Andare Oltre

 

Il presente articolo, la cui traduzione è stata autorizzata dall’autore, è stato pubblicato per la prima volta in Starfire, Vol I, N. 1, Londra 1986; traduzione di Carlo Barbera su concessione di Roberto Migliussi e del Sito Labirintostellare.org

© Michael Staley, 2009

 

 


"Così penserai a tutto questo mondo fugace:
Una stella all’alba, una bolla nella corrente;
Un lampo di luce in una nuvola estiva,
Una lampada tremolante, un fantasma ed un sogno”

Il Sutra del Diamante

La vita è un sogno – il sogno di vivere. Esso scaturisce da uno sfondo non-duale, ma è interpretato dualisticamente sulla base dei nostri preconcetti sulla realtà. Questa interpretazione fa sorgere l’illusione – le cui radici sono ostinatamente profonde – che c’è una persona, un individuo o un’anima che sperimenta le cose. L’intera colorata gamma delle esperienze nasce da questa illusione, benché a volte essa può essere bellissima. A titolo di analogia può essere assimilata ad una commedia, in cui tutte le parti sono simultaneamente interpretate dallo stesso attore, che è però così assorbito nei personaggi e negli eventi della commedia da identificarsi con essi. Il giocatore si è perduto nel sogno dell’esistenza, di maya, del samsara.

A volte sembra che non sia gradito quanto questa intuizione sia centrale a Thelema. Molti sembrano pensare che Thelema sostiene la sovranità e l’assolutezza dell’individuo e della “sua” Vera Volontà, in frasi come “Fai ciò che vuoi sarà tutta la Legge” e “Ogni uomo e ogni donna è una stella”. Questo è un malinteso che ignora lo sfondo di intuizione mistica da cui scaturisce il Liber AL, ed in cui è fondato. Per parecchi anni prima della ricezione del Liber AL, ed in verità per parecchi anni dopo, Crowley fu un Buddhista. Egli ha sperimentato profondamente l’intuizione fondamentale del Buddhismo – sunyavada, la realizzazione della vacuità o vuoto. Semplicemente, la realtà o vacuità, vuoto di concettualizzazioni, vuoto di forma. La forma è, di fatto, la “nostra” proiezione su questa vacuità; in realtà, è la natura illusoria della forma che la rende docile alla manipolazione del mago. Una conseguenza di sunyavada è anatma, la negazione dell’esistenza di un’entità individuale.

Questa intuizione pervade la successiva opera di Crowley, ed è fondamentale. In particolare, opere come il Liber Aleph e Il Libro delle Menzogne sono saturate da ciò. Ancora ed ancora il punto è prendere atto che l’esistenza individuale è un’illusione, che questa illusione è il solo ostacolo all’illuminazione o chiaro vedere. Quindi, Thelema ha forti affinità con la Corrente che fiorisce con Nagarjuna e la prainaparamita, e che culmina nella semplicità e nella chiarezza del Ch’an.

Può sembrare paradossale che una dottrina di apparente individualismo sia radicata – se qualcosa può esserlo – in sunyavada. Tuttavia, è una questione di comprensione intuitiva. La logica è essenzialmente e inerentemente auto-contraddittoria, e in queste materie appellarsi ad essa è inutile. Lettori interessati possono essere indirizzati alle opere dello pseudonimo Wei Wu Wei.

Questo componimento, è sull’andare oltre – andare oltre a logica e dualità, e attraversare verso l’altra sponda di comprensione diretta e intuitiva.


1: Advaita

Il Maestro mi disse: “Tutti i Buddha e tutti gli esseri senzienti non sono altro che la Mente Una, oltre alla quale niente esiste. Questa mente, che è senza inizio, è non-nata e indistruttibile”.
Registrazione Chun Chou, Insegnamento Zen di Huang Po.


Advaita è una parola sanscrita che significa non diviso, non duale, intero. Come una filosofia o dottrina è usata per indicare che la realtà – con cui si intende ogni cosa che è, come anche ogni cosa che non è – è un insieme, un continuum. La divisione in individui ed oggetti è apparente, non reale. Questa unica sostanza può convenientemente essere riferita come “io”. Tutte le cose non sono semplicemente impregnate con quell’io, ma sono effettivamente quell’io. Io è l’Attore che recita tutti i ruoli simultaneamente – ma anche la scena, il pubblico, le critiche cattive, le civette che strillano, le lumache che strisciano, la luna brillante, e così via ad infinitum. Io sono tutto. Tutto è io.

La realizzazione che è così – la realizzazione intuitiva, piuttosto che la supposizione intellettuale – viene come uno shock tremendo a “uno” per cui il dualismo è stato per lungo tempo un articolo di fede. E ciò nonostante, una volta che la si è intravista, tutto sembra così naturale. Effettivamente, il vero mistero è questo: perché è stato preso per scontato che il dualismo è un principio fondamentale, la realtà delle cose? Al fine di osservare il mondo attorno a noi, e di intuire i suoi principi, abbiamo tagliato ogni cosa in pezzi o unità – per un’osservazione più pratica. Il problema è, comunque, che una volta che questo è stato fatto, è stato dimenticato che questa “divisione” in sezioni era puramente teorica, del tutto schematica, imposta dall’osservatore sull’osservato. Invece, la divisione schematica stessa è presa come reale! In questo modo, vediamo una moltitudine di unità indipendenti ed isolate dove vi è realmente un continuum.

Un esempio di quanto può divenire perniciosa questa visione è la concezione dell’uomo di sé stesso e del suo posto nell’universo. Da un punto di vista dualistico ogni uomo è realmente un’isola – per questo motivo, così è tutto il resto – un’isolata unità di esistenza in un mare di non-esistenza. Di conseguenza, una persona vede sé stessa come qualcosa simile ad un pallone gonfiato, la pelle del corpo è il suo guscio. La pelle è la linea di demarcazione tra il sé e il non-sé: uno è un’entità isolata in una terra straniera. Molte persone prendono ulteriormente questa visione, e identificano il sé come una parte o organo particolare della ipotetica unità – spesso la mente, il cuore, lo spirito, o l’anima – che in qualche modo abita il corpo, questo stesso ora come poco più di un sofisticato pupazzo. Questo è davvero dualismo impazzito!

Questa, la visione che l’uomo ha di “sé stesso”, ha condotto ad una convinzione profondamente radicata che l’uomo è in qualche modo separato dal resto dell’universo, che una linea può essere tracciata tra l’uomo e la “natura”. Abbiamo l’idea assurda che in qualche modo l’uomo ha, o può, “conquistare” la natura, che l’universo, con tutte le sue ricchezze, è qui specificatamente per il progresso dell’uomo; come un uovo, in attesa di essere succhiato. Questa visione conduce a un comportamento rapace e sfruttatore e alla distruzione sfrenata, che è culminata nella società industrializzata del ventesimo secolo: l’uomo egoista non solo è dedicato a violentare l’universo attorno a lui, ma anche le altre persone sono un discreto gioco di sfruttamento e conquista.

Negli ultimi decenni la ricerca scientifica, anche se basata sulla nozione dualistica di osservatore ed osservato – dal quale l’osservatore è completamente distaccato, e così indipendente dal suo oggetto di studio – sta portando alcune persone a mettere in discussione la nozione dualistica. La fisica nucleare, in particolare lo studio delle particelle sub-atomiche, è un interessante indicatore. È emerso che non ci può essere realmente un osservatore neutrale, poiché proprio la presenza dell’osservatore modifica il comportamento dell’oggetto di studio – in questo caso, le particelle sub-atomiche. Sarebbe davvero una cosa curiosa supporre che la premessa di base del dualismo sia valida – che l’osservatore sia un’entità indipendente, autosufficiente a cui accada di osservare un’altra entità indipendente, autosufficiente. Tuttavia, dal punto di vista dell’influenza, si può solo concludere che dopo tutto l’osservatore e l’osservato non sono così indipendenti l’uno dall’altro. È un’altra scoperta della ricerca nel campo della fisica nucleare che indica il “meccanismo” per cui è possibile tale interazione tra l’osservatore è l’osservato. Cioè, fondamentalmente, che i fenomeni sono composti di miriadi di particelle sub-atomiche interconnesse, e che hanno apparenza solida solo quando guardati da una distanza relativa.

Nonostante un inseguimento vivace nel corso dei secoli, un’unità indivisibile di materia – una sorta di basilare blocco di costruzione – non è stata ancora scoperta. Ad un certo momento si è sperato che l’atomo fosse questo blocco. Quando l’atomo si è rivelato composto da una moltitudine di particelle sub-atomiche, si è sentito che il blocco basilare poteva essere una di quelle particelle. Tuttavia, dobbiamo ancora scoprire una particella che non risulti essere composta di particelle sempre più piccole. Ci possono essere tutte le ragioni per supporre che questo processo continua indefinitamente, e che non c’è un blocco di costruzione basilare. Ciò che possiamo postulare abbastanza fiduciosamente, comunque, è che le particelle sembrano essere energia bloccata in certi modelli. Quindi tutti i fenomeni possono essere considerati come campi di energia. L’immagine è di un vasto campo di energia, l’energia qua e là si blocca o si intreccia in spirali o aree di maggiore densità e compattezza. L’intera scena è fluida e caleidoscopica piuttosto che statica, con interscambio e influenza reciproca tra spirali vicine o campi energetici localizzati. Deve essere detto che questa è un’immagine speculativa; tuttavia, il progresso della fisica nucleare questo secolo sembra puntare in tale direzione. Se corretto, questo spiegherebbe molto. Per esempio, la telepatia, la chiaroveggenza e simili sembrano abbastanza naturali e comprensibili, dato quello che è per lo meno un collegamento o una connessione tra fenomeni apparentemente individuali.

Dunque, l’immagine che emerge è monista. Ogni cosa è composta essenzialmente di una sostanza. La dualità, che è basata sul principio degli opposti, è vista come un’illusione, basata su concetti scorretti. Abbiamo imposto i nostri preconcetti sull’universo, vedendo divisioni dove realmente non ce n’è nessuna. Un’utile analogia è quella di un magnete. Concettualmente, consideriamo un magnete come avente un polo nord e un polo sud. Ora, i due poli esistono solo in relazione l’uno all’altro: essi non possono esistere separati. Sono aree differenti dello stesso campo magnetico. Se tagliamo la metà associata l polo sud, un “nuovo” polo sud è immediatamente creato sulla prima metà, e allo stesso modo un “nuovo” polo nord sulla seconda. Distinzioni come “polo nord” e “polo sud” sono solo concettuali. Sono imposte dal nostro intelletto, proiettate su ciò che osserviamo.

Questa analogia dei poli magnetici è un’illustrazione abbastanza ovvia di un importante principio. Abbiamo visto che noi imponiamo la dualità di poli nord e sud dove di fatto non ne esiste nessuna: abbiamo fatto una distinzione dove non ce n’è nessuna. Questo può essere esteso alla nostra percezione dell’universo intorno a noi. Categorizziamo un continuum in oggetti separati sulla base di preconcetti, e vediamo molteplicità dove c’è unità. Il probabile meccanismo per questo è qualche tipo di ipotetico riconoscimento da parte dell’intelletto, sulla base di un minimum di dati sensoriali. In altre parole, le percezioni sensoriali sono affrontate nei termini di classificazioni concettuali esistenti, nude ossa rimpolpate dall’immaginazione. C’è una tendenza a guardare allo sconosciuto nei termini del conosciuto o familiare. Un esempio mi viene in mente dalla mia esperienza, quando ho vissuto per la prima volta in un paese straniero. Di fronte a quasi ogni straniero ero solito “vedere” le più impressionanti somiglianze a conoscenti in Inghilterra. In retrospettiva l’ho riconosciuto come soddisfazione del desiderio, il bisogno di vedere il nuovo in termini di vecchio e familiare. Lo stesso principio sottende, con ogni probabilità, la nostra percezione dell’universo. Un uomo ha una percezione; sembra un po’ come quello che egli ha appreso è un albero; e quindi, egli ora percepisce un albero. In realtà, naturalmente, “un albero” è un’astrazione, una generalizzazione molto ampia. Non ci sono due fasci di percezioni che chiamiamo albero che sono gli stessi. Non ci sono, quindi, cose come alberi. “Albero” è solo un nome, un’astrazione o concetto da parte nostra. Con tali mezzi i nostri intelletti hanno imposto un'uniformità e una struttura dove in realtà non ne esiste nessuna.

Siamo giunti in qualche modo, in quanto abbiamo ridotto il presunto dualismo alla Sostanza Una, il Tutto.

Questo, comunque, non è abbastanza: un ulteriore raffinamento è necessario. Abbiamo usato il termine “uno” o monismo solo in contrasto a “due” o dualismo. Questa è, naturalmente, una dualità – e quindi, come abbiamo visto, puramente concettuale. Poiché non c’è moltitudine, allora neppure c’è il contrasto di “uno”. Il fatto è, che l’universo non è più Uno di Due.

Possiamo continuare all’infinito con questo processo di risolvere apparentemente una dualità, solo per scoprire che la presunta risoluzione o abolizione porta essa stessa ad un’altra dualità. La ragione di ciò è che il nostro intelletto, la nostra ragione, è saldamente incorporato nel concetto di dualismo. Ogni pensiero nasce da concetti dualistici ed è quindi inerentemente non vero, data la nostra conclusione che il dualismo è presunto piuttosto che effettivo. Semplicemente, ogni cosa che possiamo dire riguardo l’universo è essenzialmente non vera, una menzogna! Sembra che ci troviamo di fronte a un muro di mattoni. Se i nostri processi intellettuali sono inerentemente dualistici, se qualunque cosa possiamo dire riguardo l’universo è non vera, allora non dovremmo rinunciare alla lotta, slegare le nostre reni, e disperarci?

A questo punto è istruttivo confrontare il quadro a cui siamo arrivati con tradizioni come l’Advaita Vedanta, il Taoismo, il Buddhismo Mahayana e simili. Per queste tradizioni è assiomatico che l’universo è realmente oltre la descrizione – perché il linguaggio è basato su concetti dualistici, e quindi incapace di dare un’espressione adeguata a qualsiasi cosa che non sia essa stessa dualistica. Questo non significa condannare il linguaggio come errato o inadeguato; è uno strumento molto utile, ma ha i suoi limiti. In generale, non tentiamo la chirurgia cerebrale con un pelapatate! Il massimo che si possa sperare è che il linguaggio sia usato come un indicatore. In altre parole, sebbene la realtà è non-duale, nondimeno, in primo luogo, deve essere usata una struttura del linguaggio apparentemente dualistica come stadio iniziale della sua trascendenza. Dichiaratamente, questa prima fase comporta il sostituire un concetto con un altro; e poiché tutti i concetti sono falsi questo può sembrare distintamente strano, per non dire futile. Tuttavia, evolvendo una catena di immagini che sembra condurre in una certa direzione, la speranza è che l’intuizione comprenda ciò che non può essere espresso nel linguaggio.

Questo processo, comunque, può essere preso solo fino a qui, ed è limitato. L’idea non è indicare qualche “Verità” non-duale, per quanto vagamente, ma piuttosto dimostrare la futilità e la vacuità del dualismo. Proprio come un polo nord e un polo sud magnetici esistono solo in relazione l’uno all’altro, e non come cose oggettive o per sé stessi, così è con tutti i così detti opposti o dualità. Per esempio, il nero esiste solo in contrasto al bianco. Chiamiamo qualcosa nero solo per distinguerlo da qualcos’altro che abbiamo designato bianco – o, nel contesto di questo esempio, non-nero. Se avessimo un mondo totalmente nero, non ci sarebbero contrasti e quindi nessun bisogno del non-nero o bianco. Nello stesso modo, concetti più ovviamente astratti sono mutualmente dipendenti; abbiamo bisogno del “male”, per esempio, per definire i parametri di “bene”, e viceversa.

Se non è realizzato che tutti i così detto opposti o dualità sono relativi piuttosto che reali, concettuali piuttosto che effettivi, allora “la catena di immagini” sarà di fatto circolare. Questo perché, non importa quanto sottilmente il linguaggio sia stirato, esso rimane dualista – e il dualismo sottile è solo cattivo come la varietà più ordinaria – di più, anzi, poiché il praticante pensa che sta arrivando da qualche parte. Un buon esempio è il processo di contrastare la tesi con l’antitesi, e poi ostentare con orgoglio la sintesi emergente. Il problema è che la sintesi è figlia dei suoi genitori; e quindi, rimanendo dualistica in natura, stabilisce la propria polarità. Prendiamo, per esempio, il linguaggio metafisico di Noumenon e Phenomenon. Il primo può essere visto come soggetto, e il secondo il suo oggetto. Il Noumenon può essere visto come la sintesi di una dualità: il Phenomenon è la tesi originale, mentre il negativo di questo, il niente o non-phenomenon, è l’antitesi. Tuttavia, il Noumenon rimane un concetto dualistico, avendo significato in relazione al Phenomenon e non-phenomenon. Il Noumenon può essere reso il più sottilmente possibile, ma esso rimane qualcosa. Immediatamente, è evocato il suo opposto o relativo niente. Non possiamo mai superare la dualità per mezzo di questo metodo, semplicemente perché per analogia stiamo continuamente dividendo qualcosa, e restando con una frazione di qualcosa, che deve sempre essere qualcosa. Siamo di fronte ad un’infinita regressione di generi.

Questo può essere escluso come gioco di prestigio semantico. Ciò comunque dimostra che non possiamo usare la dualità e qualsiasi cosa che può essere espressa linguisticamente è per definizione dualistica al fine di trascendere da sola la dualità. Può possibilmente essere un aiuto, ma in tal caso suggerisce piuttosto che esprimere. Lasciata a sé stessa, la logica tesserà una rete sempre più stretta e sempre più densa che, per il suo stesso slancio, strangolerà l'aspirante! Di gran lunga meglio semplicemente tagliare tutto questo; ciò di cui abbiamo bisogno è la spada di Prajna, o intuizione diretta nella natura della realtà.

Prajna è una parola spesso tradotta come “Saggezza”. Questa traduzione è tuttavia inadeguata, non trasmettendo il senso di intuizione diretta, immediata. L’intuizione diretta tende a sorgere spontaneamente, spesso quando il pensiero dualistico è esausto ed è stato raggiunto l’inevitabile muro di mattoni. È allora, quando il pensiero non può andare oltre e si arrende, che questa diretta consapevolezza può sorgere. Hui Neng, secondo la tradizione, ebbe la sua esperienza sentendo qualcuno leggere il Vajracchedika o Sutra del Diamante, una breve opera della classe prajnaparamita. Leggendo vari aneddoti dalla storia del Ch’an e del Buddhismo Zen, di fronte a queste insorgenze spontanee di intuizione diretta si è all’inizio piuttosto perplessi. Esse sembrano essere scatenate da osservazioni, frasi o azioni che appaiono piuttosto minori o anche senza significato. Tuttavia, quando vengono gettate in una mente pronta per questo, si dimostrano un catalizzatore, la "ultima goccia".

 Può quindi essere ipotizzato, che Prajna sorge quando la mente non è più assorta nell’inutile chiacchera di rincorrere la propria coda (o storia!), tentando di raggiungere la realtà per mezzo di processi di pensiero logico. Quando questa scimmia è calmata, portata ad arrestarsi, allora la reale consapevolezza non è più bloccata. Non più distratto, il vedere è diretto e reale. La conclusione è inevitabilmente che questo Prajna o intuizione diretta c’è permanentemente, oscurato solo dalle macchinazioni della mente. Di fatto questo Prajna può essere identificato con l’Illuminazione, il Satori, la Liberazione, e i vari altri eufemismi per questo stato di diretta consapevolezza. Tra gli studiosi, questa sarebbe vista forse come una dichiarazione controversa: alcuni vedono il Prajna solo come una facoltà, a disposizione dell’aspirante. Tuttavia, gli studiosi sono generalmente persone che amano categorizzare e schematizzare. La dualità è stata lasciata indietro, e con essa queste categorie di esperienza. Come Wei Wu Wei dice, “Prajna è l’atto dell’azione – pura esperienza, dinamica e concreta; un’esperienza, non un concetto.
(Dita che puntano verso la Luna). Prajna è l’esperienza dell’esperienza, la sua vera essenza. Dove Prajna è, non c’è più alcuna distinzione tra l’esperienza, lo sperimentare e lo sperimentatore. C’è solo una consapevolezza, indivisa, senza soggetto o oggetto. Prajna è quindi la realtà stessa – la realtà spogliata dei concetti. Un diretto vedere-dentro sarebbe un termine utile, fino a che si ricorda che non c’è nessuno che guarda e niente da essere visto.

In realtà, non c’è niente che possiamo dire o fare di vero riguardo l’universo. Non possiamo descriverlo o concepirlo, perché questo sarebbe basato su concetti; e tutti i concetti sono, come abbiamo visto, non veri. L’universo è senza divisioni, né uno né molti, né grande né piccolo. È espresso ugualmente ed affatto nel silenzio come nel rumore, nel rayon come nel cotone, nella pienezza come nel vuoto. Non possiamo neppure dire che esso è, poiché questo evoca immediatamente la relatività di non è, e tutte queste dualità sono inerentemente false.

Meglio non dire niente? Proprio come l’umore ti porta, senza dubbio!

Ammettendo che qualunque cosa può essere detta della realtà è falsa – inclusa qualunque cosa può essere detta in questo componimento – una o due idee sulla natura di Prajna possono ancora essere utili. Abbiamo già visto che Prajna è intuizione diretta, e che questa sorge in assenza di pensiero concettuale e discorsivo. La realtà può forse essere meglio espressa dalla parola spontaneità. Con spontaneità intendiamo comportamento naturale. La spontaneità è la realtà che esprime sé stessa. È cieca, non pensante, irriflessiva, abbandonata e naturale. In termini Thelemici è la Vera Volontà. Effettivamente, il comportamento non può mai essere altro che naturale. Siamo sempre spontanei, anche quando pensiamo di non esserlo. Nient'altro potrebbe accadere, a parte ciò che accade realmente. Il problema viene quando pensiamo che “le cose accadono” a causa dei nostri sforzi individuali. È a causa di questa illusione che soffriamo, perché ci preoccupiamo che "le cose" potrebbero essere accadute diversamente se avessimo agito in un modo diverso. Ma “le cose” non accadono perché “noi” facciamo qualcosa, e “le cose” non potrebbero mai accadere diversamente da come sono accadute. Questo non è per sostenere la predestinazione contro il libero arbitrio; che è semplicemente un’altra dualità, falsa quanto ogni altra. Si può dire semplicemente che “le cose” sono come sono, e questo è.

Siamo giunti ​​allo stadio in cui possiamo riconoscere che, in termini dualistici - e l'espressione linguistica non può mai essere qualcos'altro – il punto più vicino a cui possiamo arrivare per descrivere la realtà è semplicemente dire che essa è. Tuttavia, dobbiamo tenere in mente che essa non è un oggetto, poiché noi stessi siamo inclusi in essa. Quindi, il Prajna o intuizione diretta che sorge è una spontanea esperienza di essa – o piuttosto, una reversione dall’illusione alla realtà.

 

2: Dualità

Come abbiamo visto nella sezione precedente, la realtà è non-duale, ma la nostra percezione di essa è fermamente dualistica. Tendiamo a vedere le cose in termini di due poli contrastanti od opposti. Per esempio, ci sono i poli di buono e cattivo, caldo è freddo, oscurità e luce. Le cose o gli eventi sono infilate in vari punti tra i due poli; raramente un evento è visto come completamente buono o cattivo, ma piuttosto è abitualmente graduato - abbastanza buono, non così male, e così via. Sembra naturale speculare sul perché è sorta una tale disparità tra la realtà e la nostra percezione di essa. Se la realtà è non-duale, perché non la possiamo vedere in quel modo? Se il mondo è privo di particolarizzazioni, se non ci sono entità ovunque da essere trovate, perché a noi dovrebbe apparire come diverso? Perché la nostra percezione non dovrebbe essere diretta?

Certamente, noi comunichiamo in un linguaggio che è strutturato dualisticamente. Grammaticalmente abbiamo soggetto ed oggetto come il fondamento della struttura, da quello molto scaturisce. È vero che non percepiamo in termini di linguaggio, tuttavia, prendiamo il concetto di soggetto ed oggetto così scontato, che interpretiamo automaticamente ogni cosa in quei termini. Ciò che abbiamo qui è un condizionamento che è profondamente radicato, alla luce del quale è interpretata la percezione. “Raw” o impressioni sensoriali non variegate sono ordinate in modelli o oggetti, forse sulla base di ciò che ci si aspetta di percepire. Comunque, questo condizionamento non può essere sorto puramente e semplicemente da una struttura dualistica del linguaggio. È più verosimile che la struttura del linguaggio si sia evoluta da un’interpretazione dualistica della realtà, sebbene naturalmente l’una rinforza l’altra.

Sfortunatamente, non possiamo mai sapere come è sorto questo modo viziato di interpretare la realtà, sebbene sia indubbiamente interessante da speculare. C'è sempre e solo l’adesso e la situazione come è, e riflettere su ciò che è accaduto nel supposto passato è inutile. Viene prestata molta attenzione alla "questione" del tempo e l'esistenza stessa del tempo è data per scontata. Ciò nonostante, il tempo è un chiaro esempio di come un concetto è imposto sulla realtà, e poi accettato come parte e pezzo di quella realtà. Noi concepiamo il tempo come un qualche genere di corrente in movimento, che porta inesorabilmente le cose avanti. Parliamo di passato, presente e futuro. Ciò nonostante, riflettendo, il tempo è notevolmente difficile da trovare. Il presente è l’unione tra il passato e il futuro; ma non possiamo mai percepirlo, a causa del ritardo apparente tra la percezione dei sensi e la registrazione di quella percezione da parte del cervello. Per definizione, il passato non è mai qui e non può mai essere sperimentato, poiché è finito da tempo. Il futuro deve ancora arrivare. Quindi passato e futuro sono costrutti concettuali o astrazioni e, a causa del ritardo nella registrazione della percezione, non possiamo mai conoscere il presente. Quindi, cosa percepiamo? O meglio, che ora è adesso, per favore? Potremmo provare a parlare di un presente percettivo; ma in assenza di un passato e di un futuro non c'è certamente bisogno del concetto del presente.

Dopo un’ulteriore analisi è evidente che il tempo è usato come un modo per misurare gli eventi e il movimento, ed è quindi reale solo come centimetri o chilogrammi, pollici o pietra (ndt, unità di peso UK). Il "ticchettio dell'orologio" è proprio questo: una molla muove un indicatore su un quadrante e diciamo che sono trascorsi cinque minuti. Finché il tempo è ritenuto solo come un concetto, un modo utile di misurazione, allora non c’è problema. Tuttavia, quando supponiamo che il tempo abbia un’esistenza oggettiva, e sia qualche genere di corrente con una velocità di movimento fissa o variabile, allora c’è illusione.

Noi imponiamo le nostre idee e costrutti sulla realtà in vari altri modi. Un esempio è la suddivisione soggetto/oggetto, per cui io sono il soggetto e tutto il resto è l’oggetto. In modo simile, c’è la suddivisione tra bene e male, la suddivisione tra uomo e Dio – infatti, ogni dualità rappresenta la suddivisione della realtà. Sembra verosimile che questa divisione del non-duale nel duale fu fatta in primo luogo come un metodo conveniente di osservare la realtà. Parlando in generale, l’investigazione scientifica progredisce sulla base dell’analisi. Qualsiasi cosa deve essere studiata è suddivisa in pezzi convenienti all’attenzione individuale, sperando che con un successivo processo di sintesi il tutto possa essere compreso. Quindi, la diversificazione di un tutto non diversificato è un conveniente metodo di misura e classificazione, fintanto che sia ricordato che questa divisione è puramente schematica. Ma ciò che è accaduto precisamente è che la frammentazione della realtà è arrivata ad essere vista come reale piuttosto che semplicemente concettuale. Questo è ora ampiamente accettato, almeno in Occidente, e perpetuato da un linguaggio dualistico che rinforza questa illusione. Sembra appena necessario aggiungere questo, poiché la logica è fondata sul dualismo come una realtà, nel qual caso le argomentazioni contro la dualità sembreranno francamente illogiche.

Allora, se la dualità sembra così logica, da dove è sorta l’idea contraria? Perché è così che, con il dado gettato fermamente in favore del dualismo, le asserzioni di una realtà non-duale rimangono vive e vegete? Per prima cosa, come abbiamo notato nella sezione precedente, molte delle scoperte dei fisici negli ultimi cento anni sono state così sorprendenti – dal punto di vista del dualismo – che hanno indicato nella direzione dell’advaita. Ma, soprattutto, tali scoperte non sono isolate. Ci sono sempre state tradizioni mistiche e religiose che hanno dichiarato che la realtà è non-duale, una realtà che potrebbe essere sperimentata direttamente ma non espressa in linguaggio. Esempi sono il Taosimo, il Buddhismo Mahayana, l’Advaita Vedanta, e così via. Negli ultimi anni molti paralleli stati fatti tra queste "scoperte" della fisica nucleare e la visione della realtà come sposata da tradizioni non duali. C’è un’esplorazione di questo tema di Fritjof Capra, lui stesso scienziato, nel suo libro Il Tao della Fisica, e in effetti ci sono molti altri libri di questo tipo. Si può immaginare che, per uno per il quale il dualismo è una visione della realtà profondamente radicata, le scoperte che sembrano mettere in dubbio tale visione vengono come uno grave shock. Tuttavia, uno shock di questa magnitudine è necessario, sembra, mettere in discussione le nostre care idee e i nostri preconcetti. È allora che il vedere diretto, o penetrazione nella natura della realtà, può sorgere spontaneamente.

Senza questa intuizione diretta, questa separazione concettuale tra il soggetto e l’oggetto rimane. Poiché questa condizione è incastrata nella mente, essa è proiettata nella realtà. In altre parole, noi costruiamo un universo illusorio “là fuori”. Inoltre, non solo costruiamo una separazione tra “corpo” e “mente”, come se qualche tipo di mente sia l’orgoglioso proprietario di un corpo, simile a un vestito, o una macchina. In qualche modo questa separazione mente/corpo è relativamente facile da neutralizzare, e le pratiche dell’hata yoga eseguite in modo appropriato rendono potentemente consapevoli della mutua interdipendenza e dell’unità davvero essenziale di questi aspetti o categorie. Una volta che questo è stato sperimentato, potremmo anche iniziare a interrogarci sulla dualità di "me" e "non me" – e chissà dove e se questa linea di ricerca potrebbe finire?

In assenza della esperienza diretta della non-dualità, tendiamo ad indentificarci con un lato o l’altro della polarità concettualizzata. Il processo di dualità può essere portato avanti ad infinitem, come notato precedentemente, e la mente è comunemente concepita come divisa in pensiero e sensazione o emozione. Questa è di fatto una divisione profonda e diffusa della mente separata, e tendiamo a identificarci prevalentemente con l'uno o con l'altro. La divisione attraversa l'intera gamma dell'attività umana. Generalmente, quelli che si identificano con il "sentire" tendono ad essere maggiormente attratti verso le Arti, mentre quelli che si identificano con il "pensiero" tendono più verso le Scienze e l'attività intellettuale. E, in tutti ma pochi individui, è il caso che "... e mai i due si incontreranno"!

Se si dovesse accettare il dualismo come un fatto, sembrerebbe comunque ragionevole concludere che entrambi i poli siano necessari per raggiungere un equilibrio armonioso. Tuttavia, sembra che la mente separata senta il bisogno di identificarsi con un polo o l'altro, e così è che la maggior parte delle persone tende a concentrarsi sulle Arti o sulle Scienze ad esclusione virtuale dell'altro. Questo è attivamente incoraggiato nel nostro sistema educativo, in cui i bambini spesso sono costretti a fare una scelta tra materie artistiche e scientifiche. Questo tende inevitabilmente a produrre persone sbilanciate. Pochi davvero sono gli individui che vedono la rilevanza, e davvero il bisogno, di entrambi gli aspetti – ancora meno il numero di chi realmente raggiunge quell’equilibrio. Il risultato è un abisso di comprensione tra gli specialisti di entrambe le parti.

Naturalmente, parte della ragione di questa divergenza è la massa di materiale che è stata accumulata nella via della conoscenza, le montagne di dati che devono essere digeriti prima ancora di raggiungere una comprensione superficiale di un'area specifica, diciamo, di biochimica. I particolari delle varie divisioni o rami di conoscenza sono ora così ampi che diventa sempre più difficile ottenere una sorta di visione panoramica.

Che una tale panoramica sia desiderabile sembra ovvio; è facile arrivare così vicino e assorbiti nei dettagli che la distesa più ampia e gli schemi si perdono, e noi non possiamo vedere il legno per gli alberi (ndt non essere in grado di comprendere chiaramente una situazione per esserne troppo coinvolti). Tuttavia, nonostante questa riserva sull'enorme compito necessario solo per la specializzazione, è più probabile che la vera ragione della divisione Arte/Scienza sia l'identificazione con un polo o un altro. Molto prima che arrivi il momento della specializzazione, un bambino è gravitato verso un polo o l'altro, immerso in uno dei flussi apparentemente divergenti. Sarebbe interessante sapere a che livello è responsabile il condizionamento rispetto ai fattori intrinseci; certamente, entrambi devono fare la loro parte.

Lo stesso tipo di divisione si manifesta in altri campi e su altri livelli. Tuttavia, la base è un'apparente divisione tra sentimento e conoscenza, talvolta caratterizzati più o meno come intuizione e logica, emozione e pensiero, astratto e concreto, e, naturalmente, Arte e Scienza. Va tenuto presente che queste divisioni sono alquanto arbitrarie e le distinzioni tra i due poli sono quindi piuttosto sfocate. Tuttavia, le connessioni ci sono. Un buon esempio è la scissione tra intuizione e logica - come potremmo aspettarci dalle nostre deliberazioni fino ad ora, una divisione che è più apparente che reale. Quelli in cui uno predomina sembrano diffidare di quelli che hanno l'inclinazione opposta. L'intuizione sembra funzionare sulla base di un sottile rilevamento di una cosa o di una situazione nel suo complesso. Mentre il pensiero logico tende ad affrontare un problema mediante l'analisi, l'intuizione tenta un approccio più olistico. È interessante notare che a volte l'intuizione viene definita "il sesto senso" - cioè qualcosa oltre i cinque sensi comunemente accettati. La chiaroveggenza sembrerebbe essere una funzione di un'intuizione ben sviluppata. Le persone che fanno grande affidamento sull'efficacia del pensiero logico o del ragionamento deduttivo di solito hanno una grande sfiducia nell'intuizione; poiché non riescono a vedere una catena di ragionamenti logici, la considerano una congettura o anche una pura fantasia. Tuttavia, la riflessione di un momento mostra che entrambi hanno il loro posto e si completano a vicenda. La scoperta scientifica sarebbe dolorosamente lenta se il progresso fosse basato da solo sulla logica o sul ragionamento analitico. Ci sono così tante opzioni da coprire, così tante possibilità da considerare, tanti dati potenziali da elaborare, che in effetti l'investigatore deve "azzardare un'ipotesi" - cioè, fidarsi dell'istinto - su quale area o direzione di ricerca sarebbe più fruttuoso e lavorare in quella direzione. Il fatto è che l'intuizione e la logica non sono solo complementari e hanno bisogno l'uno dell'altro per funzionare al meglio, ma sono la stessa cosa che funziona, in modi diversi.

Possiamo rintracciare questo ad un ulteriore livello, la dualità di introversione ed estroversione, e ancora una volta ciò corrisponde ampiamente alla scissione tra intuizione e logica. Gli introversi dovrebbero essere più in contatto con i propri "sentimenti", gli estroversi più in sintonia con il "mondo esterno". Gli introversi tendono ad essere introspettivi, preferiscono le Arti, tendono a lavorare più per intuizione. Per comparazione, gli estroversi sono più rivolti all’esterno, attratti più dalle Scienze e preferiscono il ragionamento logico. L'introverso si affaccia verso l'interno, l'estroverso verso l'esterno. È necessario, naturalmente, sottolineare che si tratta solo di tipi puri. In pratica, le persone tendono ad essere una fusione dei due in una certa misura.

Siamo ora in una fase delle nostre indagini in cui abbiamo bisogno di fare un bilancio. Queste categorie che stiamo creando - Arte e Scienza, intuizione e logica, introversione ed estroversione, dentro e fuori - hanno un significato solo dal punto di vista del dualismo, o di due poli opposti. Tuttavia, è stato precedentemente sostenuto che la realtà è non duale. Questi poli sono in effetti aspetti della stessa cosa. La divisione che stiamo studiando è solo concettuale e non reale. Tuttavia, a causa della diffusa accettazione del dualismo, questa visione della realtà come divisa tra due poli contrapposti è ampiamente accettata. Essa conduce a persone che tendono a concentrarsi su un polo o sull'altro, ad esclusione della sua controparte, e quindi a perpetuare e persino ad aggravare la predisposizione che hanno. Chiaramente la divisione dualista, anche se concettuale in origine, si perpetua attraverso il condizionamento o preconcetto.

L'intera gamma di esperienza umana dipende da questa divisione, una divisione che è illusoria. Non importa cosa possa essere la natura della realtà, i nostri preconcetti agiscono come una sorta di camicia di forza, in cui la percezione e l'esperienza sono costrette o distorte in questa forma preconcettuale. Quindi un'interpretazione dualista della realtà è sostituita per la realtà stessa, e si auto-perpetua. A un livello fondamentale questa scissione può essere ulteriormente illustrata considerando Magia e Misticismo. Anche se essi stessi sono una dualità, almeno indicano la strada verso la dissoluzione della nostra abitudine preconcettuale di ordinare e organizzare la percezione.

 

3: Verso la Reintegrazione

In termini di mente separata e della sua proiezione sulla realtà, la Magia è generalmente correlata alla conoscenza o alla logica, all'estroversione e alla Scienza.  Allo stesso modo, il Misticismo può essere visto come collegato al sentimento, all'intuizione, all'introversione e alle Arti. Queste sono ovviamente correlazioni approssimative piuttosto che precise. Una distinzione semplice ed approssimativa tra la Magia e il Misticismo è che mentre il mago manipola l’apparenza, il mistico cerca di dissolverla. Il mago fondamentalmente gioca con l'illusione - infatti, la parola "magia" deriva dalla stessa radice di maya, che significa illusione o manifestazione. Generalmente egli cerca di penetrare i suoi misteri non tanto per cercare la "realtà" quanto per plasmarla nel modello che sceglie. La magia tende a consolidare l'ego, il senso dell'identità individuale: il mago sembra manipolare e produrre effetti, e questo conduce a un senso di volontà, creatività e potere. Portato agli estremi, questo può portare alla megalomania e ad indentificare sé stessi con Dio. Il mistico cerca, al contrario, di strappare o dissolvere il velo dell'illusione nella ricerca di qualcosa che è concepito come al di là. Piuttosto che proiettarsi verso l'esterno sulla forma, cerca di rivolgere la propria mente verso l'interno nel tentativo di localizzare il percettore. Cerca di dissolvere il senso dell'identità individuale, di ritirarsi dall'idea di ego.

Accade raramente che una persona sia interamente un mago o un mistico, ma di solito l'uno o l'altro predomina. Crowley, per esempio, si considerava molto più un mistico che un mago. Tuttavia, esaminiamo prima i tipi puri. Ci aspetteremmo che prima o poi il mago, dopo aver giocato con la manifestazione quasi come un bambino gioca con la plastilina, inizi a sospettare che la cosa sia davvero illusoria, e inizi a chiedersi cosa diavolo stia succedendo. In effetti, si potrebbe sostenere che la comprensione della natura di maya attraverso la sua manipolazione sia lo scopo principale della Magia. Comunque, la maggior parte dei maghi sembra giocare abbastanza felicemente anno dopo anno senza il sospetto di una simile intuizione che sollevi la sua testa minacciosa per rovinare il divertimento. Naturalmente, come è già stato suggerito, la Magia tende a rinforzare l’ego, a potenziare l’identificazione con il concetto di un sé individuale. Il mago, attraverso i suoi giochi di prestigio, può facilmente convincersi di esercitare una specie di controllo volontario sugli eventi. L'auto-esaltazione è una conseguenza di ciò; in ultima analisi, non importa quali pepite di oscura conoscenza siano estratte, non importa quali potenti trasformazioni della coscienza siano vissute, il concetto di un sé individuale che fa tutte queste cose rimane.

Ci sono pericoli e seduzioni anche per il mistico puro. Questa via è molto sottile, e il praticante deve "suonarla a orecchio". La difficoltà più ovvia è, naturalmente: come si può "dissolvere l'ego"? Dopo tutto, la frase implica una sorta di attività volitiva da parte del sé apparente o ego – esso cerca di dissolvere sé stesso – e tale ambizione si limita a rafforzare proprio ciò che, si spera, deve essere negato! A parte questo inconveniente, è inevitabile che il mistico si disimpegni da maya e dai suoi imbrogli almeno in una certa misura. Se questo non viene fatto a poco a poco, anziché in fretta, sottilmente anziché in modo brusco, come la caduta delle foglie autunnali anziché come la rapida defogliazione, allora la conseguente "ricaduta" ambientale o reazione rischia di essere dirompente e insistente.

Ci sono buone ragioni per questo. Non è impresa del mistico sfuggire al samsara, qualunque cosa ciò possa significare, perché chi è lì per fuggire da cosa? - ma piuttosto per risvegliarsi alla realtà o – oso dicendolo - alla coscienza cosmica. In ultima analisi, il samsara non è diverso dal nirvana. Dire che la manifestazione è un'illusione dietro la quale si maschera la realtà è concettualizzare, stabilire una dualità ed è errato. Un disimpegno troppo rapido di solito significa che il mistico non riesce a vedere attraverso la falsità del dualismo il non-duale o l'advaita. Egli pensa di fare progressi tentando di sfuggire a maya piuttosto che vederla per quello che è - maya, e non più reale o irreale di qualsiasi altra cosa.

Magia e Misticismo, allora, costituiscono una dualità, forse la dualità basilare. Tuttavia, tutte le dualità sono puramente concettuali e quindi in definitiva false. Viste come tendenze predominanti in un individuo, tuttavia, possono essere abbastanza utili. Dovrebbe essere evidente che una sorta di fusione tra i due è necessaria, ed è comunque il caso. La Magia senza Misticismo diventa un’inutile e infinita manipolazione di maya, masturbatoria e narcisistica. Il Misticismo senza Magia, tuttavia, può essere semplicemente un rifugio da maya che è anche inutile e può portare solo alla quiete della tomba. Come tipi puri, il mago saltella nel samsara mentre il mistico dorme nel nirvana. Tuttavia, samsara e nirvana sono gli stessi - assolutamente e completamente lo stesso. E la percezione differisce solo perché è interpretata - o meglio, mal interpretata - in termini di un quadro concettuale preconcetto.

Ciò che è necessario è forse una sorta di Via di Mezzo, che prenda sia dalla Magia che dal Misticismo, pur riconoscendo che, come concetti, sono distinti. Un tale sentieri eclettico potrebbe forse essere descritto come “Illuminazione Comparata”. L'aspirante si sentirebbe libero di considerare tutti i sistemi e le tradizioni il più possibile grano per il suo mulino, ma si spera che si prenda la briga di capire qualcosa prima di ingerirli. Il punto di partenza di ogni aspirante è un individuo che si sente disilluso dalle cose come sembrano, e che sospetta che la realtà sia qualcosa di diverso da ciò che comunemente passa per essa. Se ha qualche discriminazione, studierà vari sistemi e filosofie prima di decidere cosa vuole fare; se non ha discriminazioni, ovviamente è in grado di inghiottire il primo boccone che si presenta. L'aspirante spera, come risultato dei suoi studi e delle sue pratiche, di "scoprire la realtà".

Una tale metodologia, un percorso eclettico, potrebbe essere definita Yoga Occidentale. Questo può sembrare un termine fuorviante, poiché lo yoga è spesso associato ai metodi orientali. Tuttavia, in questo caso intendiamo un mezzo per l'illuminazione adatto agli Occidentali. Tale yoga partirà dal punto di vista di un aspirante che deve superare un dualismo concettuale per raggiungere una realtà non duale. A rigor di termini, questo è falso: non c'è infatti nulla da superare, se non l'idea che c'è qualcosa da superare! Tuttavia, per quanto riguarda l'aspirante, invischiato com'è nella sua visione condizionata e dualistica, questo è qualcosa che deve, in un modo o nell'altro, essere superato. All'inizio della sua ricerca, ovviamente, avrà poca idea di ciò che sta cercando e tenderà a giocherellare a volte con questo, a volte con quello. Molti di questi ricercatori non arrivano mai ad avere un'idea di una realtà non duale. Tuttavia, quelli che lo fanno affrontano un problema apparentemente intrattabile nel raggiungere quella realtà non duale.

Ritorniamo per un momento a quel termine che abbiamo usato, yoga. La radice di questa parola Sanscrita dà origine alla parola inglese "yoke", unire. Yoga può quindi essere tradotto come unire. Tuttavia, questo sembra dire poco. Unire cosa con cosa? La risposta data spesso è unire il jivatman, o sé individuale, con il brahman, o sé universale. Yoga, quindi, è un nome dato a ogni pratica o sadhana che ha questo fine dichiarato.  Lo svantaggio è, tuttavia, che l'individuo non esiste; solo il sé universale esiste, e quindi non si tratta di unire qualcosa. Ne consegue che ogni sadhana perseguita con una tale unione come obiettivo è davvero inutile e serve solo a rafforzare ulteriormente l'illusione di un sé separato e individuale.

Così tante tradizioni magiche e mistiche sembrano essere costruite su questa base di dualismo; e fintanto che viene accettato, anche tacitamente, la realtà è più lontana che mai. Le religioni occidentali - come il Cristianesimo, il Giudaismo e l'Islam - sono strettamente dualiste. C'è il creatore, Dio, e c'è il creato, l'ordine naturale. I mistici di queste religioni che hanno riconosciuto una realtà non duale sono pochi. Per la maggior parte di essi i loro preconcetti sono troppo forti e le loro visioni rimangono dualistiche. Molti Thelemiti, forse la maggior parte, mantengono anche questa visione dualistica. La massima "Ogni uomo e ogni donna è una stella" si presta troppo facilmente al concetto di un individualismo basilare ed eterno, essenzialmente un'anima. Una critica al "Sistema" di Crowley è che incoraggia l'idea che la realtà o la verità sia qualcosa che si può ottenere solo dopo una lunga, estenuante e difficile lotta. Il suo nome magico, il latino Perdurabo - lo resisterò - lo dimostra abbastanza chiaramente. Finché il ricercatore pensa che ci sia una sorta di "sistema" che può seguire e una realtà finale alla quale può arrivare, correrà in cerchio.

Se ogni sforzo verso l'illuminazione è controproducente, cosa si può fare? La vera risposta è: niente. La realtà è non duale e deve essere vista direttamente, poiché la sua espressione in termini dualistici è immediatamente falsa. Questa intuizione diretta è Prajna, a volte tradotto inadeguatamente come Saggezza. Tuttavia, Prajna non è l'esperienza della realtà, né l'intuizione diretta: è la realtà! Questo deve essere il caso, perché se la realtà non è duale, allora non c'è alcun percettore che la percepisca; il più vicino che possiamo arrivare ad esprimerlo è dire che c'è un percepire. Questo è ancora fuorviante, perché conduce a un concetto di percezione. Tutto quello che possiamo dire sulla realtà è che è - tenendo a mente che è la polarità di non è. Meglio non dire nulla, poiché tutto ciò che possiamo dire è falso? Senza dubbio, ma questo è di scarso aiuto per il povero aspirante, che lotta nel fango di maya e dell’illusione, cercando qualche via attraverso.

Il punto è, che questo processo di lotta e inutilità da parte dell’aspirante è uno stadio molto necessario ed importante. In primo luogo, la conoscenza di una realtà non-duale è concettuale e teorica. Egli può aver convinto intellettualmente sé stesso che ciò deve essere vero; ma questa “convinzione” rimane ad un livello superficiale. Tuttavia, per realizzarlo – renderlo reale – egli deve avere qualche esperienza di esso. La conoscenza concettuale può essere inadeguata, ma è almeno un inizio. È quando un aspirante ha esaurito le possibilità del dualismo, ha compreso i suoi limiti, che può nascere una comprensione diretta e intuitiva della realtà. La mente è esausta, calma e cessa la sua agitazione. In queste circostanze può sorgere un diretto vedere-dentro. Questo è probabilmente lo "scopo" dietro il metodo koan della scuola di Zen Rinzai, per cui allo studente viene dato un koan o un enigma apparente, e gli viene detto di tornare dal Maestro quando lo ha risolto. Può essere che l'elemento cruciale qui sia l'induzione della quiete o della recettività attraverso l'esaurimento dell'intelletto nei suoi inutili tentativi di "risolvere" il koan. Nel sistema del raja yoga una delle pratiche consiste nel raggiungere la concentrazione mentale o l'unidirezionalità, sopprimendo i pensieri man mano che si presentano. Ora, chiunque ha provato questa pratica sa quanto questo sia realmente difficile. L'atto stesso di tentata soppressione, invece di diminuirla, aumenta l'attività del pensiero, che come tutti i bravi pagliacci ama un pubblico. Comprendendo ciò con un'esperienza amara, il praticante acquisisce l'abilità di ignorare i pensieri invece di reprimerli. È stato ritenuto che solo dodici secondi di concentrazione reale - cioè senza attività di pensiero - siano sufficienti per indurre il samadhi. Tuttavia, "indurre" è probabilmente la parola sbagliata qui; sarebbe probabilmente più accurato dire che il samadhi sfonda. Anche allora, rendiamo il samadhi troppo dinamico! Piuttosto, la percezione è ora diretta ed immediata, essendo cessata l'oscura cacofonia dell’attività mentale.

Questa è la necessità cruciale, semplicemente vedere e sperimentare la realtà com'è realmente, piuttosto che attraverso un quadro concettuale condizionato. Sembra semplice, e in effetti è semplice - ma la nostra concezione di "illuminazione" è spesso che si tratta di una questione seria, complicata e difficile. Chissà quali sono i preconcetti che abbiamo, a quale obiettivo o obiettivi puntiamo, ma esageriamo con tutti! Solo nella totale assenza di preconcetti può verificarsi l'intuizione diretta, può sorgere Prajna. Questa è l'intuizione suprema, la percezione suprema. Se questo vedere diretto è ciò che si intende per illuminazione, allora l'illuminazione è davvero lo stato naturale della coscienza, in contrapposizione allo stato concettualmente limitato che siamo arrivati ​​ad accettare come normale. Illuminazione nel senso di qualcosa che accade a un'entità è sbagliato. Il termine corretto è risveglio - il risveglio a una realtà che è sempre presente e sempre nostra, se non fosse che lo sappiamo.

"Illuminazione" implica che c'è un individuo da illuminare, e inoltre che questo è uno stato speciale, anormale. Il "risveglio" può anche dare origine al concetto di un individuo da risvegliare; ma ha almeno il vantaggio di implicare che l'individuo si sveglia, come da un sogno - che è esattamente ciò che accade. Si sta risvegliando dal sogno di vivere, dal sogno o dall'illusione dell'individualità; risvegliandosi per scoprire, per riscoprire che c'è solo una realtà indifferenziata, e questo è tutto ciò che un individuo - o piuttosto, l'individuo apparente - era, è e sarà. Non c'è alcun obiettivo da raggiungere, niente da ottenere, nessun posto dove andare. C'è sempre e solo ora, e io.

Detto in questi termini, sembra tutto così incredibilmente semplice. Eppure, all'aspirante sembra senza speranza. In ultima analisi, non vi è alcun obiettivo da raggiungere, e in effetti concettualizzare un obiettivo ci porta solo lontano dall'intuizione diretta. Non può essere sperimentato provando. Tuttavia, non possiamo cercare deliberatamente di "non provare"! non sarebbe d'aiuto comunque, dal momento che "non provare" è solo il polo opposto di "provare", e quindi dualistico come qualsiasi altro concetto. Se questa intuizione diretta è la realtà - vedere come essa è realmente, senza mediazioni di interpretazione - allora è uno stato di pura naturalezza che stiamo vedendo-dentro. In tal caso è spontaneo, non affettivo. Quindi, tutto ciò che serve è essere naturali. Questo è ovviamente più facile a dirsi che a farsi dal momento che la nostra idea di naturalezza è così storta. Tutto ciò che è necessario è che riscopriamo la nostra originalità, la spontaneità intrinseca ed essere naturali, essere noi stessi.

Questa spontaneità equivale alla Vera Volontà, sebbene la nozione Thelemica come comunemente presentata sia aperta all'interpretazione errata. La Vera Volontà è universale, non individuale. L'universo, che è la realtà, si comporta nel solo modo in cui può - spontaneamente. "Io" non sono un individuo, ma un aspetto dell'universo; in realtà "Io" sono l'universo, e tutto ciò che "io" faccio è un'espressione della mia Vera Volontà - anzi, è questa Vera Volontà. La Vera Volontà è l'unica volontà, e ogni altra è solo apparente o illusoria. Come possiamo raggiungere questa vera volontà? Fondamentalmente, smettendo di concettualizzare, rilassandoci ed essendo come siamo, perché in realtà non c'è altro modo di essere. Non possiamo essere volontariamente spontanei o cercare di essere spontanei. Tutto ciò che è necessario è rilassarsi e lasciarsi andare - lasciare andare le concezioni, le illusioni. Poi accade, e c'è solo spontaneità.

In realtà, tutto ciò che accade è spontaneo, senza eccezioni. La realtà è sempre qui e ora. C'è sempre e solo qui e ora, che è la Vera Volontà dell'universo. È una nozione comune che abbiamo il libero arbitrio e una nozione altrettanto comune che tutto è predeterminato, predestinato. Entrambe sono sbagliate e sono poli opposti di una dualità concettuale. La nozione di libero arbitrio richiede un individuo per esercitarlo, e in realtà non ci sono individui.

Considerazioni simili si applicano alla predestinazione. Entrambe le idee attingono alla nozione di tempo, che a sua volta è solo una misura concettuale di movimento. Il modo in cui persiste la nozione di libero arbitrio è un mistero, poiché non è possibile testare questa ipotesi. Tale test richiederebbe ripetere esattamente una serie di circostanze e vedere se fosse possibile scegliere di agire diversamente. Anche all'interno di una corrente di tempo mobile, un tale esperimento sarebbe impossibile. Le stesse considerazioni valgono per il concetto di predestinazione. Entrambi i concetti sono sbagliati, dal momento che sono invariabilmente concetti.

È questa conoscenza, che non esiste né predestinazione né libero arbitrio, che fornisce una via diretta per l'aspirante. Tutto ciò che accade è spontaneo, o linguaggio Thelemico, Vera Volontà, e l'unico problema sta nel preoccuparsi che non sia così! Quando egli smette di preoccuparsi di comportarsi in modo "corretto" o meno, può rilassarsi, e questa è una fase importante. È solo dopo aver rilasciato, o lasciato andare i concetti, che può aver luogo un diretto vedere-dentro. Pertanto, torniamo di nuovo allo stesso punto, il problema sta nella disparità tra la realtà e la nostra concezione di esso. Naturalmente, questa affermazione stessa crea una dualità concettuale ed è quindi falsa; ma è l'unico modo in cui possiamo indicare il problema all'interno della struttura del linguaggio dualistico. Ancora una volta: la realtà, essendo non duale, non può essere espressa in modo dualistico. Ecco perché l'intuizione diretta è così importante. Questo è anche il motivo per cui, nelle tradizioni come il Ch'an o lo Zen, la concettualizzazione è respinta a favore dell'azione diretta; è puntare verso una realtà che non è solo al di là delle parole e dei concetti, ma positivamente oscurata da essi. In risposta alle domande sullo Zen e sulla "natura della realtà", i Maestri darebbero risposte irrazionali, aggredirebbero l'interlocutore, distruggerebbero un vaso o dimostrerebbero in qualche modo l'importanza del qui-e-ora e del come è. Tali atti fanno smettere il pensiero e la concettualizzazione e indicano direttamente. Intellettualmente sono sconcertanti, ma questo perché l'intelletto può essere solo una distrazione da questa intuizione diretta.

Il "sentiero" dalla dualità alla non-dualità è puramente pragmatico. Concetti, simboli e logica possono essere usati lungo il cammino. Tuttavia, la loro unica utilità sta nel fatto che puntino o meno verso il non duale; non ci può essere alcun dubbio se siano o meno giusti, veri o qualcosa del genere. Essendo concetti, non possono possibilmente essere veri; ma se cominciano a indicare la via d'uscita dal labirinto di un concettuale, dualistico e condizionato modo di guardare il "mondo", allora sono stati utili. In questo senso tutte le dottrine, le tradizioni e così via sono intrinsecamente false se prese come vere, ma dovrebbero piuttosto essere viste come pietre miliari alla percezione diretta di una realtà non duale.

L'obiettivo non è obiettivo, e la via non è via. La cosa non è cosa, e il cercatore non è cercatore. La realtà di cui si può parlare non è la realtà, poiché la realtà è al di là delle parole. Tutte le nostre categorizzazioni sono false, perché sono i nostri concetti o etichette e non la realtà stessa. La realtà è vuota di concetti, vuota di divisione, vuota di ogni cosa. L'intuizione diretta della realtà è di per sé quella realtà - non c'è divisione in conoscitore e conosciuto, vedente e visto, percettore e percepito. Questa intuizione diretta è davvero tutto ciò che è, e il resto è una sovrapposizione concettuale.

 

"Non c'è né creazione né distruzione,
  Né destino né libero arbitrio,
  Né percorso né risultato;
  Questa è la verità finale."

  Sri Ramana Maharshi



© Michael Staley