentrazione reale - cioè
senza attività di pensiero - siano sufficienti per indurre il
samadhi.
Tuttavia, "indurre" è probabilmente la parola sbagliata qui; sarebbe
probabilmente più accurato dire che il
samadhi sfonda.
Anche
allora, rendiamo il samadhi
troppo dinamico! Piuttosto, la percezione è ora diretta ed
immediata, essendo cessata l'oscura cacofonia dell’attività mentale.
Questa è la
necessità cruciale, semplicemente vedere e sperimentare la realtà
com'è realmente, piuttosto che attraverso un quadro concettuale
condizionato.
Sembra
semplice, e in effetti è
semplice - ma la nostra concezione di "illuminazione" è spesso che
si tratta di una questione seria, complicata e difficile.
Chissà
quali sono i preconcetti che abbiamo, a quale obiettivo o obiettivi
puntiamo, ma esageriamo con tutti! Solo nella totale assenza di
preconcetti può verificarsi l'intuizione diretta, può sorgere
Prajna.
Questa
è l'intuizione suprema, la percezione suprema. Se questo vedere
diretto è ciò che si intende per illuminazione, allora
l'illuminazione è davvero lo stato naturale della coscienza, in
contrapposizione allo stato concettualmente limitato che siamo
arrivati ad accettare come normale. Illuminazione nel senso di
qualcosa che accade a un'entità è sbagliato. Il termine corretto è
risveglio - il risveglio
a una realtà che è sempre presente e sempre nostra, se non fosse che
lo sappiamo.
"Illuminazione" implica che c'è un individuo da illuminare, e
inoltre che questo è uno stato speciale, anormale.
Il
"risveglio" può anche dare origine al concetto di un individuo da
risvegliare; ma ha almeno il vantaggio di implicare che l'individuo
si sveglia, come da un sogno - che è esattamente ciò che accade.
Si sta
risvegliando dal sogno di vivere, dal sogno o dall'illusione
dell'individualità; risvegliandosi per scoprire, per riscoprire che
c'è solo una realtà indifferenziata, e questo è tutto ciò che un
individuo - o piuttosto, l'individuo
apparente - era, è e
sarà. Non c'è alcun obiettivo da raggiungere, niente da ottenere,
nessun posto dove andare. C'è sempre e solo ora, e io.
Detto in
questi termini, sembra tutto così incredibilmente semplice. Eppure,
all'aspirante sembra senza speranza. In ultima analisi, non vi è
alcun obiettivo da raggiungere, e in effetti concettualizzare un
obiettivo ci porta solo lontano dall'intuizione diretta.
Non può
essere sperimentato provando. Tuttavia, non possiamo cercare
deliberatamente di "non provare"! non sarebbe d'aiuto comunque, dal
momento che "non provare" è solo il polo opposto di "provare", e
quindi dualistico come qualsiasi altro concetto.
Se
questa intuizione diretta è la realtà - vedere come essa è
realmente, senza mediazioni di interpretazione - allora è uno stato
di pura naturalezza che stiamo vedendo-dentro. In tal caso è
spontaneo, non affettivo. Quindi, tutto ciò che serve è essere
naturali. Questo è ovviamente più facile a dirsi che a farsi dal
momento che la nostra idea di naturalezza è così storta. Tutto ciò
che è necessario è che riscopriamo la nostra originalità, la
spontaneità intrinseca ed essere naturali, essere noi stessi.
Questa
spontaneità equivale alla Vera Volontà, sebbene la nozione Thelemica
come comunemente presentata sia aperta all'interpretazione errata.
La Vera Volontà è universale, non individuale. L'universo, che è la
realtà, si comporta nel solo modo in cui può - spontaneamente. "Io"
non sono un individuo, ma un aspetto dell'universo; in realtà "Io"
sono l'universo, e tutto ciò che "io" faccio è un'espressione della
mia Vera Volontà - anzi, è questa Vera Volontà. La Vera Volontà è
l'unica volontà, e ogni altra è solo apparente o illusoria. Come
possiamo raggiungere questa vera volontà?
Fondamentalmente, smettendo di concettualizzare, rilassandoci ed
essendo come siamo, perché in realtà non c'è altro modo di essere.
Non possiamo essere volontariamente spontanei o cercare di essere
spontanei. Tutto ciò che è necessario è rilassarsi e lasciarsi
andare - lasciare andare le concezioni, le illusioni. Poi accade, e
c'è solo spontaneità.
In realtà,
tutto ciò che accade è spontaneo, senza eccezioni. La realtà è
sempre qui e ora. C'è sempre e solo qui e ora, che è la Vera Volontà
dell'universo.
È una
nozione comune che abbiamo il libero arbitrio e una nozione
altrettanto comune che tutto è predeterminato, predestinato.
Entrambe sono sbagliate e sono poli opposti di una dualità
concettuale. La nozione di libero arbitrio richiede un individuo per
esercitarlo, e in realtà non ci sono individui.
Considerazioni simili si applicano alla
predestinazione. Entrambe le idee attingono alla nozione di tempo,
che a sua volta è solo una misura concettuale di movimento. Il modo
in cui persiste la nozione di libero arbitrio è un mistero, poiché
non è possibile testare questa ipotesi. Tale test richiederebbe
ripetere esattamente una serie di circostanze e vedere se fosse
possibile scegliere di agire diversamente. Anche all'interno di una
corrente di tempo mobile, un tale esperimento sarebbe impossibile.
Le stesse considerazioni valgono per il concetto di predestinazione.
Entrambi i concetti sono sbagliati, dal momento che sono
invariabilmente concetti.
È questa conoscenza, che non esiste né
predestinazione né libero arbitrio, che fornisce una via diretta per
l'aspirante. Tutto ciò che accade è spontaneo, o linguaggio
Thelemico, Vera Volontà, e l'unico problema sta nel preoccuparsi che
non sia così! Quando egli smette di preoccuparsi di comportarsi in
modo "corretto" o meno, può rilassarsi, e questa è una fase
importante. È solo dopo aver rilasciato, o lasciato andare i
concetti, che può aver luogo un diretto vedere-dentro. Pertanto,
torniamo di nuovo allo stesso punto, il problema sta nella disparità
tra la realtà e la nostra concezione di esso. Naturalmente, questa
affermazione stessa crea una dualità concettuale ed è quindi falsa;
ma è l'unico modo in cui possiamo indicare il problema all'interno
della struttura del linguaggio dualistico. Ancora una volta: la
realtà, essendo non duale, non può essere espressa in modo
dualistico. Ecco perché l'intuizione diretta è così importante.
Questo è anche il motivo per cui, nelle tradizioni come il Ch'an o
lo Zen, la concettualizzazione è respinta a favore dell'azione
diretta; è puntare verso una realtà che non è solo al di là delle
parole e dei concetti, ma positivamente oscurata da essi. In
risposta alle domande sullo Zen e sulla "natura della realtà", i
Maestri darebbero risposte irrazionali, aggredirebbero
l'interlocutore, distruggerebbero un vaso o dimostrerebbero in
qualche modo l'importanza del qui-e-ora e del come è. Tali atti
fanno smettere il pensiero e la concettualizzazione e indicano
direttamente. Intellettualmente sono sconcertanti, ma questo perché
l'intelletto può essere solo una distrazione da questa intuizione
diretta.
Il "sentiero" dalla dualità alla non-dualità
è puramente pragmatico. Concetti, simboli e logica possono essere
usati lungo il cammino. Tuttavia, la loro unica utilità sta nel
fatto che puntino o meno verso il non duale; non ci può essere alcun
dubbio se siano o meno giusti, veri o qualcosa del genere. Essendo
concetti, non possono possibilmente essere veri; ma se cominciano a
indicare la via d'uscita dal labirinto di un concettuale, dualistico
e condizionato modo di guardare il "mondo", allora sono stati utili.
In questo senso tutte le dottrine, le tradizioni e così via sono
intrinsecamente false se prese come vere, ma dovrebbero piuttosto
essere viste come pietre miliari alla
percezione diretta di una
realtà non duale.
L'obiettivo non è obiettivo, e la via non è
via. La cosa non è cosa, e il cercatore non è cercatore. La realtà
di cui si può parlare non è la realtà, poiché la realtà è al di là
delle parole. Tutte le nostre categorizzazioni sono false, perché
sono i nostri concetti o etichette e non la realtà stessa. La realtà è vuota di
concetti, vuota di divisione, vuota di ogni cosa. L'intuizione
diretta della realtà è di per
sé quella realtà - non c'è divisione in conoscitore e
conosciuto, vedente e visto, percettore e percepito. Questa
intuizione diretta è davvero
tutto ciò che è, e il resto è una sovrapposizione concettuale.
"Non c'è né creazione né distruzione, Né destino né libero
arbitrio, Né
percorso né risultato; Questa è la verità finale."