Simboli nel Tempo

di Carlo Barbera



 

Monte Labro, m.1200, comune di Arcidosso, provincia di Grosseto.
Una vetta asciutta, calda e ventosa. Una struttura piramidale brulla, tra rocce arse dal giacchio, dal sole e dal vento tra timide macchie di querce e roveti e cespugli di cicuta.
La vetta spicca a ridosso del monte Amiata e ne rasenta i pendii lambendo i paesi limitrofi arroccati sulle colline e sulle miniere di cinabro.
Qualche centinaio di metri per giungere alla vetta. Il silenzio lascia parlare il vento.
Passi cadenzati, un po’ affannati nella salita, ripercorrono quelli antichi, i passi di migliaia di persone che sono salite su questo vetusto monte, che come un magnete attira lo sguardo e l’anima dei viaggiatori.
Non sono echi di turisti sfaccendati o giovani chiassosi quelli che si sentono salire dalle valli come manti di nebbia magica e misteriosa. Sono echi antichi, sommessi lamenti, uomini stremati dal lavoro, donne e bambini che giocano, amore e sguardi infuocati, gesti ieratici lanciati sulle colline dell’ostile maremma, frasi tuonate nel turbinio del vento, che hanno il sapore aspro e inebriante della ribellione, della libertà, di ideali combattuti e pagati caramente di fronte al mondo. Cos’è questa musica che entra nell’anima ad ogni passo percorso verso la cima ? Il sogno di un mondo migliore sembra vivere tra le pietre ed i silenzi …è un luogo singolare…qui sognare è più facile…
Forse qui altri uomini hanno vissuto questo sogno, non mi resta che entrare… cedere, ed abbandonarmi al sogno del monte.
Sulla cima uomini e donne indaffarati entrano ed escono da una casa in pietra, dall’aspetto dimesso e precario ma ordinata e pulita. A fianco della casa una piccola chiesa, anch’essa precaria, quasi vuota e in disordine. Un frate rovista come un ladro tra gli oggetti di culto. Avvolge crocifissi e piccole statue, paramenti ed ostensorio, fugge, copre il suo volto con un cappello a falde larghe, scappa lungo la ripida discesa.
Le persone corrono ma non sono indaffarate, sono impaurite, alcune donne piangenti sembrano disperate.
Pochi bambini ignari raccolti con decisione dalle mani forti di donne che li portano via, scendono dalla cima frettolosamente.
Un uomo mi vede, mi fissa. Porta una camicia rossa con un ricamo sul petto. Un simbolo ricorrente in quel luogo )+( .
Ha pantaloni azzurri ed un copricapo frigio su cui è ricamato lo stesso simbolo.
Il suo sguardo è acceso di una rabbia inaudita, muta, inerme e madido di lacrime il suo volto porta scritta una tragedia, una fine, una morte. Tace. Nei suoi occhi vedo la morte.
La morte ha coperto il monte Labro. Una morsa lancinante allo stomaco mi sconvolge. E’ la fine.
Siamo nella sera del 18 Agosto del 1978. Sono le 21.30. Davide Lazzaretti è morto dopo nove ore di agonia e coma, con una pallottola conficcata nel cervello. Entrata nel cranio dalla fronte, tra le sopracciglia, proprio nel punto in cui portava con orgoglio quel simbolo, stampato sulla pelle come una cicatrice. )+(
E’ morto alle Bagnore, una frazione del comune di S.Fiora. Presso una casa di contadini che hanno dato ospitalità alla sua tragedia, alla sua agonia, alle lacrime ed agli strazianti lamenti della moglie, dei figli, della madre….di tutta la sua gente.
Salgo alla torre guardando la gente scappare, volgere veloci e coperti verso il sentiero che li porta a valle, nelle povere case, dove in silenzio si ritroveranno uniti nella notte, superstiti rimasti a chiedersi disperatamente ed inutilmente perché, ad accendere lumi alla madonna in un disperato bisogno di vita.
Un ragazzo sporco, spaventato, vestito con abiti da cerimonia siede rannicchiato sulla cima della torre. Trema e singhiozza… avrà 15 anni.

Mi siedo accanto a lui silenziosamente per rispettare il suo sconfinato dolore. Il suo terrore mi dilania il petto. Anche io piango insieme con lui senza capire. Come un animale braccato sento la paura, il ghiaccio che brucia le vene. Sul nostro silenzio, sulla pena, sulla torre di sassi, sulla cima di quel monte arso, il fuoco si è già spento, si è già spento.
Poi il vento parla e racconta una storia.
Davide Lazzaretti nasce ad Arcidosso il 6 Novembre 1834 da una famiglia di barrocciai.
Trascorre la sua gioventù presso la sua famiglia, partecipando al lavoro del padre, crescendo in una cultura contadina e popolare, di gente povera ed affamata, arroccati ai piedi di una terra arida, dura ed ostile. La passione della lettura lo eleva al di sopra della quotidianità, alla quale per altro partecipa, fatta di vino, chiacchiere e bestemmie, gioco d’azzardo e lavoro massacrante..
La lettura di epiche e miti entro i quali egli si tuffava in sogni di vittorie e di gloria ne plasmano un carattere avventuroso e ne ispirano il suo futuro tentativo di elevarsi al di sopra delle nuvole.
A 22 anni si sposa con Carolina Minucci, dalla quale egli avrà tre figli . Dopo quattro anni, nel 1860, Davide si arruola volontario nella Cavalleria Piemontese, combatte in Umbria, nelle Marche ed a Castelfidardo il 18 settembre.
Nel 1868 Davide, dopo una serie di violente febbri e di stati di abbattimento ripetuti inizia a vivere delle esperienze mistiche in cui visioni divine ed apocalittiche gli rivelano l’esatta lettura degli eventi del passato, una determinata posizione nei confronti della vita presente ed una profetica rivelazione degli avvenimenti futuri, caratterizzati dalla manifestazione della giustizia e della gloria di Dio con l’avvento di un grande monarca tornato a regnare sulla terra e sull’umanità finalmente redenta dopo la dura verga del giudizio e dell’esecuzione dell’irrevocabile condanna.
Sapeva parlare con enfasi ed oratoria. Sapeva scrivere.
La gente comincia a conoscerlo, ad ascoltarlo. Davide il barrocciaio era diventato strano.
Ma cresce il suo prestigio. Ci prova. Fedele alla chiesa cattolica romana cerca di incontrare il papa.
Ci prova ma dopo una serie di peripezie, finalmente dinanzi al papa, sente la calma e la cautela di chi in realtà già ti ha condannato.
Allora scappa in Sabina e presso Montorio Romano si fa murare in una grotta adiacente al monastero. Per 47 giorni Davide resta chiuso li dentro alimentato da una semplice focaccia di mais passata da una sola feritoia a Davide nella grotta. In Sabina si parla di un santo nella grotta.
Il cardinale Antonelli sfratta per mano del governatore di Palombara il pazzo visionario.
Davide esce con la sua inarrestabile estasi ed una cicatrice sulla fronte, come uno stampo, un marchio a fuoco. E’ il segno. )+(
Torna a casa Davide, ma è Davide il profeta.
Sale sul monte Labro, entra nella grotta, solo. Prega.
E’ sul monte Davide, sul monte Labro, lo trovate li.
Affitta con moglie e figli un podere alle pendici del monte, vuole coltivare la terra.
Ma la gente arriva, a gruppi, tanta gente sale sul monte per sentire Davide parlare.
E la terra non si coltiva con le parole. Gli uomini decidono di coltivare loro la terra di Davide perché lui possa parlare a tutti. Davide accetta dopo molte resistenze a patto che non lavorassero mai per più di un’ora al giorno per lui.
Quel campo sarà il campo di Cristo. E’ lui, Davide, il Cristo che deve ritornare? Le voci corrono tra i montanari.
Monte Labro fiorisce a primavera di piccoli fiori gialli ed azzurri.
I bambini corrono giocando verso la casa del santo Davide.
E’ lui al centro del tavolo la sera della cena, il 14 Gennaio 1870. Trentatré uomini intorno a lui fondano "L’Istituto dei Santi Eremiti Penitenzieri e Penitenti".
Fondano sulla cima del monte una torre come emblema del nuovo patto e delle nuove leggi, un eremo per essere la dimora della nuova religione di Cristo ed una chiesa per officiarne i riti.
Il movimento si diffonde in Sabina con analoghe metodologie.
La necessità di allargare il coinvolgimento alla gente dell’Amiata a partire da quel gruppo dirigente di uomini consacrati ad un ruolo laico e sacerdotale nella nuova comunità determina la nascita nel 1871 della "Santa Lega o Fratellanza Cristiana" alla quale aderirono con entusiasmo numerose famiglie dei versanti del monte Labro.
Ogni famiglia versando la cifra di cinque centesimi a settimana vedeva realizzata dalla società un’assistenza a quanti si fossero trovati in difficoltà, una forma di cooperativa di consumo che acquistando generi alimentari li distribuiva ai soci a prezzo di costo
Questo basta per non solo insospettire l’autorità ma per scatenare una prima offensiva nei confronti di questo losco visionario. Il 23 Agosto 1871 Davide viene arrestato con l’accusa di frode continuata riguardante il versamento delle quote associative alla Santa Lega. Incarcerato a Grosseto riceve l’assistenza dell’avvocato Salvi, notevolmente colpito dalla personalità di Davide e fervente assertore della sua buona fede. Lo stesso avvocato ottiene, pagando personalmente la cauzione, la libertà vigilata per Davide e lo ospita in attesa del giudizio processuale presso la sua villa di Scansano sulle alture grossetane.
Davide prosegue il suo percorso ascetico sottoponendosi nel 1872 ad un ritiro presso l’Isola di Montecristo, per preparare l’attuazione di un nuovo progetto.
Fattosi accompagnare a Santo Stefano si imbarca su di un peschereccio che lo lascia solo sull’isola deserta. Vuole trascorrere 40 giorni in totale isolamento ma riesce a superarne 39 perché le autorità arcidossine ordinano a Raffaele ed alla zio Giuseppe Vichi, i quali lo avevano accompagnato nel viaggio verso l’isola deserta, di andare a riprendere Davide per riportarlo nella propria casa.
Al suo ritorno a Monte Labro Davide viene accolto da una folla.
Lo hanno trovato sull’isola con una pesante catena al collo, con i vestiti a brandelli e pieno di escoriazioni sul corpo. Non aveva consumato che la metà del pane che si era portato per la sopravvivenza.
Sulla base delle visioni avute a Montecristo profetizza l’avvento della "Legge del Diritto" e fonda la "Società delle Famiglie Cristiane".
Ben ottanta famiglie mettono in comune terreni e bestiame. La Società fornisce agli aderenti vitto, vestiario e l’istruzione per i figli. Sono aperte le prime scuole rurali gestite dalla Società con insegnanti assunti e regolarmente pagati. Le donne ricevono pieno diritto di voto nell’amministrazione della Società. A questa aderiscono un numero enorme di persone molte delle quali non sono piccoli proprietari ma braccianti, pastori, muratori, falegnami, sarti, carrettieri.
Per loro la Società prende appalti di lavoro per il comune di Arcidosso ed affitta appezzamenti di terreno da coltivare in comune sia nelle colline amiatine che in maremma.
Ma un nuovo attacco attende Davide lungo il suo sentiero.
Nel novembre 1873 viene arrestato ed imprigionato a Rieti con l’accusa di vagabondaggio, truffa continuata e cospirazione politica, in seguito ad un tentativo, analogo a quello di monte Labro, di organizzare i contadini in Sabina, dove Davide nutriva proseliti e molta fama popolare dopo le sue gesta ascetiche presso il monastero di Montorio Romano. L’esperimento viene troncato con l’arresto di Davide.
Dopo sei mesi di carcere in attesa del giudizio il tribunale di Rieti lo condanna ad un anno di reclusione per truffa e a tre mesi per vagabondaggio.
A tirare fuori dai guai Davide ritorna il buon avvocato Salvi di Grosseto, il quale, non sufficientemente noto al di fuori del Granducato di Toscana, chiede l’intervento difensivo del famoso giurista e collega Pasquale Stanislao Mancini al processo di secondo grado presso la Corte d’Appello di Perugia.
Qui, anche grazie al massiccio intervento dei soci della Santa Lega sabina, a Davide viene riconosciuta la piena innocenza.
Dopo questa disavventura parte alla volta di Torino dove incontra Don Bosco al quale suscita simpatia ed ammirazione e poi in Francia, soggiornando presso la Certosa di Grenoble.
Tornato in seguito a monte Labro risiede presso il suo monte e la sua gente fino alla fine del 1875, quando temendo un nuovo attacco delle autorità decide di partire nuovamente per la Francia, aderendo ad un invito che un magistrato di Lione di nobile origine, Léon Du Vachat, gli aveva inviato tramite Don Bosco.
A Lione Davide si inserisce in un circolo di nostalgici legittimisti i quali avevano visto in Davide e nel suo movimento un possibile strumento di restaurazione del potere temporale dei papi e con un eventuale ampliamento internazionale del movimento uno strumento di forza per l’auspicata restaurazione della monarchia borbonica in Francia.
E’ in questo periodo che Davide redige i suoi libri più importanti nei quali conferma e definisce i punti fondamentali di una trasformazione netta dell’ortodossia cattolica.
Con la moglie Carolina, i figli Bianca e Turpino, Davide si ferma a Lione, ospite quasi sempre del magistrato Du Vachat, fino al Marzo del 1878, quando riceve una convocazione del Santo Uffizio romano che chiedeva ragioni delle sue ardite e rivoluzionarie affermazioni sulla dottrina cattolica.
Davide parte quindi da Lione per tornare in Italia, e prima di dirigersi a Roma Davide fa sosta a monte Labro, dopo un lungo tempo di assenza.
Dall’8 al 10 Marzo Davide sosta a monte Labro e stabilisce insieme al Consiglio degli Eremiti dei punti di riforma radicale del culto cattolico, primo fra tutti l’abolizione della confessione auricolare.
Poi si reca a Roma dove viene processato dal Santo Uffizio che ritenendo illusorie e false le affermazioni di Davide riguardo alla sua missione profetica ed alla sua personalità spirituale e contrarie alla dottrina della fede tutte le innovazioni da lui formulate lo invita a ricredersi e a ritrattare ogni sua affermazione.
Cosa che Davide fa, scrivendo pubblicamente alla sua gente del monte di aver grandemente errato, di accettare la sua natura di "illuso" e di ritirarsi per sempre in Francia, presso la sua famiglia, per espiare la sua colpa. Parte di nuovo per Lione.
Queste affermazioni di Davide non vengono ritenute degne di fede da parte del Consiglio degli Eremiti, capeggiati da don Filippo Imperiuzzi, frate affiliato all’Ordine mistico di Davide, che aveva in quegli anni di assenza del loro pastore, seguito e guidato l’Opera e la Comunità di Monte Labro.
Gli Eremiti si riuniscono al monte il 9 Giugno, le lettere di Davide dalla Francia sono incalzanti, la fermezza di don Filippo Imperiuzzi e la sua decisione di continuare nella fedeltà al Maestro gli danno forza e volontà di proseguire.
In quel Consiglio gli Eremiti stilano il "Simbolo dello Spirito Santo", un’articolata e completa prefessione di fede in 23 punti, che lo stesso Davide aveva elaborato in precedenza.
Aggiungono un 24° articolo preparato dall’Imperiuzzi che dice:" Concludiamo di proposito fermamente che il nostro Istitutore Davide Lazzaretti, l’Unto del Signore, giudicato e condannato dalla Curia Romana, sia realmente il Cristo Duce e Giudice, vera e viva figura della seconda venuta di Nostro Signore Gesù Cristo sul mondo, come Figlio dell’Uomo a portare compimento alla redenzione copiosa su tutto il genere umano in virtù della terza legge del Diritto e Riforma Generale dello Spirito Santo la quale deve riunire tutti gli uomini alla fede di Cristo in seno alla Cattolica Chiesa in un sol culto e in una sola legge in conferma alle promesse, come viene riferito dall’articolo X e XI di questo simbolo di professata da noi umana e sovrumana credenza".
Monte Labro si accende. Cresce l’entusiasmo e la frenesia di riavere il loro pastore infiamma gli animi della gente amiatina.
Davide ritorna trionfante a monte Labro nel Luglio del 1878.
Appena tornato annuncia per il 14 Agosto la sua "manifestazione al popolo latino come Cristo Duce e Giudice" e l’inizio della "Riforma dello Spirito Santo".
Attacca chiaramente il potere della curia romana denunciando la corruzione del clero, attacca il concetto della proprietà privata dichiarandolo apertamente abolito nella nuova costituzione.
Cresce enormemente la tensione, non tanto per gli aspetti religiosi della predicazione di Davide quanto per i netti segni socialisti che ormai impregnano i discorsi del santo. Drappelli di forze dell’ordine seguono lo svolgersi degli eventi sul monte, ascoltano i discorsi di Davide.
Il governo di destra era caduto da due anni ma il nuovo governo De Pretis non aveva sostanzialmente mutato l’atteggiamento del potere verso le classi subalterne.
Le forze dell’ordine erano ancora quelle della repressione delle sommosse contadine contro la tassa del macinato, avvenute pochi anni prima, dove avevano perso la vita 257 persone e 1099 erano state ferite.
La paura delle classi medie e borghesi si espande. Circolano voci di saccheggi compiuti dai Lazzarettisti, voci di minacciosi attacchi alla proprietà inducono i "benpensanti" ad armarsi per fermare le "orde sfrenate".
Ma i suoi discorsi sono fiamme indomabili che incendiano il monte arso dal sole, dall’alto della torre Davide è una valanga irrefrenabile di discorsi, editti e profezie.
La gente accorre a centinaia per ascoltare il profeta. Si avverte l’imminenza di grandi eventi e l’ansia per il 14 Agosto cresce negli animi di tutti.
Con stoffe portate dalla Francia sarti si dedicano alla confezione di costumi da usare il giorno fatidico. Si preparano i canti le preghiere, i bambini provano gli inni sacri da cantare il giorno della gloria per Davide, per il monte Labro e per tutta la gente.
Il 14 Agosto Davide parla alla sua gente. Dichiara la sua presenza in mezzo a loro come la seconda venuta di Cristo, sottolinea che tutti d’ora in poi sarebbero stati, insieme a lui, Cristo Duce e Giudice.
Si prepara ogni cosa alla perfezione per la manifestazione del 15 agosto.
La mattina del 15 tutto è pronto, si muovono le prime schiere del corteo quando Davide interrompe improvvisamente lo svolgersi degli eventi.
Si chiude in un silenzio inspiegabile. Lamenta atroci dolori di testa.
Ma nel giorno di domenica, 18 agosto 1878, Davide decide di far partire il corteo.
Dalla vetta del monte Labro avrebbe dovuto raggiungere il Santuario dell’Immacolata, situato oltre Arcidosso. Per raggiungerlo avrebbero dovuto attraversare il paese.
Erano riunite centinaia di persone e altre centinaia si uniscono alla processione lungo la strada.
Davide in testa guida il procedere del suo popolo.
Scendono. La strada è molta. Le voci dei bambini e delle donne intonano canti e preghiere.
Giungono alle porte di Arcidosso. Un drappello di 11 guardie ferma la strada per il paese.
Dietro di loro una folla enorme attende l’arrivo della processione.
Ecco l’Imperiuzzi che racconta gli eventi:
"..giunta all’ultima curva della strada, la processione si trovò di faccia allo schieramento di carabinieri e popolo; Davide allora andò davanti a tutti e si pose in faccia al Delegato e ai carabinieri, fermo e impavido alla distanza di pochi metri e dietro a sé a poca distanza erano le bambine vestite di bianco e vicino a loro stavo anch’io. Appena il Delegato vide davanti a sé Davide, a tu per tu gli disse: "Davide sciogliti e retrocedi a nome della legge" e Davide rispose "Io vado avanti a nome della legge del Diritto; il vostro Re sono io".
Il Delegato aggiunse : "mostrami la patente".
E Davide mostrò il crocefisso che portava davanti al petto. Era un silenzio profondissimo e nessuno si muoveva, tutti intenti a vedere.
Il Delegato, senza porre tempo in mezzo, sempre rivolto a Davide disse: "Lazzaretti retrocedi e sciogli il complotto".
E Davide volgendosi verso la bandiera di Cristo Profeta l’accennò al Delegato e gli disse con voce chiara: "Io vado avanti a nome di Cristo Duce e Giudice e se volete la pace, porto la pace, se volete la misericordia, porto la misericordia, se volete il mio sangue: ecco il mio petto, io sono la vittima".
Durante questo breve colloquio alcuni maligni di Arcidosso dicevano ai soldati che tirassero le schioppettate a Davide ed essi facevano col capo segno negativo, ma uno dei maligni, pagato appositamente dai congiurati, gettò alcuni sassi tra i piedi del Delegato e di Davide e questo accortosi di ciò disse al popolo: "Rammentati, o popolo, di quello che ti ho detto cammin facendo, cioè guai a colui che alzerà una mano contro il suo simile".
Intanto un altro maligno di Arcidosso tirò un sasso nel collo al Delegato per eccitare la pugna. Il Delegato allora disse: "Lazzaretti retrocedi, se no ti faccio fuoco addosso".
Ma Davide senza paventare le minacce, preso il manto dal braccio destro e roteando il bastone allargò le braccia dicendo: "Ecco il mio petto, tirate a me e salvate il popolo!".
Non ebbe finito di dire queste parole che il Delegato comandò il fuoco e pel primo tirò anch’esso e le due canne non esplosero, parimenti il brigadiere Caimi tirò e gli fece cilecca e con rabbia battè a terra la punta del suo fucile dov’era la baionetta innestata. Allora un altro soldato, che stava a destra del Delegato, vedendo che Davide non era stato colpito, prese mira contro la testa di lui e proferendo una bestemmia orribile contro Maria SS ma sparò ed uno dei pallini gli entrò in fronte dalla parte sinistra e però ferito mortalmente cadde a terra senza più parlare.
Intanto gli altri soldati fecero delle scariche contro la massa del popolo ed uccisero tre poveri contadini e ferirono quaranta e più persone. Il popolo vedendo ciò si fu indignato, ma incitato dai Crociferi cominciò a scagliare sassi contro i soldati i quali ne ritirarsi verso il paese, ogni tanto si voltavano e scaricavano i fucili contro il popolo… Appena fu detto che Davide era caduto a terra accorsero la moglie, i figli, i fratelli, gli amici, lo sollevarono e lo trasportarono a braccia sotto un podere vicino alla croce del Cansacchi, adagiandolo per terra alla meglio e cercando di soccorrerlo in qualche modo……."
Sono negati a Davide assistenza e soccorso.
Sistemato su una scala di legno avvolta di panni Davide è portato a braccia verso il monte.
Arriva il Dr.Terni di Santa Fiora. Incontra Davide morente ed i suoi soccorritori lungo la strada.
Visita sommariamente Davide ed afferma che la ferita è gravissima. Chiede che venga portato alla più vicina frazione delle Bagnore, sulla strada di Santa Fiora dove viene ospitato nella casa di un contadino.
Quella sera del 18 Agosto 1878, alle ore 21,30, Davide Lazzaretti muore dopo nove ore di coma.
Un brivido mi attraversa la schiena, la notte è fredda qui sul monte. Il vento ha smesso di parlare.
La sua storia mi ha riempito di pena, sgomento… una profonda lacerante melanconia.
Il ragazzo se n’è andato dalla torre e non me ne sono accorto, assorto com’ero nel racconto del vento. Guardo sotto la torre la cima del monte silenziosa e solitaria. Sono scappati tutti.
Il cielo è terso e le stelle si affacciano disegnando reticoli misteriosi nella volta celeste.
Sono andati tutti per la loro strada. Molti questa notte sono finiti nelle carceri della maremma. Ci resteranno per molti mesi a venire. Molti moriranno in queste carceri malsane, uccisi nell’anima, umiliati nella speranza, violentati nella loro fede elementare e sincera di un mondo migliore, più giusto e pacifico, anche per loro, che hanno sempre faticato per vivere.
Hanno loro strappato Davide, la loro anima, l’espressione della loro speranza, l’incarnazione della loro fiducia, della loro semplicità, della loro grandezza di anime contadine della montagna.
Il movimento non si rialzerà mai più. Resterà un fenomeno sommerso, alimentato dal ricordo degli anziani. Sarà patrimonio culturale storico del comune di Arcidosso che, molti anni dopo, troppi anni dopo, riabiliterà la figura di Davide per ridarle il giusto tributo, il tributo ad una mente profetica illuminata da una coscienza superiore. Ma non l’hanno capito e non lo capiranno.
Scendo lentamente dalla torre. Percorro silenzioso pochi passi sul prato della vetta del monte.
Gli edifici sono più fatiscenti questa notte. Sembrano già subire il degrado dell’abbandono, sebbene l’ultima gente sia scappata da solo poche ore. Quel simbolo ricorrente che affiora sui muri, segnato da gessi colorati, scolpito nella roccia, ricamato sulle vesti rimaste nell’eremo, forse le uniche vesti che non si sono macchiate di sangue quest’oggi.
Quel simbolo che Davide portava sulla fronte come il sigillo di sua predestinazione, come l’emblema di una nobile stirpe alla quale Davide ha sempre affermato l’appartenenza.
Ma ormai il sogno è finito. Ne sono uscito svegliandomi al deciso incedere del vento sul viso, nei capelli. I confini del tempo sono talmente rarefatti, questa notte, da confondersi in un mutevole intreccio di immagini e di realtà non più separate. Mi incammino lungo il sentiero che porta a valle.
)+( Quel segno mi ritorna in mente. Conosco quel segno. E’ stato visto e fotografato più volte sullo scafo di Oggetti Volanti non identificati negli ultimi decenni. Forse più famoso il caso del 1967 a Madrid, quando venne fotografato un Oggetto Volante portante questo preciso segno sullo scafo. Un caso molto conosciuto anche perché connesso al successivo affare "UMMO", contatto molto discusso e studiato negli anni seguenti. In un altro caso, accaduto in Russia all’indomani della caduta del muro di Berlino, precisamente a Veronezh, città del bacino del Don, a sud di Mosca, nel 1989, un bambino assiste all’atterraggio di un UFO, presso un parco del centro abitato. Dal disegno in cui il bambino ricostruisce ciò che ha visto si nota chiaramente il simbolo ricorrente esattamente sullo scafo del velivolo non identificato.
Le stelle sul Labro sono lucenti e alcune meteore solcano il cielo di luce e fiamme lasciandomi con il fiato sospeso. Perché Davide portava quel segno sulla fronte ? E chi gli ha inciso come un marchio a fuoco quel simbolo nella grotta di Monitorio Romano ? Che cosa ha visto Davide che gli altri non hanno visto? Sull’Amiata molte volte in questi decenni la gente ha visto.
Forse Davide ha visto ciò che nessun altro ancora è riuscito a vedere. Forse, è rimasto abbagliato da una luce troppo forte. Il suo sogno si è infranto, come tutti i grandi precursori.
Sono a valle. Guardando la torre ormai alta sulla cima, penso a queste creature che solcano i nostri cieli con questi mezzi fantastici.
Forse questa notte anche loro hanno partecipato al mio viaggio nel tempo. Forse mi hanno visto andare e tornare, incerto giocoliere tra le linee parallele dell’infinito.
E chissà poi loro da che tempo vengono?
E’ passato più di un secolo in pochi istanti. E’ già mattina.