Fa’ ciò che vuoi, sarà tutta la Legge.

Cenni sulla Liberazione Tantrica  
di Sapah Zimii,  XVI°

  

Approssimazioni storiche

Tra i molteplici significati del termine Tantra (radice tan, ‘estendere, continuare, moltiplicare’) uno soprattutto è degno di interesse, quello di ‘successione, sviluppo, processo continuo’. Tantra sarebbe ‘ciò che estende la Conoscenza’. Attorno al IV secolo dell’era vulgaris questo termine giunse ad identificare un grande movimento religioso e filosofico, ma che solamente due secoli dopo sfocia in una sorta di ‘moda pan-indiana’ che trova popolarità tra filosofi, teologi, ma  anche tra asceti e yogin. Ben presto il tantrismo si trova ad influenzare tutte le sfere della cultura e della spiritualità. Tutte le scuole ‘settarie’ e le grandi religioni si trovano ad essere influenzati da questa corrente. Esiste, infatti, un importante tantrismo buddhista ed un altrettanto importante tantrismo indù.

Secondo le tradizioni buddhiste il Tantra fu introdotto da un certo Asanga  (nel 400 e.v. circa) e da Nagarjuna (circa II secolo dell’era vulgaris), ma le origini sono senza dubbio avvolte nel più fitto dei misteri; quello che è certo è che il più antico testo del tantrismo buddhista è il Guhyasamaja-tantra, considerato da molti opera dello stesso Asanga.

In linea di principio i Tantra buddhisti si dividono in quattro grandi categorie: Kriya-tantra, carya-tantra, yoga-tantra, e anuttara-tantra. I primi due sono specialmente dedicate ai Rituali, mentre le altre analizzano più a fondo certi procedimenti Yogici; si dice che ogni categoria sia in relazione con i tipi principali di temperamento e carattere, così, per esempio, i kriya-tantra sono adeguati ai brahmani e a tutti coloro che tendono al ritualismo.

Bisogna sicuramente tenere presente che, almeno agli inizi, questa corrente si sviluppa da ambienti poco induizzati, da regioni di frontiera come potevano essere le frontiere con l’Afghanistan, la zona orientale del Bengala e soprattutto l’Assam, paese ’tantrico’ per eccellenza. Alcuni studiosi considerano anche possibili influenze gnostiche provenienti dal Nord-Ovest, attraverso l’Iran.

A volte si constata, infatti, una sorprendente analogia con la corrente misteriosofica occidentale ed in particolare con l’alchimia greco-egizia.

Per motivi che in seguito vedremo meglio, la diffusione di queste dottrine favorì una rivalutazione della Donna e delle Divinità Madri. Dal punto di vista dottrinario, questa riscoperta della Dea è strettamente connessa  con la condizione carnale dello Spirito nel Kali-Yuga.  Gli autori presentano la rivelazione tantrica come una ulteriore visione della Verità Senza Tempo, destinata agli uomini delle ‘epoche oscure’, in cui lo spirito è profondamente velato dalla carne. I Veda e la tradizione Brahmanica vengono considerati inadeguati ai ‘tempi moderni’, in quanto l’uomo non dispone più del vigore spirituale di cui era dotato agli inizi del ciclo, è ormai incapace di accedere direttamente alla Verità, e quindi ha bisogno di ausili che siano il più possibile vicino alla sua condizione decaduta. E’ evidente che tali ausili sono necessariamente di carattere fisico-corporeo, in quanto i sensi ancora attivi dell’uomo di oggi sono solamente quelli corporei.

Anche per i buddisti, il Vajrayana (Veicolo del Diamante, nome sotto cui è conosciuta la corrente tantrica buddhista) costituisce una nuova rivelazione delle dottrine del Buddha adatta alle possibilità dell’uomo moderno.

Nel Kalacakra-tantra ci viene raccontato come il re Sucandra chiese al Buddha quale fosse lo Yoga per salvare gli uomini del kali-yuga. Il Buddha gli rivelò allora che l’intero Cosmo si trovava nel corpo umano stesso, gli spiegò l’importanza della sessualità e gli insegnò a controllare i ritmi temporali attraverso la Disciplina del Respiro.

E poiché il corpo rappresenta il Cosmo e gli Dei stessi non si può ottenere la Liberazione se non partendo dal corpo stesso. Ecco quindi l’importanza di un corpo forte, sano e pulito, vero e proprio Tempio dell’Anima. E da qui la tendenza a disprezzare un certo tipo di ascesi da parte di certe scuole tantriche e soprattutto, a rifiutare categoricamente qualsiasi tipo di meditazione. Lui-pa scrive: “A cosa serve la meditazione? Nonostante tutte le meditazioni si muore nella sofferenza. Abbandona tutte le pratiche complicate e la speranza di ottenere delle siddhi, e accetta il Vuoto come la tua Vera Natura.” 

Ma le scuole che propongono sfumature anche solo di poco differenti negli insegnamenti sono innumerevoli.

Le nozioni storiche non possono andare oltre a queste poche righe, a meno che non si voglia cadere in un pesante lavoro storiografico. Ritengo più utile passare ad altri argomenti ricordando alcuni concetti fondamentali per andare avanti.

Il Tantra è ‘rivelato’ per l’uso degli uomini nel Kali-yuga e il tantrismo è, prima di tutto, una pratica di Azione e di Realizzazione. Ma nonostante la Rivelazione si rivolga a tutti, in realtà la Via è riservata a pochi e comporta necessariamente una Iniziazione, che come vuole la Tradizione, solo un Maestro può trasmettere, ‘da bocca a orecchio’.

 

L’importanza del Guru

La via tantrica passa attraverso una morte e rinascita dell’adepto, attraverso cioè quello che comunemente è chiamata Iniziazione. In certi ambienti tantrici, addirittura la grande iniziazione corrisponde con i funerali dell’adepto che è morto a tutti gli effetti al samsara, ai suoi vincoli sociali e convenzionali.

A tal proposito la figura del Maestro risulta decisiva per la costruzione della sua, per così dire, ‘personalità magica’.

Il termine guru, secondo controverse etimologie indiane, significherebbe ‘colui che dissipa l’oscurità’, oppure ‘colui che è pesante’, dove la pesantezza sarebbe determinata dalla quantità delle qualità spirituali. Il vero guru si è infatti liberato del proprio Karma, ha realizzato il Sé ed ha affrancato il Samsara.

La figura del guru è molto antica, e sin dai Veda è stata parallela ad un’altra figura significativa per l’ambiente indiano, quella dell’asceta, il più delle volte nomade, definito sadhu o, a volte, samnyasin. La differenza sostanziale sta nel fatto che il guru trasmette una visione particolare, indicando una via da seguire per ottenere la cosiddetta Liberazione. La Conoscenza spirituale si può ottenere solo tramite la trasmissione da Guru a discepolo, attraverso una catena ininterrotta di Maestri.

Pertanto il guru rappresenta il punto di contatto dell’umano con il divino. Nel corso dei secoli, soprattutto in certi ambienti legati in qualche modo alle pratiche dell’Hatha Yoga, la figura del guru ha assunto connotazioni magiche, rafforzate nella credenza delle siddhi, (o poteri), di cui i grandi asceti sarebbero forniti.

Sia come sia, il vero guru solitamente non si serve delle sue siddhi in quanto esse lo vincolerebbero nuovamente al Samsara. Tali siddhi sarebbero acquisite in certi casi già dalla nascita, come risultato di sforzi spirituali compiuti in precedenti incarnazioni; ma possono anche essere conseguite in vita attraverso particolari pratiche ascetica, con l’Hatha Yoga, o con differenti metodi dal sapore magico includenti l’uso di particolari Mantra e, a volte anche l’assunzione di particolari droghe magiche.

Il guru quindi è spesso considerato come una sorta di padre spirituale che schiude i confini del mondo metafisico attraverso quella che viene definita diksha, che noi abbiamo già tradotto con il termine di Iniziazione.

Particolare fondamentale di tale tipo di diksha è quello che viene definito il Mantra personale, che viene appunto conferito dal guru al discepolo. Questo Mantra costituisce il punto focale dell’iniziazione ed il discepolo deve impegnarsi solennemente a non rivelarlo, né trascriverlo, pena la perdita di ogni suo effetto.

Tuttavia la conoscenza  e l’insegnamento del Maestro non sono le uniche condizioni necessarie  per intraprendere la Via tantrica, anzi arrivare ad incontrare il proprio Maestro e ricevere alcuni dei suoi insegnamenti, per molti costituirebbe già un ottimo traguardo. In realtà esiste una sorta di qualificazione personale che divide drasticamente l’umanità intera; e nonostante questa qualificazione si applichi ad ogni uomo, non può in alcun modo essere democratizzata, in quanto rappresenta, in qualche modo il proprio livello di emancipazione spirituale.

Bernard Shaw affermava l’esistenza di un 5% dominante sulla Terra, una piccola parte di umanità che aveva ed ha la possibilità di trascendere la propria limitata e limitante condizione, per andare oltre.

I testi classici indiani, soprattutto quelli tantrici, hanno da sempre proposto una divisione sostanziale degli individui, che ora tenteremo di analizzare.

 

Pashu, Vira e divya.

I Tantra hanno da sempre utilizzato questi termini per identificare tre differenti tipologie di individui.

Il termine pashu, corrispondente al primo tipo umano, può essere tradotto con ‘animale’, ad identificare una tipologia umana prettamente animalesca, istintiva, caratterizzata da bassi istinti. Ma in realtà la parola viene dal verbo pash che significa ‘legare’, a simboleggiare la condizione fortemente vincolata e passiva del pashu. Non che nonostante la spiccata animalità, il pashu si possa definire cattivo, secondo il comune modo di pensare, anzi potrebbe più propriamente essere definito come ‘una brava persona’, almeno all’apparenza. I Tantra attribuiscono questa condizione a praticamente tutti gli uomini del kali-Yuga, esseri legati completamente alla materialità che non sanno più volgere lo sguardo verso qualcosa di più grande della vita quotidiana. Per tali persone ogni incursione nel mondo del sacro, oltre ad essere al limite delle loro possibilità e per di più potenzialmente pericoloso,e difatti il canone indiano preclude ogni tipo di pratica rituale a tali esseri, concedendogli, al limite, la possibilità della devozione.

Ben di altra natura è, invece, il  vira; il termine, che ha la stessa radice del latino vir, designa un carattere virile ed eroico. E’ chiaro che con questo termine vengono indicati gli Iniziati. Tuttavia esistono anche all’interno di questo gruppo ulteriori classificazioni: vengono identificati infatti i vira della Via della Mano Destra e quelli della Via della Mano Sinistra. Tra questi i secondi vengono considerati superiori ai primi e per loro viene usato il simbolismo del guerriero (kshatriya) a sottolineare le qualità di forza, coraggio, audacia e disprezzo del pericolo.

Altri sottogruppi dei vira sono i siddha e i kaula, la via dei quali sarebbe tale che è detto <non ve ne è di più alta e migliore>; riprendendo una immagine buddista viene detto che la loro legge o verità cancella e fa sparire ogni altra come l’orma di un possente elefante che cancella e fa sparire le orme di ogni altro animale.

La parola siddha comprende il senso di perfezione, di compimento, per cui nel siddha si potrebbe vedere l’adepto realizzato, mentre per i Kaula, la designazione viene da kula, termine indicante una casata nobile, un clan molto potenete.

I divya, infine sono persino aldilà di queste condizioni, per loro non esiste alcuna limitazione; nel sistema occidentale sarebbero coloro che hanno valicato l’Abisso con successo; da notare pertanto la similitudine del termine divya con deva (dio).

 

Speculazioni sulla figura del vira e sulla ‘Libertà d’azione’.

Ovviamente la figura che più ci interessa per i nostri scopi è quella del vira, cioè dell’Uomo che si pone attivamente nei confronti della vita e della Via e che aspira continuamente ad una condizione superiore. A questo gruppo sono indirizzati tutti gli insegnamenti tantrici e i Riti, compreso il Rituale Segreto, o Rituale delle 5 Emme (pancatattva).

La nostra attenzione dovrà andare particolarmente alla Via della Mano Sinistra, in quanto tradizionalmente, è sì la più pericolosa, ma anche quella che porta a risultati spirituali più eclatanti. Il siddha della Via della Mano Sinistra perde ogni residuo di dualità, non vi è nulla al di sopra di lui e può compiere qualunque azione senza temere alcuna ritorsione karmica. Egli è aldilà di ogni legge e di ogni morale tanto che per i tantra induisti tale siddha resta puro ed intatto anche compiendo azioni il semplice pensiero delle quali basterebbe a mandare gli altri in perdizione.

Queste affermazioni vanno senz’altro commentate oltre che per la loro importanza anche per la facilità di fraintendimento.

Innanzitutto è doveroso dire, ma credo che sia chiaro, che nel Tantra, come anche in tutta l’India non si è mai sviluppata una moralità nel senso occidentale del termine. Non esistono norme morali dal carattere assoluto o di carattere categorico, ma al contrario le norme sono dei semplici mezzi ordinati ad un fine superiore. Nel canone buddista si trova il simbolismo della zattera che è un mezzo che si ci costruisce per attraversare un corso d’acqua, ma attraversato questo non serve più a niente.

Per approfondire questa nozione fondamentale trovo che sia illuminante la lettura del capitolo su Yama e Niyama nel Magick di Crowley.

Con questa premessa possiamo avventurarci in una piccola speculazione sulla dottrina della non-dualità. Viene detto che se Brahman è veramente uno e senza un secondo, come vuole la tradizione, che senso ha affermare una cosa come male e d un’altra come bene, rendere lecita un’azione e vietarne un’altra? Tali opposizioni di valori esistono soltanto per colui che invece di dominare la Maya, se ne lascia dominare. La dottrina tantrica del ‘gioco’ di parashakti (teoria che tra breve analizzeremo meglio, ma che in pratica afferma la realtà manifesta quale risultato di un eterna gioco della Dea) rende ancora più evidente tutto ciò.

Tuttavia non si può ignorare il fatto che il punto di partenza è sempre un essere condizionato anche se in possesso della qualificazione e della vocazione del vira e che qualunque uomo che non si sia liberato dal ciclo samsarico sarà sempre e comunque soggetto alla legge del Karma, legge questa che non ha il sapore di punizione come alcuni vorrebbero farci credere, ma che ha invece un carattere riequilibrante in funzione dl Dharma personale. Cerco di spiegarmi meglio, il dharma in qualche modo rappresenta il percorso spirituale dell’individuo, la sua direzione, la sua strada, la sua natura e ogni tentativo di allontanarsi da questo percorso viene riequilibrato tramite la forza del Karma.

In questo senso la correlazione di dharma e karma esprime il condizionamento degli esseri nel mondo manifesto.

Naturalmente viene ammessa la possibilità di muoversi nella direzione completamente opposta al dharma, ma naturalmente tale presa di posizione sarà inevitabilmente riequilibrata dal Karma: è come se uno volesse mangiare un cibo avariato che sa che lo danneggerà, ma nonostante tutto decide di mangiarlo; lo può fare, con la consapevolezza che starà male in conseguenza della sua azione.

Il superamento totale di Dharma e Karma, con la conseguente espulsione dalla ruota samsarica si ha solo con quella che viene definita Liberazione.

 

Amore è la Legge, amore sotto il dominio della volontà.