La scuola
pitagorica
La scuola filosofica dei
pitagorici venne fondata da Pitagora, di cui non abbiamo notizie
certe per quanto riguarda la vita. Essa nacque in Grecia ma si
sviluppò nella Magna Grecia, precisamente ci furono scuole a Sibari,
Crotone, Reggio Calabria e Agrigento. Ma verso la fine del VI secolo
venero cacciati via da queste città per le loro idee
anti-democratiche, e addirittura la comunità di Crotone venne
distrutta durante un tumulto polare, quindi continuò a sopravvivere
in Grecia, a Tebe, dove vennero riorganizzate le conclusioni, cui la
prima generazione di pitagorici era giunta, da una seconda
generazione, di cui il più importante esponente fu Filolao.
Questa scuola si ispirava ai filosofi di Mileto infatti Pitagora
(575-490/97 a.C.) fu un discepolo di Anassimandro, ma allo steso
tempo riprendeva gli elementi dei misteri eleusini e dei culti
orfici, che a loro volta si erano ispirati alle religioni orientali.
Perciò la scuola dei pitagorici si era organizzata a mo di setta,
comunque molto diversa dalle altre scuole filosofiche classiche.
Infatti essa aperta a tutti, donne e stranieri compresi, ma prima
dovevano purificarsi (come nei culti orfici) e sottoporsi ad una
sorta di catechismo, che insegnava i principi che si
dovevano applicare nella propria vita quotidiana: essi dovevano
rispettare gli dei, essere fedeli agli amici, fare un esame di
coscienza la sera, un progetto per la giornata la mattina, non
dovevano mangiare né carne né fave, non dovevano indossare panni di
lana e anelli, non potevano girarsi indietro per raccogliere qualcosa
caduto, inoltre non potevano spezzare il pane o attizzare il fuco con
il metallo. Per questo diciamo che alla fine questa scuola perde il
suo carattere prettamente filosofico per poi prenderne uno di
carattere più mistico e religioso, infatti il ruolo del filosofo si
confondeva con quello dell’uomo politico e dell’educatore,
dell’oracolo e del sacerdote.
Organizzazione
all’interno della scuola
I pitagorici riprendono dai
misteri eleusini l’esotericità, cioè i loro
insegnamenti non erano destinati ad un pubblico vasto, ma solo agli
appartenenti alla scuola, e questi non potevano rivelarlo a quelli
che ne erano al di fuori, pena la morte. Ippaso di Metaponto, rivelò
l’esistenza dei numeri irrazionali che i pitagorici avevano
scoperto, e per tale colpa venne cacciato dalla scuola e ucciso. Per
questo gli stessi antichi contemporanei ai pitagorici non sapevano
con precisione quale fosse la loro teoria filosofica.
Gli insegnamenti impartiti dal maestro erano a carattere dogmatico,
cioè dovevano essere presi come verità assoluta e non potevano
essere contestati, come dice Diogene Laerzio, infatti il maestro
all’inizio di ogni discorso soleva dire che non avrebbe tollerato
nessuna insinuazione riguardo a quello che stava dicendo. Inoltre il
maestro parlava dietro una tenda e chi riusciva a vederlo se ne
vantava a vita. Qui viene proprio a mancare la caratteristica
principale della filosofia, che ricerca la verità e non se ne arroga
il possesso, inoltre la discute continuamente per cercare di
raggiungere sempre la verità migliore. La base della ricerca
filosofica è proprio la libertà di pensiero, di discussione e di
confutazione. Nella scuola pitagorica questo principio cade.
All’interno della cerchia dei discepoli, c’erano due categorie:
gli acusmatici, che potevano solo ascoltare e neanche
potevano contestare ciò che diceva il maestro, e i matematici,
che invece avevano la facoltà di parlare liberamente con il maestro
e quindi di formare un’opinione personale. Successivamente questa
distinzione andò ad indicare come gli acusmatici (coloro che
ascoltano) quelli che si occupavano degli aspetti mistici e come
matematici color che si occupavano di approfondire gli aspetti
razionali del pitagorismo.
Caso strano nell’antichità, i pitagorici elaboravano le dottrine
filosofiche lavorando in gruppo, non era il singolo che primeggiava
ma la squadra, a differenza di altri filosofi di altre scuole (anche
quelli di Mileto). Infatti Aristotele dopo aver parlato dei
fisiologi, (Talete, Anassimandro e Anassimene), esamina i pitagorici,
senza far distinzione fra Pitagora e i suoi discepoli.
La
metempsicosi
I pitagorici credevano nella metempsicosi,
cioè nella reincarnazione dell’anima. Essi molto probabilmente
avevano ereditato questa convinzione dai culti orfici, che a loro
volta la avevano ripresa dall’induismo. I pitagorici ritenevano che
l’anima fosse di origine divina e che quindi il corpo fosse una
sorta di prigione, dalla quale essa si poteva liberare dopo aver
passato alcune vite via via sempre migliori, fino alla purificazione
(catarsi). Quindi ci si poteva anche reincarnare in animali, la cui
carne per questo motivo non si poteva mangiare. Mentre nei culti
orfici la purificazione si raggiungeva attraverso alcuni riti e una
vita vissuta per questo scopo, i pitagorici ritenevano che la vita
del matematico fosse quella più vicina alla purificazione, e alla
sua fine l’anima sarebbe ritornata di origine divina e libera.
Questo perché essi ritenevano che l’arché fosse nei numeri.
Un’altra teoria sull’anima venne elaborata dalla seconda
generazione dei pitagorici, che riteneva che l’anima fosse in
equilibrio con il corpo, e una volta rotto questo stato di armonia
essa sarebbe morta.
L’arché
nei numeri
Dallo studio della musica, che
i pitagorici consideravano come la massima forma di armonia,
dedussero che dietro essa ci fossero delle proporzioni numeriche.
Allo steso modo esse dovevano essere dietro la natura, che appariva
come un cosmo, cioè un universo ordinato. Si dice che sia stato
Pitagora il primo ad introdurre il concetto di cosmo. Quindi l’arché
per i pitagorici era nei numeri. Ma per meglio comprendere questa
affermazione, dobbiamo spiegare che in Grecia il numero non era un
concetto astratto ma aveva significato di proporzione armonica.
Siccome il numero era anche rappresentabile geometricamente, esso può
rappresentare anche le cose che esistono in natura.
L’armonia della natura è riconducibile quindi al numero,
cioè alle proporzioni numeriche, che non rappresentano le cose, ma
il principio, l’ordine che si trova dietro di esse e che non si può
vedere, è intelligibile, cioè ci si può arrivare
solo grazie al pensiero elaborando ciò che si è osservato. Quindi
ad ogni numero corrisponde una cosa, che a sua volta ha dietro di
essa una relazione numerica che la lega con le altre.
Quindi la natura delle cose si modella su quella dei numeri, quindi i
contrari in natura (concetto che riprende da Anassimandro questo dei
contrari) sono determinanti dai contrari numerici, che vengono
individuati in numeri pari, imperfetti, o dispari, perfetti. A questi
due insiemi erano associati rispettivamente i concetti di illimitato
(apeiron) e limite (peras). C’era poi l’uno, che
era parimpari, in quanto che se sommato ad un numero pari dava un
numero dispari e viceversa.
I pitagorici individuavano i vari contrari fondamentali associati ai
numeri pari o dispari: le determinazioni positive erano associate a
numeri dispari mentre quelle negative a numeri pari. Inoltre ogni
numero era carico di un suo significato fondamentale: l’uno, ad
esempio era l’intelligenza, il sette indicava i momenti critici
della vita (kairos), cioè il parto settimino, la perdita del
primo dente da latte a sette anni, la pubertà a 14 e la maturità a
21. Il dieci invece, era il numero perfetto, formato dai primi
quattro numeri e che conteneva i primi quattro pari e i primi quattro
dispari, rappresentato da un triangolo equilatero. Dieci erano
inoltre le opposizioni fondamentali individuate.
Insomma, alla fine i pitagorici sembravano più una setta che una
scuola filosofica, per le loro convinzioni un po’ troppo rigide
riguardo l’esoterismo dei loro insegnamenti o ai “precetti” che
di dovevano rispettare nella propria vita. Solo le grandi scoperte
riguardo l’intelligibile e l’arché come arché,
che ancora oggi è adottato dalla scienza moderna (oggi i fisici
studiano le leggi matematiche che sono dietro la natura e i suoi
fenomeni) permettono ai pitagorici di sopravvivere nella storia e di
essere ricordati per la loro filosofia; il loro modo di
“filosofare” è troppo lontano da quello canonico, che tutto fa
meno che dogmatizzare la verità raggiunta. Mi sono domandato se
questa è vera filosofia, anche se le verità scoperte sono state
grandi (arché nei numeri, il concetto di intelligibile). È
conforme al carattere aperto della filosofia?
Concetto di
intelligibile
I
pitagorici furono i primi a dedurre che l’osservazione della natura
fosse limitante per la filosofia, perché essa si poneva davanti al
filosofo come un velo che non gli permetteva di vedere chiaramente
cosa ci fosse dietro. Questo era però intelligibile, cioè col
ragionamento si poteva arrivare a capire quello che si cela dietro la
natura anche senza vederlo con i propri occhi. Il pensiero permette
di oltrepassare questo velo e di conoscere la verità a color che
ambiscono a scoprirla, che comprendono che fermarsi ai dati che
provengono dai sensi sarebbe riduttivo. Coloro che operano questo
metodo per arrivare alla verità più intima e profonda, sono
definiti da Platone filosofi, mentre colore che si limitano
all’osservazione della physis e ad avere verità sulla sua
apparenza e non sul suo principio più intimo, sono definiti filodoxoi.
Eraclito dice che coloro che si fidano delle apparenze hanno solo
opinioni, che dice essere giochi da ragazzi. Essi, aggiunge, credono
di sapere e capire ma sono sordi.
I pitagorici furono appunto i primi a sfruttare appieno le capacità
del pensiero umano per giungere alla profonda convinzione che i
numeri fossero l’arché, cioè che delle precise relazioni
numeriche costituissero la base della natura e di tutte le cose che
la compongono, che appaiono disposte armonicamente. Se si fossero
basati solo sull’osservazione dell’apparenza, non avrebbero
raggiunto che altre convinzioni simili a quelle dei fisiologi, sì la
filosofia nasce grande, con grandi interrogativi, ma man mano che
essa va avanti la risposta che si trova per essi è sempre più
complessa e profonda
I
Versi Aurei di Pitagora
Preparazione
Venera
gli Dei immortali, di tutte le religioni,
ma
rispetta il giuramento della tua fede, onora la memoria
degli
incliti eroi, e degli spiriti illuminati.
Purificazione
Sii
buon figlio, giusto fratello; tenero sposo e buon padre.
Scegli
per tuo amico chi, tra tutti, è ottimo per virtù;
istruisciti
per suo mezzo, cedendo ai suoi dolci consigli.
Non
odiare il tuo amico per un leggero torto
sino
a quanto tu lo possa; poiché una legge severa
unisce
la Potenza alla Necessità.
Sappi
ciò adunque, ed abituati a soggiogare le tue folli passioni.
Sii
sobrio, attivo, combatti la libidine, ed evita la collera.
Non
commettere atti turpi, né in pubblico, né in segreto.
Abbi
il massimo rispetto di te stesso.
Sii
ossequiente alla Giustizia negli atti e nelle tue parole.
Non
parlare e non agire senza matura riflessione.
Ricordati
che un potere invincibile stabilisce di morire,
che
le ricchezze e gli onori facilmente acquistati, facilmente si perdono.
Ben
gravi mali e dolori porta seco il Destino;
giudicali
per quelli che sono; sopportali e taci,
rimediavi
per quanto puoi, e rifletti
che
Dio non manda i più forti dolori agli uomini di buona volontà.
Come
la Verità, anche l'errore ha i suoi seguaci.
Il
filosofo approva o biasima con tutta prudenza,
e se la menzogna trionfa, egli si allontana e aspetta.
Quello che ti dirò, sia ben radicato nel tuo cuore:
nessuno né con la parola, né coll'opera ti persuada
a fare, né a dire ciò che per te non è veramente buono.
Prendi consiglio, ma delibera e scegli liberamente,
lascia i folli agire senza scopo e senza causa.
Tu
devi nel presente, contemplare l'avvenire.
Ciò
che non conosci, non fare, ma impara
ciò
che è necessario: tutto dipende dalla costanza e dal tempo.
Veglia
sulla tua salute, conviene usare moderazione
nel
bere, nel cibo e riposo allo spirito.
Abituati
ad avere un vitto puro, non raffinato
e
astienti dal far cose che attirano l'invidia:
in
tutte le cose bisogna attenersi al giusto ed al buono.
Non
spendere oltre la giusta misura quando non sai fare cose buone.
Non
essere avaro, in ogni cosa è ottima la moderazione.
Perfezione
Che
giammai il Sonno chiuda i tuoi occhi stanchi
senza
aver esaminate le opere da te compiute nel giorno:
che
cosa ho trasgredito? che feci? qual dovere non compii?
Esamina
accuratamente le tue azioni dalla prima,
e
quindi delle cattive rampognati, e delle buone rallegrati.
Ciò
sforzati di fare quale esercizio, ed in seguito te ne compiacerai.
Questo
mio consiglio ti porrà sulle orme delle Divine Virtù.
Io
te lo giuro per Colui che alberga nei nostri cuori:
per
la Tetrade Sacra, simbolo immenso e puro, fonte perenne della Natura.
E
prima d'incominciare qualsiasi opra, la tua anima, fedele al dover suo,
invochi con fervore gli Dei, e ne chieda il soccorso per il compimento
dell'opera che vai ad intraprendere.
Guidato da Essi, così solo alcun male non ti coglierà:
degli esseri diversi, scrutando, sonderai l'essenza;
e conoscerai il collegamento delle cose, come ogni cosa trapassi e come sia
governata.
Tu
saprai, se lo vuole il Cielo, che la Natura,
simile in tutte le cose, è la stessa in tutti i luoghi;
in
modo che, edotto dei tuoi veri diritti,
il
tuo cuore non serberà traccia di vani desiderii.
Tu imparerai che i mali, che affliggono gli uomini,
sono il frutto della loro condotta, e che questi infelici
cercano,
lontano da essi, quei beni dei quali essi portano la sorgente.
Pochi sanno essere felici; soggiogati dalle passioni,
volta
a volta sballottati da onde contrastantesi
sopra un mare senza alcuna terra in vista, essi brancolano ciechi;
senza
poter resistere, né cedere alla tempesta.
Dio ! voi li salvereste togliendo l'illusione dai loro occhi...
Ma no: è compito dell'uomo, creatura di Dio,
discernere l'Errore e guardare la Verità.
La
natura, mediante i suoi veli, ti spiega. Tu che li hai sollevati,
uomo savio, uomo felice, emetti un sospiro di soddisfazione: tu sei in porto!
Osserva
le mie istruzioni, rifletti su ciascuna cosa
dopo d'aver posto in alto un'ottima ragione direttrice,
affinché, elevandoti poi nell'Etere radioso,
Tu divenga immortale, spirito eterno, non più soggetto a morte.
Clemente
Alessandrino, Stromata I, 62
Pitagora di Mnesarco secondo Ippoboto era di Samo; secondo Aristosseno e
Aristarco e Teopompo tirreno; secondo Neante sirio o tirio. Per la maggior
parte degli scrittori Pitagora era dunque di stirpe barbara.
Porfirio, Vita
Pythagorae 12
Talete indusse Pitagora a far vela per l’Egitto e a incontrarsi coi
sacerdoti di Menfi e di Diospoli, perché erano stati loro a istruirlo in
quelle discipline, per le quali aveva presso la gente il nome di sapiente.
Isocrate II,
28
Pitagora di Samo, andato in Egitto e fattosi loro discepolo, portò in Grecia
per primo lo studio di ogni genere di filosofia.
Theologumena
Arithmetica 52
Si racconta che quando Cambise s’impadronì dell’Egitto, vi fece
prigioniero Pitagora che ivi dimorava insieme coi sacerdoti, e che Pitagora,
venuto quindi a Babilonia, vi fu iniziato ai misteri; e Cambise visse appunto
al tempo di Policrate, per sfuggire alla cui tirannide Pitagora era passato in
Egitto.
Porfirio, Vita
Pythagorae 9
Aristosseno dice che a quarant’anni, vedendo che la tirannide di Policrate
era troppo dura perché un uomo libero potesse sopportarne l’autorità e la
signoria, lasciò Samo e andò in Italia.
Porfirio, Vita
Pythagorae 18
Dicearco racconta che, come Pitagora giunse in Italia e si stabilì a
Crotone, tanto i Crotoniati furono attratti da lui (ch’era uomo
notevolissimo, e aveva molto viaggiato, e aveva ottenuto dalla fortuna ottima
natura, aspetto nobile e grande, e moltissima grazia, e grande decoro nel
parlare e nel comportarsi e in ogni altra cosa), che dopo che egli si fu
cattivato il Senato con molti e bei discorsi, i magistrati lo incaricarono di
fare ai giovani dei discorsi adatti alla loro età. Per tal modo s’accrebbe
la sua fama, e molti gli divennero compagni, sia della città (né solo
uomini, ma anche donne; e una di esse, Teano, divenne famosa), sia re e
signori della circostante regione, abitata da barbari.
Porfirio, Vita
Pythagorae 6
Quanto all’oggetto del suo insegnamento, i più dicono che egli apprese le
cosiddette scienze matematiche dagli Egizi, dai Caldei e dai Fenici; ché già
nei tempi più antichi gli Egizi si dedicarono allo studio della geometria, i
Fenici allo studio dell’aritmetica e della logistica, i Caldei
all’osservazione degli astri.
Porfirio, Vita
Pythagorae 36
Pitagora esponeva i suoi insegnamenti a chi lo frequentava o distesamente o
per simboli. Ché il suo insegnamento era di due modi: e quelli che lo
frequentavano si distinguevano in Matematici e Acusmatici. Matematici erano
quelli che conoscevano la parte più importante e più approfondita della sua
dottrina, acusmatici quelli cui erano insegnate solo le regole sommarie senza
accurate spiegazioni.
Giamblico, De
vita pythagorica 82
La filosofia degli acusmatici consiste in precetti: questi sono impartiti
senza che sia mostrato il perché, e detta la ragione per cui si deve agire in
un determinato modo. Gli acusmatici si sforzano anche di custodire tutti gli
altri suoi detti, e considerano le sue parole opinioni divine, e di loro
proprio non dicono niente e credono che niente si debba dire; anzi giudicano
massimamente sapienti quelli che conoscono più precetti e insegnamenti.
Tutti questi detti si dividono in tre gruppi. Quelli del primo gruppo
rispondono alla domanda: che cos’è? Quelli del secondo alla domanda: che
cosa più di tutto? Quelli del terzo alla domanda: che cosa bisogna fare o non
fare?
Esempi dei primi: Che cosa sono le isole dei beati? Il sole e la luna. Che
cos’è l’oracolo di Delfi? La tetrade, che è anche l’armonia delle
sirene. [Esempi dei secondi:] Qual è la cosa più sapiente? Il numero, e in
secondo luogo quello che ha dato il nome alle cose. Qual è la cosa più
bella? L’armonia. La cosa più potente? L’intelligenza. La cosa ottima? La
felicità. Che cosa si dice con più verità? Che gli uomini sono
malvagi.
Giamblico, De
vita pythagorica 71-3
Chi era stato così da lui esaminato veniva lasciato per tre anni
nell’abbandono, per accertare quale fosse la sua perseveranza e il reale
desiderio di apprendere. Poi imponeva ai suoi aspiranti cinque anni di
silenzio, mettendo così alla prova la loro padronanza di sé. In questo
periodo di tempo gli averi di ciascuno –ossia i suoi beni materiali- erano
messi in comune, affidati ai discepoli a ciò preposti. Se apparivano degni di
essere iniziati alle dottrine, dopo cinque anni di silenzio diventavano per
sempre esoterici, ascoltavano Pitagora dentro la tenda, e potevano anche
vederlo. Prima, fuori della tenda, avevano potuto partecipare alle sue lezioni
solamente ascoltando, senza mai vederlo.
Giamblico, De
vita pythagorica 96-98
Facevano da soli la loro passeggiata mattutina in luoghi dove regnavano
solitudine e adeguata tranquillità. Dopo la passeggiata mattutina si
riunivano preferibilmente nei templi, e impiegavano questo tempo
nell’insegnamento, nell’apprendimento e nell’emendazione del carattere.
Dopo tale occupazione si volgevano alla cura del fisico. A pranzo mangiavano
pane con miele o un favo; per tutta la giornata non bevevano vino.
Dedicavano tutto il pomeriggio agli affari della pubblica amministrazione,
alla politica estera, ai rapporti con gli stranieri.
Nel tardo pomeriggio tornavano di nuovo a passeggiare in gruppi di due o di
tre, per richiamare alla memoria le cognizioni apprese e per esercitarsi negli
studi liberali. Dopo il passeggio prendevano il bagno e andavano al banchetto
comune. Al banchetto seguivano le libagioni e infine la lettura. Era
consuetudine che leggesse il più giovane, e che il più anziano stabilisse
quello che si doveva leggere, e come.
Diogene
Laerzio, Vitae philosophorum VIII, 15
Non erano meno di seicento quelli che andavano ad ascoltarlo di notte: e chi
era ammesso a vederlo, scriveva ai familiari di aver ottenuto una concessione
straordinaria. I Metapontini chiamavano la sua casa Tempio di Demetra, e Museo
il vicolo, come racconta Favorino.
Giamblico, De
vita pythagorica 33-34
Si tramanda dunque che durante il suo soggiorno in Italia e in Sicilia
affrancò e rese libere le città che aveva trovato reciprocamente soggette,
dopo averle riempite dello spirito della libertà per mezzo dei seguaci che
aveva in ciascuna di esse: Crotone, Sibari, Catania, Reggio, Imera, Agrigento,
Tauromenio e altre ancora. A queste diede le leggi ad opera di Caronda di
Catania e Zeleuco di Locri.
Giamblico, De
vita pythagorica 254
Fino a che Pitagora fu pronto a conversare con chiunque gli si avvicinasse, fu
gradito alla città, ma dopo che cominciò a intrattenersi soltanto coi suoi
discepoli, perdette il favore. Perché, se accettavano di essere superati da
lui, straniero, erano irritati con quelli del luogo che apparivano
privilegiati; e insieme sospettavano che si unissero per sopraffarli.
S’aggiungeva poi che quei giovani venivano dalle famiglie più illustri e
facoltose, e che col passare del tempo essi non solo primeggiarono entro la
famiglia, ma divennero insieme reggitori della città, avendo costituito una
grande società (ché erano più di trecento) benché fossero soltanto una
piccola parte della città.
Per parte loro i parenti erano irritati dal fatto che i Pitagorici si
stringevano tra loro la mano, ma non stringevano quella dei loro familiari,
eccettuati i genitori, e usavano in comune delle sostanze, ma ne escludevano
loro. Furono questi gli iniziatori della ribellione; e gli altri prontamente
le secondarono.
Dopo questo, raccoltasi la moltitudine, Cilone e Ninone, il primo di ricca
famiglia, il secondo dei popolari, cominciarono ad accusare i Pitagorici. E
dopo che un lungo discorso d’accusa fu pronunciato da Cilone, l’altro
continuò l’accusa, vantandosi di aver conosciuto i segreti dei Pitagorici.
Diceva insomma che la loro filosofia non era altro se non una congiura contro
il popolo, e li invitava a non lasciarli neppur parlare: non si doveva
lasciare la parola a quelli che avevano cercato in ogni modo di toglierla agli
altri, ma piuttosto usare la forza contro di loro.
Giamblico, De
vita pythagorica 248
Cilone di Crotone era per nascita, per fama e per ricchezza uno dei primi
cittadini, ma era anche aspro e violento e sedizioso e di animo tirannico.
Costui era stato preso dal desiderio di entrare a far parte della comunità
dei Pitagorici, e s’era rivolto allo stesso Pitagora, ma ne era stato
respinto. Aveva quindi, per questo fatto, intrapreso un’aspra guerra coi
suoi amici contro Pitagora e i suoi amici; e cosigrave; violenta fu la guerra
di Cilone e dei suoi compagni, che durò finché ci furono Pitagorici.
Pitagora fu costretto ad andarsene a Metaponto, dove, secondo che si tramanda,
morigrave
Porfirio, Vita
Pythagorae 56
Dicearco e i più accurati scrittori dicono che il complotto fu fatto mentre
Pitagora era a Crotone. E racconta che quaranta dei suoi amici furono assaliti
e presi nella casa di uno di essi; gli altri, che erano i più, furono uccisi
qua e là per la città, dovunque fossero trovati. E che Pitagora, dopo la
sconfitta dei suoi, dapprima si rifugiò nel porto di Caulonia, e poi si
diresse verso Locri, dove, appena giunta la notizia, gli furono mandati
incontro, ai confini del territorio, alcuni anziani. Trovatolo, gli dissero:
"Sappiamo, o Pitagora, che tu sei uomo intelligente e sapiente; ma noi
siamo contenti delle nostre leggi e vogliamo che restino così come sono:
tu dunque, se hai bisogno di qualche cosa, prenditela, ma vattene
altrove". In questo modo fu allontanato da Locri; di lì passò a
Taranto, ove ebbe presso a poco la stessa sorte che aveva avuto a Locri;
quindi passò a Metaponto.
Diogene
Laerzio, Vitae philosophorum VIII, 40
Dicearco dice che Pitagora, rifugiatosi nel tempio delle Muse a Metaponto, vi
morì dopo aver digiunato per quaranta giorni.
Apollonio,
Mirabilia 6
Pitagora di Mnesarco dapprima si dedicò alla matematica e ai numeri, poi si
dette a fare miracoli, come aveva fatto Ferecide. Un giorno a Metaponto,
mentre una nave stava per entrare in porto, […] Pitagora apparve e disse:
"Questa nave vi porterà un morto". Un’altra volta a Caulonia,
racconta Aristotele, preannunciò l’arrivo dell’orsa bianca. E il medesimo
Aristotele scrive di lui molte altre cose: tra le altre questa, che
rispondendo con un morso al morso d’un serpente mortale, lo uccise. E che
predisse la sedizione contro i Pitagorici.
Una volta anche apparve, nello stesso giorno e alla stessa ora, in Crotone e
in Metaponto. Aristotele racconta anche che una volta, in un teatro, si alzò
e mostrò agli spettatori che la sua coscia era d’oro.
Eliano, Varia
historia IV, 17
Pitagora insegnava agli uomini che era nato da semi migliori di quelli dai
quali nascono i mortali; raccontano infatti che fu visto in Metaponto e in
Crotone nello stesso giorno e nella stessa ora. E in Olimpia mostrò che aveva
una coscia d’oro. E ricordò che Millia di Crotone era un tempo Mida di
Gordia, frigio; e accarezzò l’aquila bianca che non fuggì davanti a
lui.
Giamblico, De
vita pythagorica 31
Aristotele racconta che tra i maggiori segreti custoditi dai Pitagorici è
questa distinzione: gli esseri viventi dotati di ragione si distinguono in
dèi, uomini, ed esseri come Pitagora.
Diogene
Laerzio, Vitae philosophorum I, 12
Per primo Pitagora usò il termine filosofia e per primo si chiamò filosofo;
nessuno è infatti saggio, eccetto la divinità.
Cicerone,
Tusculanae Disputationes V, 3,8
Vi sono certe rare persone che trascurano completamente tutto il resto e
studiano attentamente la natura. Questi si chiamano amanti della sapienza,
cioè filosofi, e come nel mercato l’atteggiamento più nobile è fare da
spettatore senza cercare vantaggio alcuno, così nella vita lo studio e
la conoscenza delle cose è di gran lunga superiore a tutte le attività.
Invero Pitagora non solo fu l’inventore del nome, ma diede sviluppo
all’attività stessa.
Porfirio, Vita
Pythagorae 18.
Quello ch’egli diceva ai suoi compagni, nessuno può dire con certezza,
perché serbavano su questo un grande segreto. Ma le sue opinioni più
conosciute sono queste. Diceva che l’anima è immortale, poi ch’essa passa
in esseri animati d’altra specie, poi che quello che è stato si ripete a
intervalli regolari, e che nulla c’è che sia veramente nuovo, infine che
bisogna considerare come appartenenti allo stesso genere tutti gli esseri
animati.
Diogene
Laerzio, Vitae philosophorum VIII, 24
Principio di tutte le cose è la monade, dalla monade nasce la diade infinita,
soggiacente come materia alla monade che è causa; dalla monade e dalla diade
infinita vengono i numeri, e dai numeri i punti, e da questi le linee, e da
queste le figure piane, e da queste le figure solide, e da queste i corpi
percepibili, i cui elementi sono quattro: fuoco, acqua, terra, aria, che
mutano e si muovono attraverso il tutto.
Diogene
Laerzio, Vitae philosophorum VIII, 15
Fino a Filolao non fu possibile conoscere il pensiero di Pitagora; fu Filolao
che divulgò i tre famosi libri, che Platone si fece comprare al prezzo di
cento mine.
Aezio, I 21, 1
Pitagora diceva che il tempo è la sfera di ciò che avvolge le cose.
Aristotele, De
coelo B 13 293 a 18
Per i più la Terra è nel centro. Il contrario affermano gli Italici, detti
Pitagorici. Essi dicono che nel centro è il fuoco, che la Terra è un astro e
che essa, ruotando intorno alla parte centrale, dà origine al giorno e alla
notte. Poi, di contro a questa, dicono che c’è una seconda terra, ch’essi
chiamano antiterra: e questo affermano non già ricercando le cause e le
ragioni nei fenomeni, ma sforzando il significato dei fenomeni e cercando
d’accordarli con alcune loro ragioni e opinioni preconcette. E molti altri,
se non cercassero di trovare certezza nella considerazione dei fenomeni
piuttosto che nei discorsi, si troverebbero d’accordo con loro nel negare
che la Terra si trovi nel centro; perché essi dicono che il posto di maggior
onore spetta alle cose che più sono degne d’onore, e che il fuoco è più
pregevole della terra, e gli estremi più pregevoli delle parti comprese tra
essi; ed estremi sono la circonferenza e il centro.
Aristotele,
Meteorologica A 8. 345 a 13
Dei cosiddetti Pitagorici, alcuni dicono che la via lattea è una strada; e
c’è chi aggiunge che è la via un tempo percorsa da uno degli astri caduto
nella rovina che si dice avvenuta al tempo di Fetonte, altri che è la via
percorsa dal Sole stesso nel suo moto circolare, e che fu arsa o ebbe qualche
altra vicenda quando il Sole la percorreva.
Diogene
Laerzio, IX 23
Favorino scrive che Parmenide sembra essere stato il primo a dire che Vespero
e Lucifero sono la stessa stella; altri dicono che fu Pitagora.
Stobeo,
Eclogae physicae I pr. 6
Pare che Pitagora apprezzasse sopra ogni altro lo studio dei numeri, e che,
traendolo fuori dal servizio dei mercanti, lo facesse progredire, e tutte le
cose paragonasse ai numeri. Poiché il numero contiene tutte le altre cose, e
tutti i numeri sono in rapporto tra loro.
Aristotele,
Metaphysica A 5. 985 b 23
Si dedicarono alle matematiche e per primi le fecero progredire i cosiddetti
Pitagorici. Questi, dediti a tale studio, credettero che i principi delle
matematiche fossero anche principi di tutte le cose che sono. Ora, poiché
principi delle matematiche sono i numeri, e nei numeri essi credevano di
trovare, più che nel fuoco e nella terra e nell’acqua, somiglianze con le
cose che sono e divengono (giudicavano, per esempio, che giustizia fosse una
determinata proprietà dei numeri, anima e mente un’altra, opportunità
un’altra, e similmente, per così dire, ogni altra cosa), e poiché
inoltre vedevano espressa dai numeri le proprietà e i rapporti degli accordi
armonici, poiché insomma ogni cosa nella natura appariva loro simile ai
numeri, e i numeri apparivano primi tra tutto ciò che è nella natura,
pensavano che gli elementi dei numeri fossero elementi di tutte le cose che
sono, e che l’intero mondo fosse armonia e numero. E tutte le proprietà che
potevano mostrare nei numeri e negli accordi musicali, corrispondenti alle
proprietà e alle parti del cielo, e in generale a tutto l’ordine cosmico,
le raccoglievano e gliele adattavano. E se qualche cosa mancava, si sforzavano
d’introdurla, perché la loro trattazione fosse completa. Per chiarire con
un esempio: poiché il dieci sembra essere un numero perfetto e contenere in
sé tutta la natura dei numeri, dicevano che anche i corpi che si muovono nel
cielo sono dieci; e poiché se ne vedono soltanto nove, aggiungevano come
decimo l’antiterra.
Aezio I 3,
8
Diceva che la natura del numero si trova nella decade: infatti tutti i Greci e
tutti i barbari contano fino al dieci, e poi, giunti ad esso, ritornano
all’unità. E la potenza del dieci, diceva, è nel quattro e nella tetrade.
E la causa è questa: se uno parte dall’unità e poi aggiunge numeri
arrivando fino al quattro, compie il numero dieci. In altri termini, se si
pone l’uno e poi si aggiungono il due, e il tre, e a questi il quattro, si
compie il numero dieci. Sicché il numero è per le unità nel dieci, ma
secondo potenza nel quattro.
E la nostra anima, dice, è composta dalla tetrade, essendo intelligenza,
conoscenza, opinione, percezione, donde a noi vengono ogni arte e ogni
conoscenza e la facoltà di ragionare.
Teone di
Smirne, 59.4
Questi accordi alcuni pensavano che fossero originati dai pesi, altri dalle
grandezze, altri dalle vibrazioni e dai numeri, altri dai vasi e dalle
grandezze. Laso di Ermione (e quelli della scuola di Ippaso di Metaponto)
secondo che si tramanda, giudicando che la velocità e la lentezza delle
vibrazioni onde nascono gli accordi fossero esprimibili secondo la serie dei
rapporti numerici, otteneva questi rapporti servendosi di vasi. Prendeva
infatti alcuni vasi tutti uguali, e, mentre ne lasciava uno vuoto, riempiva il
secondo d’acqua fino alla metà; poi li percuoteva entrambi e otteneva il
rapporto di ottava. Quindi, lasciando ancora vuoto uno dei vasi, riempiva
l’altro per una quarta parte, e poi ancora li percuoteva entrambi e otteneva
l’accordo di quarta; l’accordo di quinta l’otteneva quando riempiva il
vaso per la sua terza parte. Il rapporto tra il vuoto di un vaso e quello
dell’altro era dunque di 2 a 1 nell’accordo di ottava, di 3 a 2
nell’accordo di quinta, di 4 a 3 nell’accordo di quarta.
Scholia
in Platonis Phaedrum 108 D
Perché avendo un certo Ippaso costruito in bronzo quattro dischi di uguale
diametro ma di diverso spessore (ché lo spessore del primo era i 4/3 di
quello del secondo, i 3/2 di quello del terzo e doppio di quello del quarto),
e producendo questi dischi, quand’erano battuti, suoni armonici, Glauco, per
quanto si dice, osservata l’armonia dei suoni prodotti dai dischi, per primo
si servì di essi per suonare: ora è appunto da questa sua attività che
ancora si dice "arte di Glauco".
Proclo, In
Euclidem I 47
Nei triangoli rettangoli il quadrato costruito sull’ipotenusa è equivalente
alla somma dei quadrati costruiti sui lati che formano l’angolo retto. Se si
ascoltano i ricercatori di cose antiche, che attribuiscono questo teorema a
Pitagora, si troverà anche che alcuni dicono che egli sacrificò un bove per
questa scoperta.
Proclo, In
Euclidem I 32
Se si prolunga uno dei lati di un qualsiasi triangolo, l’angolo esterno è
uguale alla somma dei due angoli interni opposti, e la somma dei tre angoli
interni del triangolo è uguale a due retti. Il peripatetico Eudemo
attribuisce ai Pitagorici la scoperta di questo teorema.
Proclo, In
Euclidem I 44
Applicare a un segmento dato in un angolo uguale a un angolo dato un
parallelogramma equivalente a un triangolo dato. Eudemo dice che queste
scoperte: l’applicazione delle figure e l’iperbole e l’ellisse sono
antiche, e dovute alla musa dei Pitagorici.
Proclo, In
Euclidem 65, 11
Pitagora si dedicò allo studio della geometria, e le diede forma di
educazione liberale, ricercandone i principi primi e investigandone i teoremi
concettualmente e teoreticamente: per primo egli trattò poi
dell’irrazionale e trovò la struttura delle figure cosmiche.
Giamblico, De
communi Mathematica scientia 25; De vita pythagorica, 88
Dicono che Ippaso era un pitagorico, che divulgò e descrisse la sfera formata
dai dodici pentagoni, che morì per questa sua empietà in un naufragio,
e che ebbe fama d’aver fatta lui la scoperta, mentre tutte le scoperte erano
di "quell’uomo", come senza nominarlo chiamano Pitagora.
Giamblico, De
vita pythagorica 246-247
Dicono che colui che per primo divulgò la natura della commensurabilità e
dell’incommensurabilità a uomini che non meritavano d’essere messi a
parte di queste conoscenze, venne in tal odio agli altri Pitagorici, che
questi non solo lo cacciarono dalla comunità, ma anche gli costruirono un
sepolcro come se fosse morto, lui che una volta era stato loro amico. Altri
aggiungono che anche la divinità s’adirò con quelli che avevano divulgato
la dottrina di Pitagora; che perì come empio in mare colui che rese noto come
la figura dell’icosagono (cioè del dodecaedro, che è una delle cinque
figure solide) si può inscrivere in una sfera. Altri ancora dicono che ebbe
questa sorte colui che parlò ad altri dei numeri irrazionali e
dell’incommensurabilità.
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