MARI, LA DEA PALEOLITICA
E LE SUE MANIFESTAZIONI MASCHILI


L’ ANDROGINO PRIMORDIALE

di Aiwass418

 

 

 

 

MARI, MAYA, YONA-GORRI, LEZEKO-ANDEREA.

Divinità di carattere femmineo, conosciuta in tutta l’Euskal Herria (Paese dei Baschi), alla quale si attribuisce una dimora praticamente in ognuna delle montagne della geografia basca, e ognuna delle quali è denominata in un modo diverso. Per essere il principale genio della mitologia basca e per adempiere a funzioni di grande complessità, può essere definita, da un punto di vista pagano, sebbene soggetto alla mentalità cristiana del basco, con la denominazione di dea.

E’ poco probabile che il nome di Mari sia un diminutivo del nome cristiano Maria, ed è molto più probabile che abbia la sua origine nel mito della Terra LUR e nei nomi ancestrali MAIRI, MAIDI o MAIDE.

Ciò che sembra essere chiaro è che il mito di MARI sia molto antecedente all’avvento del cristianesimo e che non sia stato  da esso completamente assimilato come invece è avvenuto per altri popoli.

Possiamo invece relazionare MARI ad altre dee della cultura pre-indoeuropea.

In sumerico “Ma” significa ama (madre) e “ri(m)” (partorire); a Creta troviamo l’Amari minoico; in Cipro incontriamo la dea pre-indoeuropea Ay-Mari.

Conviene notare che altro nome dello stesso genio è MAYA, che va posto in relazione con quello di suo marito MAJU, genio che, a giudicare dalle sue funzioni,  viene anche chiamato SUGAAR, SUGOI. 

Sembra essere parente della Persefone greca o la Proserpina romana se teniamo presente che la dea  basca fu rapita quando era bambina.

Sebbene comunemente le sia dato un connotato femminile, le frequenti manifestazioni zoomorfe che le vengono attribuite e che sono tutte di sesso maschile, fanno emergere nei significati più arcaici, un connotato androgino della dea basca.

Mari si avvale della loro forza e del loro potere di fecondità per generare e rigenerare costantemente la potenza vitale della natura. Essa ci appare incarnata nella figura di questi animali, esprimendo in questo modo l’unità dei principi maschile e femminile.

L’archeologa Maria Gimbutas ci dice che l’antica Dea “era androgino, con il collo allargato in forma di fallo; questa bisessualità divina afferma il potere assoluto della Dea. La separazione delle sue qualità mascoline deve essere accaduto in qualche momento del VI millennio a.C.”

Questo può essere anche il caso di Mari che inizialmente era probabilmente una divinità androgina e che successivamente si è dissociata nel marito Maju, nei figli.

Da dea quale è, MARI è vista dal contadino basco come detentrice di una grande giustizia,  sebbene nello stesso tempo colma di severità perché premia chi pratica il bene e castiga chi non compie i suoi mandati.

Se qualcuno necessita di aiuto e la chiama tre volte con fervore dicendo: AKETEGIKO DAMEA, le si colloca sulla sua testa disposta a favorire questa persona. 

E’ considerata come capo della maggioranza dei geni.

La parola Mari, che in alcune parte del paese significa “signora” e che in questo senso si applica ugualmente al personaggio mitico di cui stiamo parlando, va accompagnato  al nome della montagna o della caverna dove, secondo le credenze di ciascun paese, si manifesta il genio.

Txindoki’ko Mari “la Mari di Chindoqui” la definiscono in Amézqueta; Marimunduko “Mari di Muru o di Mundu” in Ataun. Noi la chiameremo semplicemente MARI.

L’immagine principale di Mari non è comunque quella della Madre generosa e tenera. Quella che ha per figlia potrebbe essere una bambina da lei sequestrata e, in quanti ai figli, non usa averli da suo marito o dalla spirito santo ma da  pastori ed contadini agguerriti. Di conseguenza la Signora delle Caverne, ci appare soprattutto come la madre Terribilis, nello stesso modo di tutte le divinità sotterranee o ctònie. In alcuni luighi la chiamano “GAIZTOA” (malvagia).

Il concetto di Gaiztoa contiene a volte il significato di  perversa-temibile e di furba-capricciosa. Mari si mostra come temibile in alcuni casi, negli abissi ed anche nei numi della notte, ma senza abbandonare il senso di furba e giocosa. E’ volubile e capricciosa come lo sono le signore e le dame agli occhi dei contadini, come lo è la natura e la vita stessa. In qualsiasi forma, non appare mai come una divinità che esige sacrifici umani o di animali, al massimo si lanciano sassi negli abissi dove abita perché non faccia salire in superficie maggiori danni.

Questa è una caratteristica fondamentale di Mari. E’ considerata l’origine del bene come del male, similmente alla divinità arcaica pre-indoeuropea.

Quale padrona assoluta della vita, può donarla come toglierla. Molti degli umani che hanno avuto contatti con lei o con le Lamie, sono rimasti infermi ed hanno, a volte, perso la vita. Mari può provocare benefici come arrecare gravi danni, proteggere i raccolti come scatenere la tormenta (più tardi sarà attribuite a Maju  ed ai figli la responsabilità delle tormente). Per tanto, Mari non è la divinità benefattrice tipica che viene normalmente intesa come dea. Mari non è la dea femminea tipica che deve attrarre il dio mascolino. Mari è la dea o la madre selvatica, immagine della natura.

 

Forme di MARI

“Mari è la capa di tutte le streghe e lei stessa è strega”(J.Caro Baroja).

Tanto l’agnello (Ahari) come il capro maschi (Aker) come il serpente sotterraneo/cosmico (Sugoi-Sugaar) sono gli animali simbolo o apparizioni di Mari, mentre il testimone dei suoi riti è il rospo (Apo).

Si presenta molte volte in forma di signora elegantemente vestita,  a volte tenendo nelle mani un palazzo d’oro. In uguale forma è descritta in racconti di Elosua, Begona, Azpeitia, Cegama, Renteria, Ascain e Lescun.

Appare a volte come una signora seduta su un carro  che vola nell’aria tirato da quattro cavalli.

A Zaldivia viene descritta come una donna che emana fiamme.

Donna avvolta di fuoco che in posizione orizzontale attraversa lo spazio del cielo.

Figura di donna che emana fuoco e che a volta trascina una scopa a volte delle catene, a secondo del rumore che viene udito. 

Signora seduta su un montone.

Grande donna la cui testa va circondata dalla luna piena.

Donna con piedi di uccello.

Donna con piedi di capra.

Figura di caprone maschio.

Figura di cavallo.

Fu vista in forma di corvo nella caverna di Aketegi.

Nella forma di avvoltoio apparve lei e i suoi compagni nella caerna di SUPELEGOR del monte Itxine.

Nella forma di albero la cui parte frontale sembra una donna o in forma di albero che emana fiamme da ogni lato.

In alcune occasioni si è manifesta come  raffica di vento.

In altre occasioni si presenta come una nuvola bianca. Alcune volte l’hanno vista nella forma di arcobaleno.

Frequentemente l’hanno vista passare nel cielo in forma di globo di fuoco.

Molte volte adotta la forma di falce di fuoco.

In Lizarraga chiamano MARI DAMATXO e dicono che giunge alla caverna di Putxerri attraverso l’aria come un aereo e che lancia dietro di sé una scia di scintille.

Nella grotta di ZELHARBURU (Bidarray) si trova rappresentata in una struttura stalagmitica che assomiglia ad un torso umano.

Nonostante la varietà di forme che i racconti mitici attribuiscono a MARI, tutti convengono che si tratta di una donna.

MARI assume  generalmente figure zoomorfiche nelle sue dimore sotterranee; le altre forme, sulla superficie della terra e quando attraversa il firmamento.

Le figure di animali, come di toro, di montone, di caprone maschio, di cavallo, di serpente, di avvoltoio, etc., a cui fanno riferimento i racconti mitici relativi al mondo sotterraneo rappresentano, quindi,  MARI ed i suoi subordinati come i geni terrestri o forze telluriche alle quali il popolo attribuisce i fenomeni del mondo.

 

Dimore di MARI

Dimora abituale di MARI sono le regioni situate nell’interno della Terra.

Ma tali regioni comunicano con la superficie terrestre attraverso vari condotti, che partono da caverne e precipizi. Per questo motivo MARI fa la sua comparsa in questi luoghi più preferibilmente che in altri.

Si crede abitualmente che le dimore di MARI siano riccamente adornate e che in esse abbondino oro e pietre preziose. Nei racconti popolari il carbone dei mondi sotterranei diviene oro se portato nel mondo di superficie e viceversa, gli oggetti d’oro delle dimore di mari, se trafugati e portati in superficie divengono legno imputridito.

MARI cambia dimora: trascorre sette anni in Amboto, sette in Oitz e sette in Mugarra. Secondo credenze di Amézqueta trascorre un periodo in Aralar, un altro in Aizkorri e un altro ancora in Murumendi.

 

Famiglia di MARI

In molti miti baschi si considerava MARI come il capo o regina di tutti i geni che popolano il mondo. In una leggenda di Azcoitia si narra che MARI ha un marito che si chiama MAJU, che appare in forma simile a quella della sua consorte.

Quando si incontrano entrambi si scatena una furiosa tempesta di pioggia e grandine.

MAJU deve essere lo stesso genio che in Goyerri viene chiamato SUGAAR. E’ un personaggio che appare poco nella attuale mitologia basca. SUGAAR o serpente sembra essere il diavolo di Vizcaya del secolo XIV.

SUGOI è il nome del serpente della caverna di BALZALA alla cui leggenda è incorporato uno dei temi del racconto sull’origine dei signori di Vizcaya.

Varie leggende narrano del matrimonio di MARI con un mortale. Si parla di sette figli di MARI, in altri racconti di due figlie, in altri ancora di una sola che le fa compagnia nella loro dimora ed in altri ancora si parla di due figli: ATARRABI e MIKELATS, l’uno buono e l’altro cattivo.

Alcuni racconti presentano MARI nelle sue diverse localizzazioni come se si trattasse non di un solo nume o divinità ma di varie divinità gemelle che, di quando in quando, si visitano reciprocamente.

Da tali credenze e miti si apprende che MARI e il suo mitico marito MAJU entrano nella categoria degli antenati, dato che lo sono per la casa dei signori di Bizcaya.

 

La prigioniera di MARI

Oltre alle innumerevoli servitù di geni che MARI ha al suo servizio,  appare a volte una giovane prigioniera. La prigioniera si chiama anch’essa MARI e sono molte le leggende e molte le interpretazioni di come e perchè questa fanciulla fu fatta prigioniera di MARI.

 

Attributi e funzioni di MARI

Racconti riferiscono che MARI fu vista molte volte nella cucina della sua caverna, seduta vicino al fuoco, riordinando la sua capigliatura. Fu vista anche filare e altri la videro pettinarsi seduta al sole sulla soglia del suo rifugio. Le attività quotidiane di MARI sono direttamente connesse alle condizioni atmosferiche ed in particolare alla pioggia ed alle tempeste che ella produce, lanciandole dalle caverne o dal fondo dei precipizi o mentre attraversa i cieli in forma di cavallo.

 A Gorriti credono che MARI faccia uscire le nubi tempestose da un precipizio di Aralar. I venti tempestosi li fa uscire da un precipizio situato vicino al ponte di MAI-MUR, secondo credenze di Leiza. In molti paesi di Alava credono che tali venti e nubi escano dal precipizio di Okina. A Curtango dicono che escono  dal lago di Arreo. Nella Rioja è frequente sentire che vengono dal pozzo  di Urbion. Nella regione di Lescun si dice che YONAGORRI-MARI che abita nel picco di Anié, li lancia dalla sua dimora. A Tolosoa dicono che  MARI assisa su un carro trainato da cavalli, attraversa il cielo durante le tormente, dirigendo le nubi. Il solo vedere tale divinità è segnale sicuro di prossima tormenta.

MARI premia la fede di coloro che credono in lei. Alcuni viaggiatori che dovevano attraversare la montagna di Atxorrotx, in Escoriaza, in un istante si trovarono al termine del loro viaggio, fatto che loro attribuirono alla loro fede in quel nume.

MARI favorisce coloro che ricorrono a lei. Se qualcuno la chiama tre volte di seguito dicendo AKETEKIGO DAMA “signora di Aketegui” questa si colloca sopra la sua testa, secondo un detto corrente nella regione di Cegama.

In certi casi si chiedeva consiglio a MARI ed i suoi oracoli risultavano veritieri ed utili. Sono leggendarie le imprese del cavallo di MARI - alcune volte SUGOI, il serpente -  che conduce i personaggi dei racconti in luoghi lontanissimi in un solo istante.

 

Culto a MARI

Chi compie annualmente un ossequio a MARi non vedrà cadere grandine sul suo raccolto.

 Il miglior ossequio che le si può fare è senza dubbio portare un montone nell’antro della sua caverna. In molte leggende questo animale appare essere il prediletto da MARI.

Lanciare sassi nelle caverne è senza dubbio uno dei culti a MARI e ad altri geni sotterranei più popolarmente diffusi.

Questo stesso rituale veniva celebrato lanciando pietre sui o nelle vicinanze dei dolmens. Nella pianura di Gaztelueta (nella sierra di Aralar) c’è un tumulo nel quale molte persone lanciano pietre durante il plenilunio.

Secondo credenze della regione di Ataun, i Jentillak di Aralar ballavano nella notte di plenilunio ognuno con la propia ombra.

Lanciano pietre nei luoghi sacri le giovani donne che desiderano la gravidanza.

Il costume di gettare monete all’interno delle caverne, come offerta dedicata al genio che le abita, era molto diffuso nei tempi anteriori al cristianesimo.

Nel secolo XIV i signori di Bizkaya depositavano viscere di vacca su una cima di Busturia come offerta che facevano alla loro antenata MARI.

 

Come ci si deve comportare nella dimora di MARI

Chi si reca a consultare MARI o a farle visita deve attenersi a certi requisiti.

Rivolgendosi a lei le si deve dare del tu.

Si deve uscire dalla sua caverna  nello stesso modo in cui si è entrati, per esempio, se uno è entrato guardando verso l’interno deve uscire guardando verso l’interno (camminando all’indietro)

Non sedersi mentre ci si trova nella dimora di MARI

 

Comandamenti di MARI

Questo nume condanna la menzogna, il furto, l’orgoglio e la vanteria, l’inadempimento della parola impegnata ed il mancare il rispetto debito alle persone ed all’assistenza mutua. I delinquenti sono castigati con la privazione  o la perdita di ciò che è stato oggetto della loro menzogna, del furto, dell’orgoglio etc.E’ comune dire che  MARI provvede alla sua dispensa a conto di coloro che negano quello che è e di coloro che affermano ciò che non è: ezagaz eta baiabaz “con la negazione e con la affermazione”.

C’è un proverbio che dice: Ezai emana ezak eaman “il dato alla negazione, la negazione lo toglie”. EZAI EMAN “dare alla negazione” è mancare alla verità e ai doveri che impone l’assistenza mutua.

 

Inviolabilità dell’abitazione di MARI

Chi penetra senza essere invitato nelle caverne di MARI e quello che si appropria indebitamente di qualche oggetto che appartiene a lei, viene successivamente castigao o minacciato di castigo.

Un ragazzino che rubò una cantimplora d’oro vicino alla caverna di Ambito, fu rapito dalla sua casa la medesima notte e scomparve per sempre.

Alcuni cacciatori che lanciarono pietre nel precipizio di GAZTOZULO, che è una dei rifugi di MARI nella regione di Onate, furono gettati a terra da un vento e da una nube che uscirono da esso.

Una donna rubò un pettine d’oro nella caverna di Otsibarre e in quella stessa notte un suo terreno agricolo di sua proprietà fu interamente coperto di pietre.
 

 Castighi e scongiuri

MARI castiga molte volte le mancanze, inviando ai delinquenti inquietudini interiori. Castiga anche appropriandosi di qualcosa che appartiene ai colpevoli. Se questi sono pastori, MARI le toglie qualche montone.

Il castigo più clamoroso che MARI invia ai paesi è la grandine. Lei medesima e suo figlio MIKELATS lanciano le nubi di tormenta dal mondo sotterraneo e lei stessa o altri geni subalterni, tra i quali si citano ODEI e EATE, le dirige di valle in valle e da montagna a montagna.

Esiste il modo per guidare le tempeste per mezzo di gesti e di formule magiche. Vedendo avvicinarsi una nube tempestosa un abitante di Ipinizar arrotolava nel polso  della sua mano sinistra un’erba chiamata UZTAI-BEDAR “erba dell’arco-iris” o RUMEX CRISPUS e con la mano destra segnalava alla tormenta il tragitto che doveva seguire. Ci sono persone che si credono dotate  di forza magica e dirigono al genio della tormenta (MARI e i suoi subordinati ODEI e EATE) certe frasi consacrate per l’uso, segnalando a volte, con gesti della mano, dove scaricare la pioggia e dove la grandine.

Il lampo ed il fulmine sono fenomeni attribuiti a MARI o ai suoi mandatari. Per evitare che cadano fulmini sulla casa, è costume collocare un ascia sul portone con il filo della lama rivolto verso l’alto. Si crede che il fulmine sia una pietra lavorata (ascia neolitica) o un pezzo di selce lanciato dal genio della tormenta. A questa credenza risponde il nome di ONEZTARRI “pietra di tuono” con cui si designa il fulmine nella regione di Guernica. Questa pietra o ascia neolitica era considerata come simbolo del fulmine che protegge la casa. Ma dato che l’ascia neolitica è poco conosciuta oggi si usa l’ascia di acciaio come antidoto contro il fulmine.

Il simbolo di MARI è la falce. E’ saputo che MARI attraversa il cielo in figura di una falce di fuoco, per questo tale strumento è considerato come protettore contro il fulmine in alcune regioni del paese basco, ed è collocato durante le tormente nella punta di un palo davanti alla casa, al fine di evitare che il fulmine cada su di essa.

Da quanto abbiamo detto riguarda MARI si comprende che questo nume costituisce un nucleo tematico o punto di convergenza di numerosi temi mitici di diverse provenienze: alcuni   indoeuropei, altri, del fondo pre-indoeuropeo.

Ma basandoci su alcuni dei suoi attributi (dominio delle forze terrestri e dei geni sotterranei, la sua identificazione con diversi fenomeni tellurici, etc.) ci sentiamo inclinati a considerarlo come un simbolo – quasi una personificazione – della Terra.

 

 

MAJU, SUGAHAR, SUGOI

Il nome SUGAHAR significa “serpente maschio”. Nella regione di Ataun si dice che SUGAAR attraversa frequentemente il firmamento, in forma di falce di fuoco. Il suo passo è presagio di qualche tempesta.

Si suppone che SUGAHAR abiti in regioni sotterranee, da dove esce sulla superficie della terra attraverso l’apertura di certi antri, come il precipizio di AGAMUNDA e SUGAARZULO di KUTZEGORRI, situati in Ataun. Abita anche nella caverna  BALZALA (Dima), nella cui regione è conosciuto con il nome di SUGOI “serpente”. Si dice che sebbene molte volte si sia presentato sotto forma di serpente sia stato visto anche in forma umana come viene raccontato in una leggenda che ci riferisce dell’incontro che ebbero due fratelli nella caverna di BALZOLA.

SUGAHAR e altri geni che abitano nel precipizio di AGAMUNDA castigano la disobbedienza ai padri.

Nella regione di Azcoitia tale genio è chiamato MAJU, come il marito del personaggio mitico MARI, con cui si incontra tutti i venerdì, o che va a pettinare nella sera di venerdì, momento nel quale si scatena una forte tormenta, secondo quanto riferiscono a Zarauz.

Questo SUGAHAR o serpente è quello che Lope Garcia de Salazar, nella sua “Cronica de siete casas de Vizcaya y Castilla” (1454), disse essere un diavolo che in Vizcaya si chiama Celebro, signore della casa e dalla cui unione con una principessa che viveva in Mundaka nacque Juan Zuria, primo signore di Vizcaya.

 

 

HERENSUGE, ERENSUGIA, IRANSUGE, EDENSUGUE

Uno dei geni di rilievo nella mitologia basca è HERENSUGE, anche chiamato IRANSUGUE, EDENSUGUE, ERSUGUE, etc., secondo le località.

E’ il serpente primigenio, rappresentato come un gigantesco serpente, alcune volte con sette teste come HAROZTEGI e altre volte con ali come in FAHAR-DIKO-HARRI. E’ il genio delle profondità, di carattere carnivoro e sanguinario essendo la sua occupazione favorita quella di divorare animali ed uomini, quando non sequestra donzelle.

Vanno collegati a questo genio anche nomi come AZALEGI, URDUNA o il signore di ZARO.

Le sue abitazioni più conosciute sono la caverna di AZALEGUI o di ERTZAGANIA (nella montagna di Ahuski), il precipizio di San Miguel de Excelsis (in Aralar), FAARDIKO-HARRI (in Sara), la Pena di Orduna, la caverna di Balzola e Montecristo (Mondragon).

Con il suo alito attrae il bestiame di AHUSKI e lo divora oltre la montagna, secondo la leggenda di Alzay.

Quando viveva nel precipizio di Aralar, ed in quello di Montecristo e sulla Pena di Orduna, si alimentava di esseri umani.

Secondo alcuni racconti, quanto gli spunta la settima testa si trasforma in fiamma e vola veloce fino alla regione di ITXASGORRIETA o del mare rosso di Ponente dove si immerge. Produce un ruggito spaventoso quando attraversa l’aria.

Sebbene il dragone nella cultura basca come in quella occidentale sia una figura terrificante, si può supporre che nell’antichità fosse comunque costantemente relazionato con l’acqua, la fertilità della terra, la fecondità femminea, i fenomeni tellurici e la vita sotterranea.

 

 

AKER, AKERBELTZ

Tra le rappresentazioni e succedanei del nume sotterraneo Mari, esiste una figura e un nome che concentrò intorno a se un gruppo abbastanza importante di credenze e pratiche. Ci riferiamo alla figura del capro maschio ed al suo nome AKER.

Oltre alle sue caratteristiche principali che sono: vivere in regioni sotterranee, essere capo di molti geni, provocare tempeste, etc., il nume denominato AKERBELTZ possiede facoltà curative ed influenze benefiche sugli animali raccomandati alla sua custodia e protezione, influenza che esercita mediante il suo simbolo mortale che è il capro maschio nero.

Per questo in alcune case, volendo impedire che il bestiame sia attaccato da qualche infermità, tenevano nella stalla un capro maschio, che doveva essere nero, cioè AKERBELTZ “capro maschio nero”, perché la sua influenza protettiva fosse più efficace.

La stregoneria basca, che tanta risonanza ebbe nei secoli XVI e XVII, diede particolare notorietà a questa vecchia rappresentazione del nume sotterraneo. Nelle dichiarazioni degli accusati di stregoneria appaiono frequentemente allusioni ad AKERBELTZ o capro maschio nero e ad AKELARRE, il luogo dove egli presidiava le assemblee di streghe e stregoni.

AKERBELTZ o genio in figura di capro maschio era adorato in Akelarre da stregoni e streghe nelle notti di lunedì, mercoledì  e venerdì. I riuniti ballavano e offrivano ai loro numi pane, uova e denaro. Dalla descrizione di certi azioni e credenze che negli atti vengono attribuiti loro, si può dire che rappresentavano un movimento clandestino nel quale si cristallizzava l’opposizione alla religione cristiana e forse anche contro lo stato sociale vigente e ufficialmente riconosciuto nel paese, sebbene questo non era talvolta niente più che una attitudine suggerita nella mente dei supposti stregoni dalle domande dei loro giudici.

Si segnalano vari luoghi di riunione di streghe e stregoni: AKELARRE di Zugarramurdi, Larrune, Jaizkibel, Irantzi (Oyartzun), Pullegui, MAIRUBARATZA (cromlech) di Amenoia, Mandabiitta (Ataun), AKELARRE di Menaria, Garaigorta (Orozco), Petralanda (Dima), Eperlanda (Mugika), Akerlanda (Gauteguiz de Arteaga), Abadelaueta (Echaguen), Urkiza (Pena-cerrada), etc.

AKELARRE di Zugarramurdi è una pianura situata davanti all’entrata della caverna chiamata AKELARRE-LEZE “caverna del prato del capro maschio”. Si crede che in quei paraggi e in quella caverna si riunivano anticamente stregoni.

Nel vestibolo della caverna, a poca altezza sopra il piano di esso, si apre nel muro un foro simile ad una finestra che, secondo i racconti, era la cattedra dove il diavolo, in figura di capro maschio, riceveva lo streghe e gli stregoni.

Il nume AKERBELTZ che si manifesta principalmente come protettore del bestiame e capo della stregoneria, ha forse un antecedente nel nume pirenaico pre-cristiano AHERBELTSE.