MARI, LA DEA PALEOLITICA E LE SUE MANIFESTAZIONI
MASCHILI
L’ ANDROGINO
PRIMORDIALE
di Aiwass418
MARI, MAYA, YONA-GORRI,
LEZEKO-ANDEREA.
Divinità di carattere femmineo, conosciuta in tutta l’Euskal Herria
(Paese dei Baschi), alla quale si attribuisce una dimora
praticamente in ognuna delle montagne della geografia basca, e
ognuna delle quali è denominata in un modo diverso. Per essere il
principale genio della mitologia basca e per adempiere a funzioni di
grande complessità, può essere definita, da un punto di vista
pagano, sebbene soggetto alla mentalità cristiana del basco, con la
denominazione di dea.
E’ poco probabile che il nome di Mari sia un diminutivo del nome
cristiano Maria, ed è molto più probabile che abbia la sua origine
nel mito della Terra LUR e nei nomi ancestrali MAIRI, MAIDI o MAIDE.
Ciò che sembra essere chiaro è che il mito di MARI sia molto
antecedente all’avvento del cristianesimo e che non sia stato
da esso completamente assimilato come invece è avvenuto per altri
popoli.
Possiamo invece relazionare MARI ad altre dee della cultura
pre-indoeuropea.
In sumerico “Ma”
significa ama (madre) e “ri(m)” (partorire); a Creta troviamo
l’Amari minoico; in Cipro incontriamo la dea pre-indoeuropea
Ay-Mari.
Conviene notare che altro nome dello stesso genio è MAYA, che va
posto in relazione con quello di suo marito MAJU, genio che, a
giudicare dalle sue funzioni, viene anche chiamato SUGAAR,
SUGOI.
Sembra essere parente della Persefone greca o la Proserpina romana
se teniamo presente che la dea basca fu rapita quando era
bambina.
Sebbene comunemente le sia dato un connotato femminile, le frequenti
manifestazioni zoomorfe che le vengono attribuite e che sono tutte
di sesso maschile, fanno emergere nei significati più arcaici, un
connotato androgino della dea basca.
Mari si avvale della loro forza e del loro potere di fecondità per
generare e rigenerare costantemente la potenza vitale della natura.
Essa ci appare incarnata nella figura di questi animali, esprimendo
in questo modo l’unità dei principi maschile e femminile.
L’archeologa Maria Gimbutas ci dice che l’antica Dea “era androgino,
con il collo allargato in forma di fallo; questa bisessualità divina
afferma il potere assoluto della Dea. La separazione delle sue
qualità mascoline deve essere accaduto in qualche momento del VI
millennio a.C.”
Questo può essere anche il caso di Mari che inizialmente era
probabilmente una divinità androgina e che successivamente si è
dissociata nel marito Maju, nei figli.
Da dea quale è, MARI è vista dal contadino basco come detentrice di
una grande giustizia, sebbene nello stesso tempo colma di
severità perché premia chi pratica il bene e castiga chi non compie
i suoi mandati.
Se qualcuno necessita di aiuto e la chiama tre volte con fervore
dicendo: AKETEGIKO DAMEA, le si colloca sulla sua testa disposta a
favorire questa persona.
E’ considerata come capo della maggioranza dei geni.
La parola Mari, che in alcune parte del paese significa “signora” e
che in questo senso si applica ugualmente al personaggio mitico di
cui stiamo parlando, va accompagnato al nome della montagna o
della caverna dove, secondo le credenze di ciascun paese, si
manifesta il genio.
Txindoki’ko Mari “la Mari di Chindoqui” la definiscono in Amézqueta;
Marimunduko “Mari di Muru o di Mundu” in Ataun. Noi la chiameremo
semplicemente MARI.
L’immagine principale di Mari non è comunque quella della Madre
generosa e tenera. Quella che ha per figlia potrebbe essere una
bambina da lei sequestrata e, in quanti ai figli, non usa averli da
suo marito o dalla spirito santo ma da pastori ed contadini
agguerriti. Di conseguenza la Signora delle Caverne, ci appare
soprattutto come la madre Terribilis, nello stesso modo di tutte le
divinità sotterranee o ctònie. In alcuni luighi la chiamano
“GAIZTOA” (malvagia).
Il concetto di Gaiztoa contiene a volte il significato di
perversa-temibile e di furba-capricciosa. Mari si mostra come
temibile in alcuni casi, negli abissi ed anche nei numi della notte,
ma senza abbandonare il senso di furba e giocosa. E’ volubile e
capricciosa come lo sono le signore e le dame agli occhi dei
contadini, come lo è la natura e la vita stessa. In qualsiasi forma,
non appare mai come una divinità che esige sacrifici umani o di
animali, al massimo si lanciano sassi negli abissi dove abita perché
non faccia salire in superficie maggiori danni.
Questa è una
caratteristica fondamentale di Mari. E’ considerata l’origine del
bene come del male, similmente alla divinità arcaica
pre-indoeuropea.
Quale padrona
assoluta della vita, può donarla come toglierla. Molti degli umani
che hanno avuto contatti con lei o con le Lamie, sono rimasti
infermi ed hanno, a volte, perso la vita. Mari può provocare
benefici come arrecare gravi danni, proteggere i raccolti come
scatenere la tormenta (più tardi sarà attribuite a Maju ed ai
figli la responsabilità delle tormente). Per tanto, Mari non è la
divinità benefattrice tipica che viene normalmente intesa come dea.
Mari non è la dea femminea tipica che deve attrarre il dio
mascolino. Mari è la dea o la madre selvatica, immagine della
natura.
Forme di MARI
“Mari è la capa di tutte le streghe
e lei stessa è strega”(J.Caro Baroja).
Tanto l’agnello
(Ahari) come il capro maschi (Aker) come il serpente
sotterraneo/cosmico (Sugoi-Sugaar) sono gli animali simbolo o
apparizioni di Mari, mentre il testimone dei suoi riti è il rospo
(Apo).
Si presenta molte volte in forma di signora elegantemente vestita,
a volte tenendo nelle mani un palazzo d’oro. In uguale forma è
descritta in racconti di Elosua, Begona, Azpeitia, Cegama, Renteria,
Ascain e Lescun.
Appare a volte come una signora seduta su un carro che vola
nell’aria tirato da quattro cavalli.
A Zaldivia viene descritta come una donna che emana fiamme.
Donna avvolta di fuoco che in posizione orizzontale attraversa lo
spazio del cielo.
Figura di donna che emana fuoco e che a volta trascina una scopa a
volte delle catene, a secondo del rumore che viene udito.
Signora seduta su un montone.
Grande donna la cui testa va circondata dalla luna piena.
Donna con piedi di uccello.
Donna con piedi di capra.
Figura di caprone maschio.
Figura di cavallo.
Fu vista in forma di corvo nella caverna di Aketegi.
Nella forma di avvoltoio apparve lei e i suoi compagni nella caerna
di SUPELEGOR del monte Itxine.
Nella forma di albero la cui parte frontale sembra una donna o in
forma di albero che emana fiamme da ogni lato.
In alcune occasioni si è manifesta come raffica di vento.
In altre occasioni si presenta come una nuvola bianca. Alcune volte
l’hanno vista nella forma di arcobaleno.
Frequentemente l’hanno vista passare nel cielo in forma di globo di
fuoco.
Molte volte adotta la forma di falce di fuoco.
In Lizarraga chiamano MARI DAMATXO e dicono che giunge alla caverna
di Putxerri attraverso l’aria come un aereo e che lancia dietro di
sé una scia di scintille.
Nella grotta di ZELHARBURU (Bidarray) si trova rappresentata in una
struttura stalagmitica che assomiglia ad un torso umano.
Nonostante la
varietà di forme che i racconti mitici attribuiscono a MARI, tutti
convengono che si tratta di una donna.
MARI assume generalmente figure zoomorfiche nelle sue dimore
sotterranee; le altre forme, sulla superficie della terra e quando
attraversa il firmamento.
Le figure di animali, come di toro, di montone, di caprone maschio,
di cavallo, di serpente, di avvoltoio, etc., a cui fanno riferimento
i racconti mitici relativi al mondo sotterraneo rappresentano,
quindi, MARI ed i suoi subordinati come i geni terrestri o
forze telluriche alle quali il popolo attribuisce i fenomeni del
mondo.
Dimore di MARI
Dimora abituale di MARI sono le regioni situate nell’interno della
Terra.
Ma tali regioni comunicano con la superficie terrestre attraverso
vari condotti, che partono da caverne e precipizi. Per questo motivo
MARI fa la sua comparsa in questi luoghi più preferibilmente che in
altri.
Si crede abitualmente che le dimore di MARI siano riccamente
adornate e che in esse abbondino oro e pietre preziose. Nei racconti
popolari il carbone dei mondi sotterranei diviene oro se portato nel
mondo di superficie e viceversa, gli oggetti d’oro delle dimore di
mari, se trafugati e portati in superficie divengono legno
imputridito.
MARI cambia dimora: trascorre sette anni in Amboto, sette in Oitz e
sette in Mugarra. Secondo credenze di Amézqueta trascorre un periodo
in Aralar, un altro in Aizkorri e un altro ancora in Murumendi.
Famiglia di MARI
In molti miti baschi si considerava MARI come il capo o regina di
tutti i geni che popolano il mondo. In una leggenda di Azcoitia si
narra che MARI ha un marito che si chiama MAJU, che appare in forma
simile a quella della sua consorte.
Quando si incontrano entrambi si scatena una furiosa tempesta di
pioggia e grandine.
MAJU deve essere lo stesso genio che in Goyerri viene chiamato
SUGAAR. E’ un personaggio che appare poco nella attuale mitologia
basca. SUGAAR o serpente sembra essere il diavolo di Vizcaya del
secolo XIV.
SUGOI è il nome del serpente della caverna di BALZALA alla cui
leggenda è incorporato uno dei temi del racconto sull’origine dei
signori di Vizcaya.
Varie leggende narrano del matrimonio di MARI con un mortale. Si
parla di sette figli di MARI, in altri racconti di due figlie, in
altri ancora di una sola che le fa compagnia nella loro dimora ed in
altri ancora si parla di due figli: ATARRABI e MIKELATS, l’uno buono
e l’altro cattivo.
Alcuni racconti presentano MARI nelle sue diverse localizzazioni
come se si trattasse non di un solo nume o divinità ma di varie
divinità gemelle che, di quando in quando, si visitano
reciprocamente.
Da tali credenze e miti si apprende che MARI e il suo mitico marito
MAJU entrano nella categoria degli antenati, dato che lo sono per la
casa dei signori di Bizcaya.
La prigioniera di MARI
Oltre alle innumerevoli servitù di geni che MARI ha al suo servizio,
appare a volte una giovane prigioniera. La prigioniera si chiama
anch’essa MARI e sono molte le leggende e molte le interpretazioni
di come e perchè questa fanciulla fu fatta prigioniera di MARI.
Attributi e funzioni di MARI
Racconti riferiscono che MARI fu vista molte volte nella cucina
della sua caverna, seduta vicino al fuoco, riordinando la sua
capigliatura. Fu vista anche filare e altri la videro pettinarsi
seduta al sole sulla soglia del suo rifugio. Le attività quotidiane
di MARI sono direttamente connesse alle condizioni atmosferiche ed
in particolare alla pioggia ed alle tempeste che ella produce,
lanciandole dalle caverne o dal fondo dei precipizi o mentre
attraversa i cieli in forma di cavallo.
A Gorriti credono che MARI faccia uscire le nubi tempestose da un
precipizio di Aralar. I venti tempestosi li fa uscire da un
precipizio situato vicino al ponte di MAI-MUR, secondo credenze di
Leiza. In molti paesi di Alava credono che tali venti e nubi escano
dal precipizio di Okina. A Curtango dicono che escono dal lago
di Arreo. Nella Rioja è frequente sentire che vengono dal pozzo
di Urbion. Nella regione di Lescun si dice che YONAGORRI-MARI che
abita nel picco di Anié, li lancia dalla sua dimora. A Tolosoa
dicono che MARI assisa su un carro trainato da cavalli,
attraversa il cielo durante le tormente, dirigendo le nubi. Il solo
vedere tale divinità è segnale sicuro di prossima tormenta.
MARI premia la fede di coloro che credono in lei. Alcuni viaggiatori
che dovevano attraversare la montagna di Atxorrotx, in Escoriaza, in
un istante si trovarono al termine del loro viaggio, fatto che loro
attribuirono alla loro fede in quel nume.
MARI favorisce coloro che ricorrono a lei. Se qualcuno la chiama tre
volte di seguito dicendo AKETEKIGO DAMA “signora di Aketegui” questa
si colloca sopra la sua testa, secondo un detto corrente nella
regione di Cegama.
In certi casi si chiedeva consiglio a MARI ed i suoi oracoli
risultavano veritieri ed utili. Sono leggendarie le imprese del
cavallo di MARI - alcune volte SUGOI, il serpente - che
conduce i personaggi dei racconti in luoghi lontanissimi in un solo
istante.
Culto a MARI
Chi compie annualmente un ossequio a MARi non vedrà cadere grandine
sul suo raccolto.
Il miglior ossequio che le si può fare è senza dubbio portare un
montone nell’antro della sua caverna. In molte leggende questo
animale appare essere il prediletto da MARI.
Lanciare sassi nelle caverne è senza dubbio uno dei culti a MARI e
ad altri geni sotterranei più popolarmente diffusi.
Questo stesso rituale veniva celebrato lanciando pietre sui o nelle
vicinanze dei dolmens. Nella pianura di Gaztelueta (nella sierra di
Aralar) c’è un tumulo nel quale molte persone lanciano pietre
durante il plenilunio.
Secondo credenze della regione di Ataun, i Jentillak di Aralar
ballavano nella notte di plenilunio ognuno con la propia ombra.
Lanciano pietre nei luoghi sacri le giovani donne che desiderano la
gravidanza.
Il costume di gettare monete all’interno delle caverne, come offerta
dedicata al genio che le abita, era molto diffuso nei tempi
anteriori al cristianesimo.
Nel secolo XIV i signori di Bizkaya depositavano viscere di vacca su
una cima di Busturia come offerta che facevano alla loro antenata
MARI.
Come ci si deve comportare nella
dimora di MARI
Chi si reca a consultare MARI o a farle visita deve attenersi a
certi requisiti.
Rivolgendosi a lei le si deve dare del tu.
Si deve uscire dalla sua caverna nello stesso modo in cui si è
entrati, per esempio, se uno è entrato guardando verso l’interno
deve uscire guardando verso l’interno (camminando all’indietro)
Non sedersi mentre ci si trova nella dimora di MARI
Comandamenti di MARI
Questo nume condanna la menzogna, il furto, l’orgoglio e la
vanteria, l’inadempimento della parola impegnata ed il mancare il
rispetto debito alle persone ed all’assistenza mutua. I delinquenti
sono castigati con la privazione o la perdita di ciò che è
stato oggetto della loro menzogna, del furto, dell’orgoglio etc.E’
comune dire che MARI provvede alla sua dispensa a conto di
coloro che negano quello che è e di coloro che affermano ciò che non
è: ezagaz eta baiabaz “con la negazione e con la affermazione”.
C’è un proverbio che dice: Ezai emana ezak eaman “il dato alla
negazione, la negazione lo toglie”. EZAI EMAN “dare alla negazione”
è mancare alla verità e ai doveri che impone l’assistenza mutua.
Inviolabilità dell’abitazione di
MARI
Chi penetra senza essere invitato nelle caverne di MARI e quello che
si appropria indebitamente di qualche oggetto che appartiene a lei,
viene successivamente castigao o minacciato di castigo.
Un ragazzino che rubò una cantimplora d’oro vicino alla caverna di
Ambito, fu rapito dalla sua casa la medesima notte e scomparve per
sempre.
Alcuni cacciatori che lanciarono pietre nel precipizio di GAZTOZULO,
che è una dei rifugi di MARI nella regione di Onate, furono gettati
a terra da un vento e da una nube che uscirono da esso.
Una donna rubò
un pettine d’oro nella caverna di Otsibarre e in quella stessa notte
un suo terreno agricolo di sua proprietà fu interamente coperto di
pietre.
Castighi e scongiuri
MARI castiga molte volte le mancanze, inviando ai delinquenti
inquietudini interiori. Castiga anche appropriandosi di qualcosa che
appartiene ai colpevoli. Se questi sono pastori, MARI le toglie
qualche montone.
Il castigo più clamoroso che MARI invia ai paesi è la grandine. Lei
medesima e suo figlio MIKELATS lanciano le nubi di tormenta dal
mondo sotterraneo e lei stessa o altri geni subalterni, tra i quali
si citano ODEI e EATE, le dirige di valle in valle e da montagna a
montagna.
Esiste il modo per guidare le tempeste per mezzo di gesti e di
formule magiche. Vedendo avvicinarsi una nube tempestosa un abitante
di Ipinizar arrotolava nel polso della sua mano sinistra
un’erba chiamata UZTAI-BEDAR “erba dell’arco-iris” o RUMEX CRISPUS e
con la mano destra segnalava alla tormenta il tragitto che doveva
seguire. Ci sono persone che si credono dotate di forza magica
e dirigono al genio della tormenta (MARI e i suoi subordinati ODEI e
EATE) certe frasi consacrate per l’uso, segnalando a volte, con
gesti della mano, dove scaricare la pioggia e dove la grandine.
Il lampo ed il fulmine sono fenomeni attribuiti a MARI o ai suoi
mandatari. Per evitare che cadano fulmini sulla casa, è costume
collocare un ascia sul portone con il filo della lama rivolto verso
l’alto. Si crede che il fulmine sia una pietra lavorata (ascia
neolitica) o un pezzo di selce lanciato dal genio della tormenta. A
questa credenza risponde il nome di ONEZTARRI “pietra di tuono” con
cui si designa il fulmine nella regione di Guernica. Questa pietra o
ascia neolitica era considerata come simbolo del fulmine che
protegge la casa. Ma dato che l’ascia neolitica è poco conosciuta
oggi si usa l’ascia di acciaio come antidoto contro il fulmine.
Il simbolo di MARI è la falce. E’ saputo che MARI attraversa il
cielo in figura di una falce di fuoco, per questo tale strumento è
considerato come protettore contro il fulmine in alcune regioni del
paese basco, ed è collocato durante le tormente nella punta di un
palo davanti alla casa, al fine di evitare che il fulmine cada su di
essa.
Da quanto abbiamo detto riguarda MARI si comprende che questo nume
costituisce un nucleo tematico o punto di convergenza di numerosi
temi mitici di diverse provenienze: alcuni indoeuropei,
altri, del fondo pre-indoeuropeo.
Ma basandoci su alcuni dei suoi attributi (dominio delle forze
terrestri e dei geni sotterranei, la sua identificazione con diversi
fenomeni tellurici, etc.) ci sentiamo inclinati a considerarlo come
un simbolo – quasi una personificazione – della Terra.
MAJU, SUGAHAR, SUGOI
Il nome SUGAHAR significa “serpente maschio”. Nella regione di Ataun
si dice che SUGAAR attraversa frequentemente il firmamento, in forma
di falce di fuoco. Il suo passo è presagio di qualche tempesta.
Si suppone che SUGAHAR abiti in regioni sotterranee, da dove esce
sulla superficie della terra attraverso l’apertura di certi antri,
come il precipizio di AGAMUNDA e SUGAARZULO di KUTZEGORRI, situati
in Ataun. Abita anche nella caverna BALZALA (Dima), nella cui
regione è conosciuto con il nome di SUGOI “serpente”. Si dice che
sebbene molte volte si sia presentato sotto forma di serpente sia
stato visto anche in forma umana come viene raccontato in una
leggenda che ci riferisce dell’incontro che ebbero due fratelli
nella caverna di BALZOLA.
SUGAHAR e altri geni che abitano nel precipizio di AGAMUNDA
castigano la disobbedienza ai padri.
Nella regione di Azcoitia tale genio è chiamato MAJU, come il marito
del personaggio mitico MARI, con cui si incontra tutti i venerdì, o
che va a pettinare nella sera di venerdì, momento nel quale si
scatena una forte tormenta, secondo quanto riferiscono a Zarauz.
Questo SUGAHAR o serpente è quello che Lope Garcia de Salazar, nella
sua “Cronica de siete casas de Vizcaya y Castilla” (1454), disse
essere un diavolo che in Vizcaya si chiama Celebro, signore della
casa e dalla cui unione con una principessa che viveva in Mundaka
nacque Juan Zuria, primo signore di Vizcaya.
HERENSUGE, ERENSUGIA, IRANSUGE,
EDENSUGUE
Uno dei geni di rilievo nella mitologia basca è HERENSUGE, anche
chiamato IRANSUGUE, EDENSUGUE, ERSUGUE, etc., secondo le località.
E’ il serpente primigenio, rappresentato come un gigantesco
serpente, alcune volte con sette teste come HAROZTEGI e altre volte
con ali come in FAHAR-DIKO-HARRI. E’ il genio delle profondità, di
carattere carnivoro e sanguinario essendo la sua occupazione
favorita quella di divorare animali ed uomini, quando non sequestra
donzelle.
Vanno collegati a questo genio anche nomi come AZALEGI, URDUNA o il
signore di ZARO.
Le sue abitazioni più conosciute sono la caverna di AZALEGUI o di
ERTZAGANIA (nella montagna di Ahuski), il precipizio di San Miguel
de Excelsis (in Aralar), FAARDIKO-HARRI (in Sara), la Pena di
Orduna, la caverna di Balzola e Montecristo (Mondragon).
Con il suo alito attrae il bestiame di AHUSKI e lo divora oltre la
montagna, secondo la leggenda di Alzay.
Quando viveva nel precipizio di Aralar, ed in quello di Montecristo
e sulla Pena di Orduna, si alimentava di esseri umani.
Secondo alcuni racconti, quanto gli spunta la settima testa si
trasforma in fiamma e vola veloce fino alla regione di ITXASGORRIETA
o del mare rosso di Ponente dove si immerge. Produce un ruggito
spaventoso quando attraversa l’aria.
Sebbene il dragone nella cultura basca come in quella occidentale
sia una figura terrificante, si può supporre che nell’antichità
fosse comunque costantemente relazionato con l’acqua, la fertilità
della terra, la fecondità femminea, i fenomeni tellurici e la vita
sotterranea.
AKER, AKERBELTZ
Tra le rappresentazioni e succedanei del nume sotterraneo Mari,
esiste una figura e un nome che concentrò intorno a se un gruppo
abbastanza importante di credenze e pratiche. Ci riferiamo alla
figura del capro maschio ed al suo nome AKER.
Oltre alle sue caratteristiche principali che sono: vivere in
regioni sotterranee, essere capo di molti geni, provocare tempeste,
etc., il nume denominato AKERBELTZ possiede facoltà curative ed
influenze benefiche sugli animali raccomandati alla sua custodia e
protezione, influenza che esercita mediante il suo simbolo mortale
che è il capro maschio nero.
Per questo in alcune case, volendo impedire che il bestiame sia
attaccato da qualche infermità, tenevano nella stalla un capro
maschio, che doveva essere nero, cioè AKERBELTZ “capro maschio
nero”, perché la sua influenza protettiva fosse più efficace.
La stregoneria basca, che tanta risonanza ebbe nei secoli XVI e
XVII, diede particolare notorietà a questa vecchia rappresentazione
del nume sotterraneo. Nelle dichiarazioni degli accusati di
stregoneria appaiono frequentemente allusioni ad AKERBELTZ o capro
maschio nero e ad AKELARRE, il luogo dove egli presidiava le
assemblee di streghe e stregoni.
AKERBELTZ o genio in figura di capro maschio era adorato in Akelarre
da stregoni e streghe nelle notti di lunedì, mercoledì e
venerdì. I riuniti ballavano e offrivano ai loro numi pane, uova e
denaro. Dalla descrizione di certi azioni e credenze che negli atti
vengono attribuiti loro, si può dire che rappresentavano un
movimento clandestino nel quale si cristallizzava l’opposizione alla
religione cristiana e forse anche contro lo stato sociale vigente e
ufficialmente riconosciuto nel paese, sebbene questo non era
talvolta niente più che una attitudine suggerita nella mente dei
supposti stregoni dalle domande dei loro giudici.
Si segnalano vari luoghi di riunione di streghe e stregoni: AKELARRE
di Zugarramurdi, Larrune, Jaizkibel, Irantzi (Oyartzun), Pullegui,
MAIRUBARATZA (cromlech) di Amenoia, Mandabiitta (Ataun), AKELARRE di
Menaria, Garaigorta (Orozco), Petralanda (Dima), Eperlanda (Mugika),
Akerlanda (Gauteguiz de Arteaga), Abadelaueta (Echaguen), Urkiza
(Pena-cerrada), etc.
AKELARRE di Zugarramurdi è una pianura situata davanti all’entrata
della caverna chiamata AKELARRE-LEZE “caverna del prato del capro
maschio”. Si crede che in quei paraggi e in quella caverna si
riunivano anticamente stregoni.
Nel vestibolo della caverna, a poca altezza sopra il piano di esso,
si apre nel muro un foro simile ad una finestra che, secondo i
racconti, era la cattedra dove il diavolo, in figura di capro
maschio, riceveva lo streghe e gli stregoni.
Il nume AKERBELTZ che si manifesta principalmente come protettore
del bestiame e capo della stregoneria, ha forse un antecedente nel
nume pirenaico pre-cristiano AHERBELTSE.