Ogni evento è un’unione di una qualche monade con una delle
esperienze ad essa possibili. “Ogni uomo e ogni donna è una stella” – cioè, un aggregato di
tali esperienze, costantemente cangianti con ogni nuovo evento, che
influenza lui o lei sia consciamente che inconsciamente.
Ognuno di noi ha così un universo suo proprio, ma è lo stesso
universo per ognuno fino a che esso include tutta l’esperienza
possibile. Questo implica l’estensione della coscienza ad includere
tutta l’altra coscienza.
Crowley, introduzione a Liber
AL.
Thelema è spesso compresa solo nei termini della sovranità
dell’individuo, e di tutti i diritti inalienabili che ne
scaturiscono. Naturalmente questo è perfettamente valido, portando
ad alcune valide intuizioni. È un inevitabile punto di partenza nel
sondare le profondità di Thelema. Indulgere
esclusivamente su di esso, comunque, vuol dire ignorare
un'abbondanza di ricche risonanze e sottili sfumature. Curiosamente,
vi è una grande resistenza nel tentare di allargare la comprensione
generale di Thelema. Ciò è senza alcun dubbio un riflesso
dell’innata tendenza ad attaccarsi ad una identità adorata – ed in
termini più personali, a cercare rifugio nel ghetto
dell’individualità.
Thelema è una chiave universale, ed ha
una applicazione molto più ampia di quella che può suggerire il suo
confinamento a circoli occulti. Questo saggio si focalizza in modo
piuttosto ravvicinato sull’idea della Vera Volontà, la cui essenza
risiede nell’Andare piuttosto che nell’Essere. Il suo simbolo è
l’ankh, la crux ansata, la cinghia della caviglia, il simbolo
egiziano dell’andare. Attraverso l’esistenza noi condividiamo il
Sacramento dell’Essere nel suo aspetto dinamico dell’Andare. Questa
è maya, lila, l’illusione della manifestazione. È il
Gioco Divino che l’Essere produce, al fine di goderlo. Alla fine, la
manifestazione avviene per il suo proprio bene, ed è in essenza pura
gioia, totale abbandono, assoluta licenziosità. L’esistenza è in
essenza senza scopo. Qui risiede l’innocenza di Arpocrate, il
Bambino nell’Uovo Blu, Hoor-paar-kraat. La manifestazione è il
Bambino generato dall’eterna, incessante interazione o accoppiamento
di Nuit e Hadit, e l’apice della realizzazione è il recuperare la
consapevolezza di questa identità.
La Materia è
energia. Spirali e intrecci di energia, intricate, interconnesse ed
estatiche fanno sorgere l’illusione della Forma. Questo processo è
sempre dinamico, sempre trasformativo. Noi siamo eternamente
imminenti, incarnandoci di nuovo in ogni istante. La forma sorge,
fiorisce, decade e si dissolve. L’energia che in-forma o incarna è
tuttavia eterna, e crea un’altra volta nuove forme, nuove strutture.
La clessidra dell’esistenza viene girata di nuovo e di nuovo ancora.
Se non ci svegliamo da questa commedia eterna, questa essenza di
magick o maya, non vedremo mai al di là della seduzione della
forma. Svegliarsi, tuttavia, è ancora partecipare al dramma, ma
parteciparvi conoscendolo. Noi tessiamo gli arazzi, conoscendo il
loro posto nel tutto. “Ma voi, O mio popolo, alzatevi e
svegliatevi!”.
Questo saggio cerca di tracciare il filo
dorato dell’estasi attraverso i vari livelli – dall’Essere al Non
Essere, dal Due allo Zero. Queste più sottili sfumature di Thelema
possono essere illuminate da riferimenti a varie idee di misticismo
orientale. Nell'analisi finale, comunque, la ricchezza di Thelema
trascende persino queste tradizioni e può essere vista come la loro
recensione Occidentale. Infine, attraverso una appendice viene
citato un passaggio di Crowley. Questo è tratto da Il Rituale del
Segno della Bestia, e viene qui aggiunto per dimostrare che
l’interpretazione di Thelema, com'è qui presentata, è completamente
in accordo con i suoi principali fautori nei tempi moderni.
I.
La parola della Legge è Thelema. Chi ci
chiama Thelemiti non sbaglierà, se egli esaminerà intimamente la
parola. Fai ciò che vuoi sarà tutta la Legge. AL
I, 39-40. Thelema è il nome dato ad un corpo di
dottrina mistica e magica che è venuto ad essere associato con
Crowley. Questo è in molti modi comprensibile, visto che egli fu il
suo primo esponente nei tempi moderni e diede coerenza, chiarezza e
fascino a quello che è stato considerato come il Culto di Thelema.
Tuttavia, come egli spesso sottolinea, esso non ebbe origine da lui,
e non fu in alcun senso una sua invenzione. Al contrario egli stava
essenzialmente trasmettendo una corrente che esisteva già. Vedere
Thelema in qualche modo come una creazione di Crowley e così
focalizzarsi su di lui come il nucleo centrale della dottrina non la
rende niente più che Crowleyanità. Questo serve soltanto a sminuire
ed oscurare le ramificazioni e le sottigliezze più profonde. La
forza di Thelema deriva dalla sua essenziale universalità, dalla sua
affinità con altre tradizioni ed è in questo contesto che può essere
compresa al meglio.
Come è risaputo Thelema è una parola greca che significa Volontà ed
è un compendio molto appropriato del Culto, del suo significato
fondamentale e della sua applicazione. Essa è anche spesso
riferita come Corrente 93, visto che per virtù della cabala greca la
parola Thelema assomma a 93. Di nuovo Crowley non arrivò a questa
parola come un riassunto della dottrina. Piuttosto essa viene data
come un termine di cardinale importanza ne Il Libro della Legge
o Liber AL, un testo complesso e profondo di tre brevi
capitoli comunicati a Crowley nell’aprile del 1904 da una
intelligenza praeter-umana chiamata Aiwass. La parola Thelema è un
eccellente sommario delle due sentenze chiave di quel testo: “Fai
ciò che vuoi sarà tutta la Legge”, e “Amore è la legge, amore
sotto la volontà”. Critici hanno dimostrato la loro
superficialità e mancanza di percezione confondendo la volontà con
il volere e interpretando “Fai ciò che vuoi” come “Fai quello che ti
pare”. Essi hanno così mancato il punto in un modo che è
stupefacente nella sua suprema banalità.
La Volontà è generalmente vista come una forza trainante più
fondamentale di semplici capricci o fantasie, che sono semplicemente
onde transitorie o increspature sulla superficie dello stagno. In
termini di Thelema la Vera Volontà è il dinamismo fondamentale che
sgorga proprio dal nucleo dell’individuo. Il Liber AL esprime
ciò in un modo molto bello dicendo che ognuno di noi è una stella
nello spazio, con la nostra propria orbita o vero sentiero. Questa
orbita è la nostra traiettoria, la nostra Vera Volontà, l’impulso o
dinamismo che sottende a noi come individui. Dovrebbe essere dovere
di ognuno di noi accertare la nostra vera orbita, e cercare di
seguirla sinceramente. In altre parole, la nostra Vera Volontà può
essere considerata come il nostro luogo naturale nell’universo, il
nostro corso assegnato, il nostro moto inerente e peculiare
attraverso il firmamento stellato di Nuit. La Vera Volontà può
essere così compresa come destino, come funzione naturale. Come
Crowley la pone, essa ordina alle stelle di brillare, alle viti di
dare grappoli, e all’acqua di cercare il suo livello.
Quindi la Vera Volontà può essere vista come una forza trainante più
profonda, inconscia, che alcune volte risuona nel sangue come
istinto. Comunque, solitamente essa trova una rifrazione e
diffusione cosciente, imperfetta e insipida, in una pletora di
voglie e desideri, una confusione di spinte conflittuali e di
impulsi da tutte le parti. Quando la volontà conscia o di superficie
di un individuo è in disaccordo con la sua corrente sottostante, la
sua Vera Volontà inconscia, allora egli sta nuotando contro la
corrente, e così non solo disperdendendo le proprie energie, ma
coinvolgendo anche gli altri. Ognuno di noi ha la propria Vera
Volontà o linea naturale di sviluppo ed è evidentemente nel nostro
migliore interesse scoprire la propria ‘tendenza naturale’ ed
allineare ad essa la propria volontà conscia. Per continuare
l’analogia precedente, egli allora nuoterà con la corrente piuttosto
che contro di essa, perseguendo il suo giusto sentiero o orbita.
Vista in questo contesto Thelema è evidentemente di gran lunga
più profonda di quello che immaginano i critici di Crowley. Questo
tuttavia suggerisce la domanda: perché il divario tra la Vera
Volontà e il desiderio conscio? Se la Vera Volontà è di fatto la
volontà naturale, perché succede che non siamo apertamente e
consciamente guidati da essa; e così perché non andiamo per la
nostra strada gioiendo? La ragione risiede principalmente nel
condizionamento sociale, un’imposta conformità di valori e idee con
cui tutti siamo più o meno infettati. Dalla nascita siamo
incoraggiati a seguire un codice innaturale di condotta, piuttosto
che la via o tendenza che i nostri istinti ci dicono essere
naturale. Di fatto siamo incoraggiati a diffidare dei nostri
istinti, e invece di confidare sulla ‘logica’, sulla ‘ragione’ o
‘coscienza’ come guide al comportamento ‘appropriato’. Questo è
stato caratterizzato da Nietzsche ed altri come ‘istinto del branco’
che può essere ben naturale per le mucche e le pecore, ma che a
fatica si addice all’idea Thelemica più esaltata di ‘uomo regale’ o
‘donna regale’. La relazione tra la volontà conscia, condizionata e
la Vera Volontà può essere forse meglio trasmessa dall’immagine del
sole in un giorno nuvoloso, il quale cerca di trovare una via
attraverso le dense nuvole d’ostacolo. La luce del giorno è,
naturalmente, la luce solare; e più il sole è oscurato dalle nuvole,
più essa diviene debole e insulsa. In modo simile la nostra Vera
Volontà è coperta da un denso accrescimento di condizionamento
sociale e la sua intensità naturale è di conseguenza indebolita e
distorta. È questo miscuglio di comportamento condizionato, condito
con un goccio slavato di Vera Volontà che forma la volontà conscia.
Noi siamo quindi ingannati riguardo il nostro diritto di nascita;
invece di ardere nel nostro centro con la vera intensità
dell’impetuosa energia creativa, soltanto una debole frazione riesce
a combattere per la sua via attraverso gli strati dell’isolamento,
producendo un debole bagliore che brilla fiocamente. Che questo
possa sembrare più conveniente da un punto di vista politico,
sociale ed economico è fuori discussione. Il risultato pratico è
questo, che noi come individui siamo indeboliti. Alchemicamente,
l’oro è trasformato in piombo.
Espresso in questo modo, può sembrare che tutto quello che dobbiamo
fare è mettere da parte il nostro condizionamento sociale e bearci
nella radiosità della nostra Vera Volontà. Comunque questo è
sottostimare seriamente le profondità a cui penetra tale
condizionamento. Davvero raro è per qualcuno svegliarsi
improvvisamente alla propria Vera Volontà e quindi procedere
gioiosamente sul proprio sentiero naturale. Il risveglio stesso può
sembrare improvviso, come un fulmine; ma è un culmine, un apice, e
si gloria su un terreno ben preparato. Dobbiamo apprendere
nuovamente a vivere in maniera più naturale, avere più fiducia nei
nostri istinti, e prestare più ascolto alla voce interiore. Più
propriamente è un caso di dis-apprendimento, di abbandonare i
falsi accrescimenti di comportamento condizionato e permettere alla
stella interiore di brillare nella sua naturale intensità.
Molti temerebbero questo come anarchia, come una forma di
ribellione, fraintendendo la mancanza di restrizione esteriore come
licenza. In un senso questa é anarchia – l’anarchia della quercia,
che fiorisce nella sua stagione in accordo con il suo ritmo
naturale. È anarchia nel senso di assenza di restrizione
artificiale, di disciplina imposta da una ‘autorità’ esterna. Si
potrebbe dire che il Liber AL è indirizzato all’uomo regale,
l’individuo che è impegnato nell’intento di scoprire la sua Vera
Volontà e compierla. “Ma tu, O mio popolo, sollevati e destati!”
Una volta che l’individuo ha fatto questo e opera con l’intensità di
un’imponente centrale elettrica interiore – piuttosto che la
patetica, fiamma crepitante della candela che noi siamo inclini a
chiamare ‘vivente’ – allora la sua Volontà non può fallire la
realizzazione, perché egli è pienamente consapevole della sua
funzione naturale nell’universo e la necessità – di fatto
l’inevitabilità – di realizzarla. Liber AL, quel potente
fiorire e sunto di Thelema, canta appassionatamente e sensualmente
ad “ogni cuore dell’uomo”, che dobbiamo risvegliarci alla
nostra vera identità e vivere pienamente la nostra vita. Al presente
Thelema è elitaria, ma soltanto nel senso che pochi stanno
ascoltando il suo messaggio e ancora meno lo stanno comprendendo. “Gli
schiavi serviranno” – ma soltanto fino a quando essi sono
contenti di rimanere legati in schiavitù e nell’ignoranza della loro
splendente identità regale.
Thelema è una fiamma lucente, una potente chiamata alle armi, e può
essere vista come il prossimo passo per l’umanità. Crowley ipotizzò
che con la trasmissione del Liber AL siamo entrati in una
nuova epoca – l’Eone di Horus, il Bambino. Questo, egli spiegò, era
stato preceduto dall’Eone di Osiride, il Padre – esso stesso dopo
l’Eone di Iside, la Madre. Horus è in qualche modo il prodotto di
entrambi, e partecipa della loro essenza, ma diviene sempre più
consapevole della sua natura come una entità indipendente da
entrambi. Crowley fece qualche connessione qui tra questi eoni che
si avvicendano e la Precessione degli Equinozi, assegnando così ad
ognuno di essi un periodo approssimativamente di 2000 anni. Tuttavia
questi eoni si riferiscono principalmente a fasi nella evoluzione
della consapevolezza o coscienza umana, così come allo sviluppo
della consapevolezza a livello individuale dalla nascita in poi. Vi
è una indicazione a ciò – che la successione degli eoni non è legata
alla Precessione degli Equinozi - nel ‘Vecchio Commento’ di Crowley
al Liber AL III, verso 34. Qui egli dichiara, a proposito
dell’Eone di Horus: “Seguendolo sorgererà l’Equinozio di Ma, la
Dea della Giustizia, possa essere un centinaio o dieci migliaia di
anni da ora, perché la Computazione del Tempo qui non è come là”.
La crescita del Bambino è sempre un affare piuttosto doloroso, e
Crowley suppose che il Nuovo Eone si sarebbe annunciato con il caos
e i massacri come suo battesimo. Questo non è difficile da vedere.
Le catene che legano gli schiavi sono forgiate da falsi dèi – quelli
del consumismo, dell’acquisizione materiale, della deferenza
all’autorità politica e simili. Questi dèi non saranno contenti di
sciogliersi completamente come neve, e l’inizio dell’Eone del
Bambino sembrerà oscuro e distruttivo ai resti del patriarcale Eone
di Osiride. Secoli di repressione, del contenimento delle forze e
degli istinti naturali, in tutta probabilità risulteranno in una
esplosione all’esterno, e nel collasso della società come basata sul
modello attuale.
Comunque, sta alle strutture del Nuovo Eone emergere come esse
vorranno. Thelema è indirizzata all’individuo e cerca di
risvegliarlo alla regalità, alla creatività e al genio.
L’instaurazione della Legge di Thelema non si intende nel senso di
istituire un regno politico di Ra-Hoor-Khuit, o lanciare un colpo di
stato contro gli attuali centri di potere nella società. Piuttosto è
un processo per portare la Legge di Thelema ad una consapevolezza
più generale; e questo è meglio servito applicandolo a noi stessi,
scoprendo la nostra Vera Volontà e realizzandola. Vi è un’analogia
con la Legge di Gravità, dove ‘instaurazione’ è intesa nel senso di
riconoscimento, della sua accettazione e uso come principio
universale.
Thelema è la chiave alla trasformazione della
coscienza, sia individuale che razziale. La sua vera bellezza
comunque sta nella sua universalità, la sua applicabilità a tutti i
livelli. Presa al suo livello più essoterico, essa asserisce la
sovranità dell’individuo ed esorta tutti noi a divenire persone più
regali, maestri di noi stessi e dei nostri destini, trionfanti
nell’Eone del Bambino Coronato e Conquistatore. Su un livello più
sottile, esoterico, essa è inoltre una chiave per il trascendimento
dell’individualità – perché a livelli più profondi l’individuo si
fonde con il collettivo, il Tutto. Questo rammenta il principio
delle ‘due verità’ del Buddismo. Vi è poco dubbio che la chiave di
propagazione di Thelema come principio si trova nel sottolineare la
sua applicazione alla sovranità dell’individuo, la nostra identità
come la gloriosa stella nello spazio, gioiendo nella nostra orbita.
Quella stella risplende come genio creativo, ed è il diritto di
nascita di ogni individuo, se lo sapessero, partecipare allo
splendore di quella natura stellare. La Magick è un sistema di
iniziazione, dove i veli si dissolvono e il Dio Occulto viene
liberato per andare senza ostacoli per la sua strada, per fare come
vuole, come solo un dio può. Paradossalmente, comunque, mentre
viaggiamo sempre più in profondità verso il nucleo del nostro
essere, scopriamo che alla fine non vi è né un individuo né un
collettivo, né un interiore né un esteriore, né un esoterico né un
essoterico. Thelema è il punto di partenza per questo viaggio, che
comincia come l’apoteosi dell’individualità, come anche la sua
dissoluzione.
II.
Io sono la fiamma che arde in ogni cuore di uomo, e
nel nucleo di ogni stella. Io sono Vita, e il datore di Vita,
tuttavia per questo la conoscenza di me è la conoscenza della morte.
AL II, 6.
Abbiamo visto che la volontà conscia – più
comunemente sperimentata come un eco di Choronzon, l’influsso di una
molteplicità di diverse volontà, capricci, impulsi e desideri – è in
qualche modo una rifrazione della più profonda Vera Volontà, per
quanto distorta, indebolita, atrofizzata. Infatti, la Vera Volontà
si manifesta su molti livelli differenti, sgorgando dalle segrete
profondità dell’essere, il seme occulto. Così possiamo forse
concepire l’individuo come qualcosa di simile a una cipolla, strato
su strato, scorza su scorza. Tale immagine suggerisce un nucleo. Al
nucleo della stella vi è Hadit, e questo è la dimora e il fulcro
della Vera Volontà.
La cosmologia del Liber AL ci dà Nuit e Hadit, le due
polarità basilari, dall’interazione delle quali sorge la
manifestazione. Nuit può essere considerata come la somma totale
delle possibilità e Hadit come qualsiasi punto che ha esperienza di
queste possibilità. Nuit è il cerchio di circonferenza infinita.
Hadit il punto infinitesimale che ha posizione ma non dimensione.
“Tuttavia lei sarà conosciuta e io mai”, perché Hadit è il punto
da cui noi scaturiamo, e l’occhio o ‘io’ non può vederlo. Esso è il
nucleo e la genesi dell’essere, il bindu nascosto, che può soltanto
realizzarsi o divenire consapevole di sé stesso unendosi con le
possibilità dell’esperienza. Il nucleo della stella è essenzialmente
sconosciuto e inconoscibile, perché al fine di avere qualsiasi sorta
di manifestazione o consapevolezza deve aver già partecipato al
Corpo di Nuit. Non possiamo ritornare indietro alla fonte, ma
dobbiamo andare avanti, sempre avanti, sempre viaggiare in avanti.
Nuit, Hadit, e la loro congiunzione e figlio Ra-Hoor-Khuit, sono
principi astratti rivestiti in simboli più concreti. Essi sono così
rivestiti al fine di essere per noi più intelligibili. La mente
razionale comprende esprimendo e percependo in modo dualista. Su
questo livello razionale il meglio a cui possiamo aspirare è
esprimere le cose simbolicamente. La speranza è che l’intuizione
possa operare negli approfondimenti elusivi, suggestivi, fugaci che
la contemplazione di tali immagini offre. Infatti, questi simboli
sono in qualche misura intercambiabili e serbano la loro utilità
soltanto fino a che non sono analizzati troppo o troppo
profondamente. Essi parlano all’intuizione, al sogno e
all’immaginazione, e non – su qualsiasi altro livello che non sia
quello superficiale – alla ragione o alla logica. Essi sono al loro
meglio quando penetrano la consapevolezza in questa maniera evitando
l’intercessione della ragione.
Mente, corpo e spirito sono spesso visti come cose separate,
divisioni rigide, entità a pieno titolo. Comunemente, è come se uno
spirito indossi la sua mente e il suo corpo più come un capo di
vestiario, alla fine volando via per scambiare i suoi vecchi stracci
per nuovi. Questa concezione che sorge dal dualismo – la filosofia
degli opposti che sono inconciliabili – diviene discutibile ad un
esame più attento, e presto si guasta. Per esempio, persino la
volontà dualistica più incallita del tipo “gesso e formaggio, e mai
i due si incontreranno”, di fronte alla canna di un fucile ammette
il principio dello psicosomatismo, o interazione tra il mentale e il
fisico. Nel contesto, stati mentali ed emozionali tali quali stress,
ansietà e così via possono manifestarsi come malattie fisiche. Un
esempio ovvio sarebbe un’ulcera dello stomaco prodotta dallo stress.
Non sorprendentemente il principio opera anche nell’altra direzione,
con stati fisici che influenzano l’equilibrio mentale o emozionale.
Un cattivo raffreddore, per esempio, sembra logorarci in energia, e
ci può rendere molto sensibili. Da tutto questo sembrerebbe quindi
che vi è almeno un grado di mutua influenza, con i piani mentali e
fisici che si influenzano l’un l’altro, compenetrandosi ed
interagendo. Pensando a ciò uno si chiede dove si ferma il mentale
ed inizia il fisico e viceversa. Gli stati psicologici, per dare un
altro esempio, sembrano avere una correlazione biochimica;
l’attività ormonale ha un profondo effetto sulla coscienza. Più tali
punti sono considerati, più arbitraria diviene la linea tra la mente
e il corpo, tra il mentale e il fisico, tra lo spirito e la materia.
Le pratiche dell’hatha yoga, per esempio, quando intraprese in modo
appropriato e assiduamente sembrano guidare a una più grande
consapevolezza di una sacralità – un’unità mente/corpo, un senso di
un campo o di una continuità di consapevolezza piuttosto che una
molteplicità di parti. Sembra che quello che noi abbiamo, di fatto,
è un continuum sul quale imponiamo classificazioni o divisioni
arbitrarie e concettuali, tali quali mente, corpo, anima etc.
Essenzialmente vi è una fusione o miscelazione, e non ha
l’importanza di due penny se vediamo la mente come più solida, o in
qualsiasi altro modo.
La stella quindi è essenzialmente indivisa, un continuum; e, al
nucleo di ogni stella vi è Hadit, sede della Vera Volontà, la forza
motrice o impulso dinamico. Essenzialmente ogni cosa che noi siamo è
espressione, sviluppo, materializzazione o concretizzazione di
questa essenza, questa Vera Volontà, questa fiamma che arde “nel
nucleo di ogni stella”. Così come il fungo è il corpo
fruttificato più denso – un’intricata struttura intessuta finemente
o espressione del micelio sottostante – allo stesso modo ogni
individuo è essenzialmente un’espressione, che fruttifica o che
fiorisce della Vera Volontà, la fiamma che brucia al nucleo della
stella, al nocciolo dell’essere. Da considerazioni come queste, è
evidente che la Vera Volontà non è semplicemente qualche sorta di
desiderio profondo in agguato dentro le profondità dell’individuo,
attendendo di essere scoperto e portato alla consapevolezza
attraverso appropriati rituali e meditazioni. Piuttosto, è un caso
in cui l’individuo è a tutti i livelli un’espressione della Vera
Volontà – e i livelli, come abbiamo visto, sono classificazioni
arbitrarie. La Vera Volontà,
quindi, non è qualcosa che è posseduta dall’individuo, come qualche
genere di tesoro sepolto. Essa è di fatto il vero seme o essenza
dell’individuo, la fonte da cui egli sgorga. La volontà conscia è
così un riflesso, una rifrazione o distorsione della Vera Volontà,
non importa quanto oscurata. Hadit è un’identità più profonda, più
essenziale.
Ogni cosa che abbiamo e ogni cosa che siamo nasce da questo nucleo.
Come individui, come entità manifestate in questo universo
“concreto”, siamo proiezioni, densamente intrecciate, lampeggianti
da questo diamante interiore, da questo seme segreto. “Tu sia
Hadit, il mio centro segreto, il mio cuore e la mia lingua”
Questa è una ramificazione più profonda di Thelema; ed è importante
comprendere questo, perché molte persone sembrano interpretare
Thelema solamente in un senso comparativamente superficiale: quello
dello scoprire il proprio giusto codice di condotta in quello che
potrebbe essere descritto vagamente come l’Esterno, e seguendolo
inesorabilmente, senza deviazione. Questo è vero al proprio livello,
ma non penetra al cuore della questione – che è, naturalmente, da
dove sgorgano le scintillanti e affascinanti incarnazioni e
avvolgimenti di maya. Perché in verità noi siamo espressione del
nostro nucleo, la nostra Vera Volontà; noi siamo il suo veicolo, e
così non possiamo fare altro che la nostra Vera Volontà. Siamo 93
milioni di miglia lontani da Sir Peter Pendragon, che in Diary of
a Drug Fiend di Crowley comprende che la sua Vera Volontà è
essere un ingegnere di aeroplani. E tuttavia forse non così tanto
lontani, perché per quanto esaltata possa essere divenuta la nostra
Vera Volontà, deve trovare realizzazione adeguata e degna
nell’Esterno, altrimenti la frustrazione è la nostra sorte.
Qui vi è un paradosso. Se ogni cosa che abbiamo e ogni cosa che
siamo sono espressioni della nostra Vera Volontà, allora ci si
chiede perché uno dovrebbe arrivare al fastidio del sangue, del
sudore e delle lacrime per cercare di raggiungere la Conoscenza e la
Conversazione del Santo Angelo Guardiano, quando di fatto egli non
stava soltanto chiacchierando con quel compagno tutto il tempo, ma
è quel compagno in essenza. La distinzione importante,
comunque, sta nel realizzarsi o risvegliarsi a questa identità. Vi è
qui un parallelo con tradizioni come il Buddismo Ch’an, dove si
sottolinea che la chiave di tutto è semplicemente il risveglio alla
realtà, e realizzare o ricordare chi si è realmente. Uno dei più
famosi koan dallo Zen, la meglio conosciuta degenerazione giapponese
del Ch’an, è il ricordare il proprio volto prima della nascita, il
proprio volto originale. Il sognatore si sveglia, e comprende che
egli stava sognando per tutto il tempo. La coscienza era ristretta,
oscurata, confusa, ma non lo è più. Ora essa brucia in tutta la sua
gloriosa intensità, il suo lustro naturale. In verità non vi è
niente altro che coscienza. Ogni cosa che esiste è una
manifestazione della coscienza, esattamente come il fungo è una
manifestazione del micelio tessuta più densamente.
La Vera Volontà, quindi, non è una cosa statica sepolta dentro di
noi, e che in qualche modo rimane da parte. Essa è dinamica. Non è
Essere, ma Andare, e può essere rappresentata dall’ankh, crux ansata
o cinturino alla caviglia, il simbolo egiziano dell’andare. Le
stelle, dopo tutto, non sono ferme immobili nello spazio, ma sono in
uno stato di velocità, di dinamismo, di moto. La definizione di
Crowley della magick come energia che tende al cambiamento è qui
importante, portando alla mente come fa l’idea del moto, di una
successione di stati, di perpetua trasformazione. L’essenza della
coscienza stellare, che si trova nel nucleo di ogni stella, è una
continua esplosione di energia, sempre cangiante, sempre dinamica.
L’intero universo è uno stato perpetuo, dinamico di crescita e
caduta, di nascita e morte, di trasformazione infinita ed eterna, di
creazione e distruzione. Come individui abbiamo la tendenza a
pensare a noi stessi come non soggetti a questo cambiamento, ma di
fatto noi siamo tanto una parte del ribollente torrente a cascata
come qualsiasi altra cosa. Come l’energia tende a cambiare, anche
noi siamo incarnati di nuovo in ogni istante. Come maghi dobbiamo
dare il benvenuto a questa corrente sempre cangiante, questa eterna
trasformazione, piuttosto che attaccarci disperatamente a qualche
persona immaginata e illusoria, che dopo tutto è soltanto una
maschera indossata al ballo. La schiuma è un’espressione transitoria
della corrente, una forma gettata in mezzo al vortice e al turbine,
e godendo di un’esistenza fugace e capricciosa prima della sua
trasformazione, della sua reincarnazione in un'altra forma
spontanea. Noi siamo
espressioni esteriori di una forza trainante basilare, schiume sulla
corrente, transitorie restrizioni di coscienza. “Perché io sono
divisa per il bene dell’amore, per la possibilità dell’unione”.
L’apparente diversità dell’essere ha le sue radici in un Essere più
profondo, più fondamentale; e quello stesso è un’apparenza sorgente
dall’Andare, uno schema di energia che tende al cambiamento.
La chiave per il risveglio dal sogno della coscienza limitata è
l’identificazione con questa corrente, che sorge dal nucleo di ogni
stella, e quindi da Hadit. E l’applicazione di questa chiave
consiste nel vedere le manifestazioni fenomeniche come ombre
transienti quali sono, e cercare di penetrare nel nucleo
all’interno, nell’essenza della coscienza stellare. Cosi noi
scaviamo in profondità, sempre più in profondità e speriamo di
emergere alla luce del giorno.
III.
Io sono il Serpente segreto avvolto a spirale pronto
a scattare: nelle mie spire c’è la gioia. Se io sollevo il mio capo,
io e la mia Nuit siamo uno. Se io abbasso il mio capo, ed emetto il
veleno, allora c’è estasi della terra, e io e la terra siamo uno.
AL II, 26
Thelema a livello individuale è interessata al
raggiungumento di questo centro segreto, questa Vera Volontà che
risiede al nucleo di ogni stella. Una volta che queste profondità
sono state scandagliate e reintegrate nella piena consapevolezza,
allora la stella può risplendere nella sua piena intensità naturale
e comincia a fiorire, a realizzare sé stessa. Come un sistema di
realizzazione magica e mistica, Thelema ascrive grande enfasi nel
realizzare la Conoscenza e Conversazione del Santo Angelo Custode.
Vi è una qualche confusione su quello che si intende esattamente con
il termine ‘Santo Angelo Custode’ e la natura dei frutti della sua
Conoscenza e Conversazione. Questo è in parte una conseguenza di
Crowley stesso che diede resoconti conflittuali di quello che
l’esperienza significava, e da dove essa emergeva. È mia opinione
che sfrondata dal gergo, tuttavia, essa implica il penetrare al
nucleo della stella, con l’intero essere che opera alla reintegrata
o ricostruita consapevolezza della sua vera natura e destino.
Esteriormente ci sono alcune difficoltà con questa interpretazione.
Vi sono alcuni passaggi nelle sue scritture dove Crowley
descrive il Santo Angelo Custode come un aspetto più profondo, più
essenziale e più reale della natura stellare al nucleo. Questo suona
un po’ sulle linee di quel venerabile termine occulto, ‘Il Sé
Superiore’, tranne che non porta lo stesso sentore di sottigliezze
morali. Possiamo trovare anche altri passaggi, comunque, dove egli
dichiara che l’Angelo è un’entità a sé stante – completamente
distinta dall’individuo a cui l’Angelo è stato assegnato, in qualche
sorta di ruolo di assistente benevolo. In Magick Without Tears,
che fu una delle sue ultime opere, è andato così lontano da
riferirsi alla nozione, che l'Angelo è un aspetto più profondo
dell'individuo, come una "dannata eresia".
Deve essere detto comunque che se dobbiamo prendere le sue ultime
posizioni necessariamente come le più corrette, allora la nozione di
un ‘Angelo’ separato non si posiziona facilmente con le più profonde
ramificazioni di Thelema, e nemmeno con la metafisica – sia magica
che mistica – che egli esplora altrove. Apprendiamo dalle
Confessions che considerava come sua missione in vita insegnare
la Conoscenza e Conversazione del Santo Angelo Custode, che egli
vedeva come il Prossimo Stadio dell’umanità. Visto che in realtà è
spesso preferibile andare avanti e fare le cose piuttosto che
sedersi e masticare le minuzie metafisiche, si può forse ipotizzare
che Crowley stava cercando di essere pragmatico – propagandando lo
stadio in un linguaggio semplice, prontamente comprensibile, privato
di considerazioni ampollose, lasciando la risoluzione delle
implicazioni più profonde ad un secondo momento.
Ad un livello più profondo
questo potrebbe essere avvenuto del tutto a proposito, visto che
niente esiste al di fuori della coscienza.
Nei brani attinenti nelle sue scritture, il Santo Angelo Custode è
identificato con il Sé-Nano, il Sé Silente, il Bambino nell’Uovo,
Arpocrate, Hadit. In questo contesto essi indicano la Vera Volontà,
il nucleo, il santuario segreto all’interno. Che questo è così può
essere stabilito dai due estratti seguenti da Magical and
Philosophical Commentaries:
... Hoor-paar-Kraat o
Arpocrate, il “Bambino nell’Uovo di Blu”, non è semplicemente un Dio
del Silenzio in senso convenzionale. Egli rappresenta il Sé
Superiore, il Santo Angelo Guardiano. La connessione è con il
simbolismo del Nano nella mitologia. Egli contiene ogni cosa dentro
sé stesso, ma è non è manifestato.
...Ma la “Piccola
Persona” del Misticismo Indù, il Nano pazzo tuttavia astuto, di
molte leggende in molte regioni, è anch’esso questo stesso “Santo
Spirito” o Sé Silente di un uomo, o il suo Santo Angelo Custode.
Il Sé-Nano è il Sé Silente all’interno, Hadit, che normalmente
rimane velato nel suo santuario occulto – da qui il Dio Occulto.
Anche Crowley identificò questo con quello a cui si riferiva come la
Coscienza Fallica o Razziale, la forza che sottende la
manifestazione, il cui rappresentante o vicereggente è il fallo – il
trasmettitore della forza-vitale, l’energia vitale, che anima.
Questa identificazione con la Coscienza Fallica offre un indizio
vitale all’intuizione, perché l’impulso sessuale sembra spesso
sgorgare da profondità oscure dentro l’individuo, in alcuni casi
sembrando avere una volontà propria. Questo non è asserire una
semplice identità tra la corrente sessuale e la Vera Volontà.
Piuttosto il sesso è il velo finale, l’ultima maschera, il filo
vitale nella struttura. Non è accidentale il fatto che Nuit e Hadit,
ed il loro Figlio o congiunzione Ra-Hoor-Khuit, sono rivestiti nel
simbolismo sessuale – perché il seme vitale risiede nel profondo al
cuore della corrente sessuale. La creatività a tutti i livelli, su
tutti i piani, è inestricabilmente legata al sesso.
A causa di ciò, l'autorità
di condizionamento esterno ha sempre tentato di bloccare l'uso della
corrente sessuale con tabù e repressioni, vedendo l'addomesticamento
e l'imbroglio di questo potente torrente a cascata come uno
strumento utile nell'asservimento degli individui.
Questa Coscienza Fallica – che sta alla base della corrente
sessuale, e può essere definita un istinto più profondo, più
primordiale – è la forza fondamentale della vita, l’istinto vitale,
ed è quella che risiede nel nucleo di ogni stella. Meno una persona
è in armonia con gli istinti e più questa forza è sperimentata come
una energia aliena, anarchica, minacciosa e vulcanica. In tali
momenti viene sentita come risvegli violenti o eccitazioni di una
forza travolgente, percepita indefinitamente come sgorgante dal ‘di
dentro’. Uno dei Libri Sacri, Liber A’ash vel Capricorni
Pneumatici, riguarda questa Coscienza Fallica, questo Serpente
all’interno. Esso è identificato inequivocabilmente con la suprema
forza magica, la creatività primordiale. In modo cruciale viene
descritta come essere essenzialmente impersonale, celandosi nella
incarnazione al fine di trasmettere sé stessa, di portare il seme
sempre avanti. Il linguaggio di questo Liber è ricco e
sensuale e le implicazioni sono inconfondibili.
L’essenza di
questa forza risiede nella sua impersonalità. Di fatto essa non ha
utilità per l'individuo se non nella misura in cui egli è
espressione e trasmissione di questa forza, la sua incarnazione.
Egli è realmente niente più che il suo veicolo. Al suo nucleo, il
centro da cui essa nasce, questa energia è la più pura
concentrazione della Corrente 93 – di fatto essa è la Corrente 93. A
livello individuale, essa si focalizza intorno ad un centro di
gravità, formando una concrezione; e questa concrezione è il nucleo,
“il cuore della stella”. Questo cuore è sempre una focalizzazione
dinamica, comunque, e non un centro statico, auto-esistente. Esso è
piuttosto la convergenza transitoria di energia o vitalità, il fiore
che passa con la sua stagione. Ancora una volta, l’essenza della
materia non risiede nell’Essere ma nell’Andare, nell’energia
tendente al cambiamento.
Fu impresa
di Freud dimostrare che i valori sociali e culturali venivano
nutriti nel terreno della libido soppressa. Egli riconobbe che alla
radice di questa libido vi era la forza trainante, la forza creativa
nell’uomo – sia che la creazione fosse sul piano fisico, mentale o
spirituale. C’è bisogno solo di andare a uno stadio ulteriore per
vedere ogni cosa – l’intera struttura della manifestazione, maya,
il lila, il sogno del vivere – come un’espressione e
concentrazione di questa energia. Quello che viene alla mente qui è
l’idea di Austin Spare della “eterna fornicazione”, di “tutte le
cose fornicano tutto il tempo”. Egli riconobbe che la stessa energia
che guida la forza creativa nell’uomo tesse anche lila.
È la struttura con cui l’intero arazzo, affascinante, seducente,
viene tessuto.
La spinta o corrente sessuale come comunemente sperimentata è spesso
una sfinge all’individuo, che è il suo veicolo o espressione. Quello
che passa per spinta sessuale in tali casi è semplicemente un
insulso riflesso di quella energia dinamica, primordiale, che sta
alla base della manifestazione, e al di fuori della quale la lila
danza. L’inclinazione naturale di questa forza è verso la
pansessualità; e la visione di “tutte le cose fornicano tutto il
tempo” è un’intuizione comprensiva di questa natura. Lo scopo della
Magick è realizzare la propria identità con questa corrente,
scaturente dal nucleo della Vera Volontà, e permettere la sua piena
e adeguata fioritura.
Questo sentiero – di utilizzare la forza al cuore della
manifestazione nella sua forma diretta, pura, al fine di operare
cambiamento in lila – è il sentiero della Corrente Ofidiana.
Essa è la via della Sex Magick; e anche se diretta, è precaria e
piena di pericoli per l’incauto. La Magick deriva in termini
etimologici dalla stessa radice di maya, la recita
dell’illusione o manifestazione, ed essa significa la manipolazione
di quella maya o illusione. Di tutte le illusioni nessuna è
più potente o affascinante di quella che brilla e scintilla con
l’attrattiva oscura del sesso. Il mago che usa la Corrente Ofidiana
deve essere capace di disaccoppiare la corrente sessuale dalla
brama, che è la confezione decorata e graziosa in cui la corrente
sessuale è di solito condizionata a fluire. La forza può essere
incanalata in altre direzioni. L’essenza dell’occultismo creativo è
di incanalare, per virtù di un intento consacrato, il flusso di
questa forza in direzioni specifiche o forme – e quindi di
manipolare maya, di istruire nuove danze, di formare nuovi
schemi. Il pericolo risiede nel fatto che se dovesse rimanere
qualche macchia di lussuria la Corrente Ofidiana la dilaterà a tali
proporzioni che il mago sfortunato cadrà preda dell’ossessione, dei
vampiri sessuali che egli ha creato inconsapevolmente.
Naturalmente la Magick sessuale non è il solo sentiero alla
liberazione o risveglio. Essa ha, comunque, il vantaggio di operare
attraverso e con maya, piuttosto che cercare di rigettarla
come una illusione. Come dice il Kulanarva Tantra quello che
porta all’inferno può portare anche al paradiso. Nella realtà il
sogno del vivere è nostro, e noi facciamo con esso quello che
vogliamo.
Il verso dal Liber AL citato all’inizio di questa sessione
riguarda l’uso della Corrente Ofidiana. Inevitabilmente le idee sono
rivestite dal simbolismo, poichè gli assiomi che esse stanno
cercando di trasmettere sono al di là delle dualità della ragione,
parola o pensiero. Esse sono meglio accennate, quindi, attraverso
sguardi provocanti che sono diretti all’idea. Tali simboli sono
recepiti intuitivamente, e richiamano per analogia o intuizione
quello che è troppo fugace per un’espressione più concreta.
L’immagine del “Serpente segreto” suggerisce una connessione
sessuale, naturalmente; e la sua forma avvolta a spirale indica
kundalini, la forza centrale magica nell’uomo, raffigurata come
avvolta a spirale intorno alla base della spina dorsale. Essa è
“avvolta e pronta a balzare” perché è dinamica, piena di energia. Le
sue spire sono gioiose, e questa gioia o estasi è la natura alla
base della manifestazione, maya, lila.
“Ricordate tutti voi che l’esistenza è pura gioia…”
Figurativamente, questa forza può essere diretta verso l’alto ad una
unione mistica, estatica con Nuit; o verso il basso ad un rapimento
magico con e della terra. Vi è qui un’eco ad un verso precedente del
Liber AL, all’apertura del primo capitolo, dove sono
menzionati tre gradi – l’Eremita, l’Amante e l’Uomo della Terra.
L’Eremita forse è colui che dirige la corrente verso l’alto, ad una
unione con Nuit. L’Uomo della Terra porta la corrente ad “abbassarsi
sotto” la sua testa ed a “scagliare veleno”. L’Amante combina questi
approcci ne “l’amore sotto la volontà”, utilizzando i fiori della
manifestazione come un Sacramento, raggiungendo la loro essenza e
risvegliandosi all’identità, alla suprema auto-realizzazione. Questa
è forse la Suprema Via, vivendo la vita al suo massimo, perché è un
Sacramento, una Danza dell’Esistenza rappresentata per il suo
proprio piacere.
IV.
Allora il sacerdote rispose e disse alla Regina dello
Spazio, baciando le sue ciglia amabili, e la rugiada della sua luce
che bagnava tutto il di lui corpo in un profumo dal dolce odore di
sudore: O Nuit, continuità del Cielo, lascia che sia sempre così;
che gli uomini non parlino di Te come Una ma come Nessuna; e che non
parlino affatto di te, giacché tu sei la continuità! AL I, 27
Abbiamo visto nella precedente sezione di questo saggio
che la Vera Volontà risiede nel nucleo della stella, e nasce dal suo
punto Hadit, il suo seme segreto. Infatti, la Vera Volontà è
un’espressione di questo bindu, una fioritura del suo
dinamismo. Paradossalmente come può sembrare a prima vista, ogni
cosa che noi abbiamo, siamo e facciamo è un’espressione della Vera
Volontà, come il ragno tesse la sua tela. In questo caso la tela è
naturalmente la danza di maya, il sogno del vivere.
Vi è un ulteriore paradosso, che è quello che la diversità apparente
delle stelle condivide un nucleo comune. L’umanità condivide un
letto comune, e a livelli di coscienza progressivamente più profondi
l’individuo si fonde nella coscienza razziale o inconscio
collettivo. Come l’individuo è alla radice un’espressione e una
fioritura della Vera Volontà, così la Vera Volontà è un aspetto o
espressione parziale di una più profonda, più vasta Volontà
Collettiva o Cosmica, così come Sirio è il sole dietro il nostro
sole. Questo è adombrato nella frase del Liber AL
precedentemente citata, dove Hadit dichiara che “Io sono la
fiamma che brucia in ogni cuore di uomo, e nel nucleo di ogni
stella” Vi è una indicazione ulteriore nella frase “Io sono
ovunque il centro, come lei, la circonferenza, non si trova da
nessuna parte”.
In realtà, considerare la situazione come una molteplicità di Vere
Volontà, che in qualche modo si fondono o si miscelano in un arazzo
molto più grande, è solo una semplificazione. A rischio di evocare
richiami di “Alice nel Paese delle Meraviglie” possiamo forse dire
che noi andiamo verso l’interno soltanto per emergere, sbattendo le
palpebre verso l’esterno. Mentre viaggiamo sempre più profondamente,
in quello che possiamo affettuosamente considerare come il nostro
nucleo più intimo di essere, il terreno cambia gradualmente, e ci
troviamo a penetrare sempre più in profondità nel nucleo dell’Essere
stesso, piuttosto di quello che avevamo fin qui considerato come il
‘nostro proprio’ essere. È l’estensione della ‘nostra’ coscienza a
includere tutta le altre coscienze: eccetto che, nel processo,
diveniamo sempre più noi stessi, ci risvegliamo sempre più alla
nostra vera identità. Tuttavia, al fine di discutere queste
argomenti dobbiamo mantenerli su un terreno relativamente semplice,
espressi in termini comprensibili nel linguaggio del dualismo. Così possiamo dire che la Vera Volontà individuale è un
aspetto della Volontà Cosmica, e da questo punto di vista quindi
l’individualità è più apparente che reale. Questo indirizza in sé
un’obiezione alla espressione esoterica di Thelema: quella di un
possibile scontro di Vere Volontà. Questa obiezione fu menzionata a
Crowley, senza dubbio non per la prima volta – da C. R. Cammell,
allora amico di Crowley e ammiratore della sua capacità letteraria,
ma ostile alle sue idee magiche e mistiche. Crowley replicò di
conseguenza che la somma delle Vere Volontà individuali era la
Volontà Cosmica, il Grande Disegno, Dio; così il conflitto non
potrebbe sorgere perché tutte le Vere Volontà si fondono, essendo
tutte aspetti dello Schema Divino. Cammell ci riferisce, in qualche
modo accondiscendendo, che trovò questa risposta ingegnosa ma non
convincente. Senza una qualche stima dei sostegni metafisici di
Thelema, senza qualche adombramento intuitivo delle sue sottigliezze
più magiche e mistiche, forse non c’è da stupirsi. Tuttavia, una
volta che iniziamo a comprendere che l’individualità è più apparente
che reale, le cose iniziano ad andare al loro posto. Questo è
riecheggiato dalle parole di Nuit nel Liber AL: “Perché io
sono divisa per il bene dell’amore, per la possibilità dell’unione”.
Questo è lo sfondo da dove nasce l’individualità, che è apparente
piuttosto che reale, e così partecipe di maya, l’illusione,
che è anche dove essa ritorna. Questa idea non è unica a Thelema. Di
fatto la sua affinità rispetto a questo con altre tradizioni quali
il Ch’an, l’Advaita Vedanta, e la corrente Prajnaparamita del
Buddismo rafforza e conferma questa idea. L’Advaita è spesso
considerato come un monismo, una affermazione che tutto è uno, ma
tale interpretazione è errata. Di fatto ‘advaita’ è una parola
sanscrita che significa semplicemente ‘non diviso’. La differenza
può sembrare sottile al punto della pedanteria ma è una distinzione
cruciale. Il termine ‘uno’ ha significato soltanto in contrasto ai
‘molti’; così una volta che non ci sono più ‘molti’, il termine
‘uno’ è senza significato. È più accurato attenersi al significato
letterale di ‘non diviso’. Il sunyavada è spesso visto come un
ulteriore raffinamento e sottigliezza dell’advaita, ma
essenzialmente vi è poca differenza pratica. Una volta che hai
abolito la diversità, importa poco come chiami quello che rimane –
presupponendo che qualcosa
rimanga. Le differenze dottrinali tra advaita e sunyavada
possono tranquillamente essere non considerate per gli scopi di
questo saggio.
È in questo contesto che possiamo ritornare ancora una volta
all’immagine della cipolla, con i suoi molti strati, livelli, o
bucce. È una buona immagine per Thelema e per il viaggio al nucleo
della Corrente 93, perché più strati togliamo più in profondità
penetriamo al nucleo. In quel nucleo brucia la Corrente 93 in tutta
la sua gloria fiammeggiante, ed essa crea la lila, la danza
di maya, per il suo proprio diletto. Questa illusione o
maya, oltre a cui non vi è niente, che nasce dal niente, e che
essenzialmente è niente, non ha scopo. Essa è puro diletto, pura
gioia; e l’intera estensione dell’esistenza, con i suoi piaceri e
dolori apparenti, tristezza e felicità, si risolve in questo. È
questa casualità, questa inutilità dell’esistenza, che molte persone
trovano difficile da accettare. Essa è inoltre la ragione del perché
così tanti in Occidente alla fine non riescono ad arrivare a
condizioni con essa, e quindi rifiutano le comprensioni di quella
corrente rappresentata da tali tradizioni come l’advaita, il Ch’an
ed il sunyavada. Persino un grande pensatore come Einstein, le cui
scoperte hanno dato origine alla fisica quantistica non poteva
affrontare la natura casuale dell’esistenza che questa teoria sembra
implicare così inesorabilmente. Egli dichiarò che rifiutava di
credere che Dio giocasse a dadi con l’universo. Nell’analisi finale
Einstein come quasi tutti gli altri, dimostrò di essere legato ai
propri preconcetti.
La ricerca
per lo scopo o significato è la roccia sulla quale tutte le
filosofie o tradizioni devono alla fine sfracellarsi, a meno che
esse erigano uno scopo come un atto di fede. Tuttavia la questione
stessa quando esaminata è piuttosto strana. Dopo tutto perché ci
dovrebbe essere uno scopo all’esistenza? Su un livello individuale
forse la ricerca di uno scopo tradisce un’incapacità di godere il
qui e ora, di partecipare al divino sacramento dell’esistenza. La
metafisica Indù erige la concezione di vaste epoche di tempo, che si
estendono per miliardi di anni, alla fine risolvendosi in un Giorno
e una Notte di Brahma, l’eterno e consecutivo emergere e dissolversi
della manifestazione. Contro questo sfondo, idee di auto-perfezione,
evoluzione della coscienza individuale e così via, iniziano ad
apparire piuttosto umoristiche. Se come individui non siamo felici
con la direzione – o direzione apparente – che le nostre vite stanno
prendendo allora è compito nostro iniettare uno scopo nella nostra
esistenza, se questo è quello che sembra mancare. Questo dovrebbe
essere riconosciuto, tuttavia, come l’atto di pragmatismo che è. Non
vi sono motivi per attribuirlo ad una scala cosmica.
La fisica a livello sub-atomico tende ad aggiungere peso a tale
immagine come l’unica offertaci fin qui nella nostra considerazione
di Thelema. Essa non dipinge esattamente lo stesso ritratto e
nemmeno dovremmo aspettarcelo. Ma comunque fornisce una base per
l’intuizione per affrontare il santuario da un altro angolo ed
arrivare sempre gioiosi al santuario interiore. Questo territorio è
stato ben esplorato da Fritjof Capra nel suo libro, Il Tao della
Fisica, e non è appropriato per noi presentarlo in profondità.
In sunto la materia è composta di atomi, e gli atomi sono essi
stessi composti di particelle sub-atomiche di diverso tipo. I fisici
sono, sono sempre stati, e senza dubbio saranno sempre, pieni di
speranza di scoprire un’unità indivisibile della materia, senza
riguardo alla sua scala. Tristemente per la loro ambizione, essi
devono ancora scoprire qualcosa che, sotto stretto esame, non si
scompone in più piccole particelle costituenti. Sulla base delle
tendenze passate e presenti, sembra quindi che via sia poca
prospettiva che sia scoperta qualcosa che non sia costituita in
questo modo. L’elemento costitutivo finale della materia si dimostra
essere elusivo in modo notevole, e probabilmente non esiste,
paradossalmente come potrebbe sembrare. Ci aggrappiamo alla materia
e lì non ci troviamo niente! Invece vi è una infinita regressione di
classificazioni, una eterna successione di scatole dentro le
scatole. La fisica quantistica suggerisce una drastica alterazione
della visione del mondo degli Occidentali, evocando echi di una
frase che risuona dal Liber AL: “.. perché io ho
frantumato un Universo; e niente rimane”.
Tuttavia le
particelle che hanno fin qui civettato davanti al nostro sguardo
stupito esibiscono diverse curiose caratteristiche – perlomeno
curiose nei termini di nozioni accettate della realtà. La stessa
‘particella’ si comporta sia come un’onda di energia che come una
particella e sembra essere entrambe simultaneamente. Questo dà luogo
ad un’immagine piuttosto bella, quella della materia che è composta
al livello subatomico di onde interdipendenti di energia. Su una
vasta scala queste formano strutture e queste strutture sono maya,
la danza dell’illusione, o l’esistenza come noi la conosciamo – o
pensiamo di conoscerla. Siamo ora nella posizione di compiere un
meraviglioso salto intuitivo ed identificare questa energia – onde
che costituiscono la materia – con la Corrente 93, gli eterni
intrecci e i vortici e i giochi della Vera Volontà. Questo si adatta
bene alla mitologia Indù, la manifestazione che nasce direttamente
dal gioco d’amore di Radha e Krishna. Essa è rispecchiata anche nel
Liber AL, dove la manifestazione è il bambino Ra-Hoor-Khuit,
che sorge dall’accoppiamento di Nuit e Hadit.
Un’altra curiosa caratteristica delle particelle o onde a
questo livello subatomico è la loro apparente casualità o mancanza
di prevedibilità. Tutto quello che può essere detto è che vi sarà
per esse una tendenza a comportarsi in tale e tale modo nel
corso dell’esperimento. È stato inoltre scoperto che la presenza di
un osservatore di per sé altera il comportamento delle particelle a
questo livello, dimostrando in questo modo che vi è almeno una certa
quantità di interazione tra l’osservatore e ciò che è osservato.
Data l’immagine raffigurata prima, che ritrae ‘oggetti’ come campi
di energia vibranti e dinamici, vi deve essere un qualche grado di
interazione e scambio tra questi campi. In altre parole, questi
oggetti o campi non sono entità indipendenti come tali, nemmeno
distinti fasci di energia. Invece l’entità tende verso una certa
forma, un’approssimazione, ma vi è uno scambio costante e marginale
con altre entità. Una volta stavo ascoltando un programma radio
sulla ricerca nella fisica sub-atomica ed il comportamento delle
particelle, e ascoltai una persona intervistata dire di come alcuni
esperimenti avevano dimostrato che è possibile per l’osservatore
influenzare mentalmente il comportamento delle particelle.
Purtroppo, non mi sono mai imbattuto in un’altra menzione di ciò, e
così non sono in grado di provarla. Tuttavia, dato l’ambito
delineato sopra, e l’interpenetrazione dei campi di energia, non
sarebbe certo sorprendente se la ricerca avesse scoperto qualcosa su
queste linee.
È questa
malleabilità della materia o maya, la natura della quale è
illusione, di cui il mago si serve nelle sue manipolazioni. Thelema
ci porta nel cuore dell’illusione, dandoci uno sguardo nella natura
della realtà, e permettendoci quindi di realizzare la nostra
identità con quella rappresentazione.
V.
Il Perfetto e il Perfetto sono un Perfetto e non
due; no, sono nessuno! Nulla è una chiave segreta di questa legge.
Sessantuno la chiamano gli Ebrei: io la chiamo otto, ottanta,
quattrocento e diciotto. Ma essi hanno la metà:
riuniscilo con la tua arte così che tutto scompaia. AL I,
45-47
Nel nucleo di Thelema, come nel nucleo della materia –
poiché i due non sono differenti – vi è un vuoto o nulla. Ciò
nonostante questo nulla è anche un pieno, perché è da questo nulla
che sorge la piena panoplia della manifestazione. Paradossalmente,
il vuoto contiene il seme di tutto, secernendo la manifestazione o
lila nel suo centro segreto. Questo dà luogo alla formula al
cuore di Thelema, quella di 0 = 2. Più andiamo all’interno di
Thelema più le cose sembrano divenire paradossali, e questi
paradossi possono essere classificati sotto il primo paradosso di
questa formula. Essa è alcune volte espressa come NOX, 210. Posta
semplicemente, la diversità apparente è simbolizzata come due,
sorgendo dallo zero ed equivalente a zero. Essenzialmente non vi è
differenza tra il due e lo zero o nulla. 210 è un raffinamento
ulteriore, mostrando la riduzione del due a uno e quindi allo zero;
tuttavia, come menzionato nella sezione precedente di questo saggio,
la riduzione a uno è più uno pseudo-stadio che altro. La formula è
anche alcune volte espressa come (+1) + (-1) = 0, dove +1 e -1
rappresentano la dualità, la polarità, i due poli della diversità
apparente, i principi maschili e femminili. Essa inoltre esprime
un’altra nozione di equilibrio, il vuoto o zero che include in sé
stesso sia l’Essere che il Non-Essere. È in questa formula dello 0 =
2 che la Fisica Quantica e Thelema convergono. Questo non è del
tutto sorprendente, perché è l’energia di 93 o Thelema che sta alla
base di tutto, e che è “in ogni dove il centro”. Nel mondo della
manifestazione la polarità è un concetto chiave, il meccanismo
attraverso il quale sorge la manifestazione. Per quanto possiamo
vedere la manifestazione è sempre bilanciata o polarizzata.
Qualsiasi manifestazione che sorge dal vuoto al cuore
dell’esistenza, può soltanto essere in termini di equilibrio o
polarizzazione – quindi l’espressione 0 = (+1) + (-1). Lo zero,
nulla o vuoto, non è semplicemente la negazione della materia o di
qualcosa ma contiene anche l’opposto o non-manifestazione. Questo è
naturalmente simile al cosiddetto Doppio Negativo di Shen Hui.
La quiescenza nella materia o manifestazione è solo e sempre
apparente, e vista come se fosse lontano. A livello sub-atomico,
come abbiamo visto, le particelle sono fasci di energia in uno stato
di velocità interdipendente. La manifestazione è sempre dinamica,
sempre in uno stato di andare e mai statica. La stabilità è sempre
prodotta da un equilibrio di forze o energie dinamiche; in realtà
tutto è in uno stato di flusso e riflusso. Di nuovo, questo illustra
la definizione di magick di Crowley come energia tendente al
cambiamento, così come l’idea che la magick non è Essere ma Andare.
La Corrente 93 è sempre dinamica, creando sempre di nuovo,
volteggiando sempre tra creazione e dissoluzione. Per ritornare ad
una precedente analogia, è dai fili sottili del micelio che i corpi
fruttiferi o i funghi sono orditi, successivamente fruttificando e
morendo. La materia sorge, fiorisce, ricade nella dissoluzione, e
quindi sorge di nuovo in qualche altra forma. Vi sono onde di
energia finemente intessute, catturate in una danza perpetua di
estasi, di gioia, di accoppiamento, movendosi a spirale e girando
vorticosamente. Uno dei testi tantrici tradotti da Woodroffe ha il
titolo “Onda di Beatitudine”. E questo titolo suggerisce bene
la danza di maya.
È futile cercare lo scopo o ragione di questa lila perpetua,
questo gioco di creazione e distruzione consecutivi. Alla fine, è
amore-di sé o estasi, “perché io sono divisa per il bene
dell’amore, per la possibilità dell’unione”. Una volta che siamo
armonizzati a questa corrente, possiamo anche condividere questo
sentimento, che è del piacere più alto. La manifestazione nasce
dallo zero e ritorna allo zero. Fa questo non in infiniti eoni di
tempo – perché il tempo è illusorio come la materia – ma in ogni
istante. Un simbolo comune per l’infinito è l’otto orizzontale, che
trasmette bene il senso del moto perpetuo, del volteggiare dentro e
fuori della manifestazione, un equilibrio dinamico e polarizzato. Ci
stiamo quindi incarnando sempre di nuovo in questo spettacolo di
delizia, questo viaggio estatico attraverso l’oceano della
beatitudine. Siamo sempre in uno stato dinamico di cambiamento, di
trasformazione, di magick nel sacramento dell’esistenza. La vita non
ha bisogno di altro sigillo o approvazione che questo.
Anche il Santo venne a me, e io contemplai un cigno bianco
fluttuante nel blu.
Tra le sue ali io mi trovai
sazio, e gli eoni scomparirono.
Quindi il cigno volò
e discese in picchiata, e tuttavia noi non andammo in nessun luogo.
Un piccolo ragazzo pazzo che viaggiava con me parlò con il cigno e
disse:
Chi sei tu che fluttui e voli e discendi e ti libri nel
vacuo? Guarda, tanti di questi eoni sono passati; da dove vieni?
Dove andrai?
E io ridendo di lui, dicendo: Non da dove! Non dove!
Rimanendo il cigno silente, egli rispose: Allora se con nessuno
scopo, perché questo viaggio eterno? E io posi la mia testa contro
la Testa del Cigno e risi dicendo: Non vi è gioia ineffabile in
questo volare senza meta? Non vi è stanchezza e impazienza per chi
intende realizzare qualche scopo?
E il cigno era sempre silente! Ah! Ma noi galleggiammo nell’Abisso
infinito. Gioia! Gioia! Cigno bianco, sostienimi tra le tue ali!
Liber LXV, Cap. II, 17-25.
Perseguendo il nostro viaggio estatico nel cuore della materia,
siamo arrivati al suo centro, al vuoto. È importante tuttavia che
questo vuoto non sia pensato come qualcosa di più ‘reale’ che la
manifestazione; o viceversa che la manifestazione non sia in qualche
modo denigrata o abbassata di rango da considerazioni riguardo
quello che sta dietro di essa. Questo sarebbe blasfemo, una
negazione della natura sacramentale dell’esistenza, una forma non
troppo sottile di dualismo, e una incomprensione disastrosa ed
assurda della situazione. Poiché zero è uguale a due, e due è uguale
a zero. Essi sono identici, del tutto identici, e così entrambi
aspetti o complementari di eguale importanza. Se questo non è chiaro
allora possiamo vedere il demone Manicheo fare cenni seducenti da
lontano.
Qui risiede un principio molto semplice – quello di non confondere i
piani. Una illustrazione fondamentale sarà sufficiente. Nuit dice:
“Non ci sia differenza tra voi tra una cosa e qualsiasi altra
cosa; perché a causa di ciò arriva il danno”. Una semplice
considerazione dell’advaita suggerisce che, di fatto, tutte le
differenze sono imposizioni concettuali su una continuità. Per tutto
questo se io scelgo di bere una calda e buona coppa di cicuta
piuttosto che la mia solita ovomaltina allora il mio non riuscire a
percepire la differenza tra le due bevande porta alla distruzione
del mio presente veicolo di incarnazione. Da un certo punto di
vista, naturalmente, si può dire che questo non fa differenza: io
come una entità apparente ho solo un’esistenza transitoria comunque,
uno spettro incorporeo nella foschia del mattino. Logicamente, non
vi è alcun profitto a sostenere il punto di vista che potrebbe dire
“noi moriremo tutti prima o poi, così che importa?”. L’esistenza è
essenzialmente un sacramento, comunque, di cui esserne partecipe con
tutto il cuore. Per citare Nietzsche: “Tutta la gioia vuole
eternità – vuole un’eternità profonda, profonda, profonda”.
Di nuovo, può sembrare paradossale, ma una volta che ci siamo
risvegliati, che abbiamo realizzato la natura della lila,
continuiamo come prima – ma con la differenza che sappiamo che è un
gioco. Un po’ come la parabola Zen sulle montagne e le valli. Una
volta vedevo le montagne come montagne e le valli come valli. Poi
ricercai l’illuminazione e le montagne non erano più montagne e le
valli non erano più valli. Ma ora le montagne sono di nuovo montagne
e le valli sono di nuovo valli. Una volta risvegliati, continuiamo a
recitare la parte; ma non siamo più assorbiti nel dramma, perduti
nel ruolo; perché noi siamo svegli, e sappiamo che questo è soltanto
un sogno. Questa è la più alta alchimia. È importante cogliere
questo punto perché altrimenti sorgerà una confusione grossolana e
al sacramento sarà negata la sua natura sacramentale. La lila
è illusione dal punto di vista che è un niente che si maschera come
qualcosa ma reale nel senso che essa è sorta da quel niente. Lo
pseudonimo Wei Wu Wei dice “Io sono perché io non sono”.
Questo sembra paradossale, e non ha alcun senso per l’intelletto.
Esso può, tuttavia essere intuito – e colto per un istante,
fugacemente, da qualche parte del nostro essere che è “al di là di
tutto io sono”.
Una volta che ci siamo risvegliati, da allora in poi non risiediamo
permanentemente nella consapevolezza della nostra identità
fondamentale. Piuttosto entriamo ed usciamo da questa comprensione,
questa consapevolezza – o piuttosto, così sembra alle nostre
sensibilità legate alla terra. Non può essere afferrato ma è uno
spirito libero, che sceglie di venire e andare come gli aggrada. Noi
non viviamo – siamo vissuti. La lila si manifesta
temporaneamente come anche carnalmente; e, essendo il tempo
illusorio, i bagliori del risveglio non ci appaiono sequenziali né
coerenti. È di fatto patetico tentare di rivestire questi dardi di
intuizione con il linguaggio, per sua propria natura balbettante,
vacillante ed incoerente. Tuttavia, forse in tali tentativi noi
puntiamo un dito verso la luna, e almeno diamo all’intuizione una
qualche sorta di indicazione direzionale.
Ma dovremmo essere contenti di fare qualche tuffo occasionale in
piscina, nell’estasi e nel miracolo del risveglio alla nostra
identità, nella quale siamo contigui sia con tutta la manifestazione
che con la non-manifestazione, e tuttavia anche al di là di
entrambe. Tutto e Nulla devono essere abbracciati con eguale
fervore, mentre andiamo rallegrandoci sulla nostra strada, roteando
in questo modo e in quello spettacolo glorioso che è la nostra
creazione, in una comunione estatica sia dell’edonista che
dell’ascetico, sia del partecipe che dell’eremita - dimorando
entrambi sia all'interno di tutto, che oltre a tutto.
Perché
– non è questa la nostra Volontà?
APPENDICE
Anch’io sono una Stella nello Spazio, unica ed esistente in sé
stessa, un’essenza individuale incorruttibile; anch’io sono
un’Anima; io sono identico a Tutti e a Nessuno. Io sono in Tutto e
Tutto è in me; io sono, separato da tutto e signore di tutto, una
cosa sola con tutto. Io sono Dio; io stesso Dio dello stesso
Dio; percorro la mia via per operare la mia volontà; della materia e
del moto mi sono fatto uno specchio; ho decretato per la mia gioia
che il Nulla debba immaginarsi doppio, affinché potessi sognare una
danza di nomi e di nature, e godere la sostanza della semplicità
osservando il vagare delle mie ombre. Io non sono ciò che non è.
Io non so ciò che non sa; io non amo ciò che non ama. Perché io sono
l’Amore grazie al quale ogni divisione muore nella gioia. Io sono
la Conoscenza grazie alla quale tutte le parti, immerse nel Tutto,
periscono e passano nella perfezione; e sono ciò che sono, l’Essere
in cui l’Essere è perduto nel Nulla, e che non si degna di essere se
non per la sua Volontà di rivelare la sua natura, per la necessità
di esprimere la sua perfezione in tutte le possibilità di cui ogni
fase è un fantasma parziale, eppure inevitabile e assoluto. Io
sono Onnisciente, perché nulla esiste per me, a meno che io lo
conosca. Io sono Onnipotente, perché nulla avviene se non per la
Necessità che è l’espressione della mia anima attraverso la mia
volontà di essere, di fare, di soffrire i suoi stessi simboli. Io
sono Onnipresente, perché nulla esiste dove io non sono, e ho
foggiato lo spazio quale condizione della mia coscienza di me
stesso, che sono il centro di tutto, e la mia circonferenza è la
cornice della mia fantasia. Io sono il Tutto, perché tutto ciò
che esiste per me è un’espressione necessaria nel pensiero di
qualche tendenza della mia natura, e tutti i miei pensieri sono solo
le lettere del mio Nome. Io sono l’Uno, perché tutto ciò che sono
non è il Tutto assoluto, e tutto il mio tutto è mio e non di un
altro; mio, ed io concepisco gli altri come me stesso in essenza e
verità, eppure diversi nell’espressione e nell’illusione. Io non
sono il Nessuno, perché tutto ciò che sono è l’immagine imperfetta
del perfetto; ogni fantasma parziale deve perire nella stretta della
sua controparte; ogni forma si completa torvando il suo contrario
adeguato e soddisfacendo il suo bisogno d’essere l’Assoluto mediante
il conseguimento dell’annientamento.
(Magick,
cit., p.500-501).
Aleister Crowley, Rituale del Segno della Bestia