I riti delle erbe nel Candomblé

di Ardath Lili





 


Senza le foglie gli Orixas non esistono
Detto popolare

 

Parlare di Jogo de buzios nel Candomblé senza citare gli ebò non è possibile: l’offerta compiuta a favore degli Orixas è infatti un elemento costitutivo della divinazione, una parte integrante, un tutt’uno con l’operazione effettuata dal pai de santo. E’per questo che la gente del candomblè usa dire: “Niente è ottenuto se niente viene offerto!”.

Attraverso il Jogo de Buzios non si ha soltanto la decifrazione religiosa del quesito posto, ma anche, proprio grazie alla prescrizione dell’ebò, la via per la sua soluzione.

Pertanto l’ebò è uno dei principali e più importanti elementi dell’operazione divinatoria: il Jogo de buzios termina soltanto dopo la sua prescrizione.

Per definire l’ebò, chiamato volgarmente macumba (il termine è universalmente noto ed è usato anche come sinonimo impreciso di Candomblé) è un qualunque tipo di lavoro, di preparato, di offerta, che si fa per una necessità forzata, per un obbligo da assolvere, per un ordine del pai de santo che mutua, ovviamente, attraverso il jogo de buzios, il parere degli dei.

Per fare un esempio, il bori stesso, il rito del “dar da mangiare alla testa”, che serve a rafforzare l’orixa che si sta installando o si è installato nel corpo della persona, è un ebò impegnativo, che viene richiesto ad esperti.

Se viceversa un individuo è estraneo al candomblè, il pai de santo solitamente prescrive un trattamento più semplice che comporti un impegno moderato: per esempio una limpeza (purificazione), da effettuarsi con oggetti e alimenti simbolicamente passati sul corpo della persona e despachados (allontanati) in un incrocio; l’acquisto di un animale a due zampe (un volatile), che viene fatto passare sul corpo della persona e poi lasciato volare per portare via gli influssi negativi.

Per aver chiaro il concetto di ebò e per comprenderlo fino in fondo è necessario anche intendere bene l’importanza che l’elemento vegetale riveste in ogni atto del candomblè e l’intima relazione tra le piante, orixas e uomini.

Se in Africa questa relazione era, e in certi casi è ancora, ben radicata, con l’arrivo nel Nuovo Mondo i rappresentanti del continente nero (gli schiavi) dovettero necessariamente adattare le loro concezioni alle nuove specie vegetali con cui entrarono in contatto.  

L’universo misterioso che si apriva agli occhi di questi schiavi necessitava di una grande capacitò di adattamento culturale, perché non si spegnesse per sempre quel patrimonio di credenze che è arrivato fino a noi con il nome di candomblè.

Alcuni schiavi tentarono di trasportare in America, insieme al sangue, al sudore e alle divinità. anche piante africane come il pepe della Guinea (Xilopia aethiopica) o la cola (Cola acuminata).

La conoscenza e l’uso delle specie vegetali servirono, tra l’altro, come elemento “differenziatore” e di contestazione in tutto il periodo schiavista, nel senso che questa conoscenza specifica, patrimonio degli africani, servì per la costruzione di un’identità diversa al cospetto della cultura dei colonizzatori.

Ogni pianta è in relazione ad un Orixas e tanti miti lo testimoniano.

Per esempio, secondo una leggenda ioruba, Ogum, Oxossi, Ossami ed Exu avevano stabilito il loro punto d’incontro presso un Irokò (Ficus maxima).

Ovviamente questo albero ha assunto oggi, presso il povo de santo, importanza e valenza sacra. Ossami, divinità della vegetazione (rappresentato simbolicamente con un’asta sormontata da un passero), secondo il mito schiavo di Ifa, l’orixa della divinazione, si sarebbe rifiutato di tagliare qualunque tipo di erba, cosciente del fatto che ognuna di queste aveva capacità terapeutiche.

Simbolicamente questo rifiuto è stato trasportato in Brasile, fino a rappresentare un processo di resistenza degli schiavi al dominio dei loro signori. Irokò e Apaoka (protettore della jaqueria, l’albero del pane) sono inclusi come veri e propri orixas nel ciclo delle feste dedicate a Oxala.

Ai tempi della schiavitù i padroni bianchi, semplicemente interessati all’aspetto terapeutico di alcune piante, avevano agito in modo che si mantenesse il patrimonio di conoscenze che il nero portava con sé e che gli serviva per illudersi di aver mantenuto l’identità del proprio popolo.

Nel candomblè, al di là delle accertate qualità terapeutiche di alcune piante, è la valenza magico-religiosa di tutti gli atti connessi alla scelta, alla raccolta e alla preparazione delle piante ad essere fondamentale.

Esiste un detto yoruba, molto conosciuto e ripetuto quando un preparato medicinale (per esempio un bagno di erbe) non risolve il problema per cui è stato prescritto:

 “Ewè, njè
Ogun njè.
Ogun ti ojè,
Ewè rè ni kopè

 Ovvero

“Le foglie funzionano,
la medicina funziona.
Se la medicina non funziona,
è perché è sbagliata la foglia

 

La raccolta

 Il rito della raccolta è circondato da mistero e soggetto a prescrizioni magiche. Innanzitutto le piante che si intendono utilizzare non possono essere coltivate, ma devono crescere spontaneamente; in secondo luogo, l’operazione deve essere compiuta in determinati momenti della giornata e solo da personaggi particolari che compiono specifiche operazioni (es. deporre un’offerta di monete nei pressi delle piante).

Le erbe devono essere raccolte in un luogo determinato, e occorre raccoglierle in ore prestabilite, dopo aver chiesto il permesso a ossami, che richiede anche un pagamento. Per questo vengono lasciate accanto alla pianta tagliata delle monetine.

Lo speciale incaricato per questo ruolo di raccoglitore si chiamava babaloysan o babalossaiam, padre delle foglie, e suo era il privilegio della detenzione della sabedoria, ossia della conoscenza delle piante.

Ora questa conoscenza appartiene al pai o mae de santo, ed è una delle attribuzioni che difficilmente vengono delegate.

Così ogni sacerdote può spiegare, in modo coerente rispetto alla sua visione totale e onnicomprensiva, che anche il mondo vegetale è diviso e relazionato ai quattro elementi.

La magia delle parole della formula magica impiegata e imprescindibile, se si vuole ottenere una reale efficacia farmacologia.

Si chiama Orin Ewè la cantica delle foglie: conoscere questa significa entrare realmente nella vita del candomblè.

Le piante, infatti, vengono associate a tutte le fondamentali operazioni del rito, e non solo come offerte agli orixas.

  

Una pianta, un Orixa

 Nel sistema classificatorio del candomblè sono le foglie (e non fiori o frutti) a determinare e a qualificare ciascuna specie vegetale. A parte Ossaim, padrone e patrono di tutta la vegetazione, gli orixas maschili vengono associati a quelle piante le cui foglie hanno forma allungata (assimilazione alle armi come la lancia o la spada con le quali questi orixas sono rappresentati) il cui colore è scuro, il cui aroma è acre o intenso.

E non può sfuggire il simbolismo sessuale, che vede le forme vagamente falliche delle foglie come patrimonio maschile, mentre le foglie allargate, carnose, umide sono associate al sesso femminile.

Ecco allora che la sansevieria (Sansevieria zeilanica), una pianta ornamentale, rappresenta la spada di Ogum; la pianta di cotone (Gossypium bardadense) è ovviamente la pianta del candido e puro Oxala, mentre la “foglia del fuoco” (Clidemia hirta), dal colore rosso fuoco, è la pianta del maestoso e virile Xango.

La pianta dell’orixa Iroko è la gameleira (Ficus maxima), albero comune e famoso. 


Sansevieria zeilanica
 


Gossypium bardadense
 



Tancetum vulgaris

Viceversa gli orixas femminili, che mantengono un forte legame con l’elemento acquatico, sono correlati con le piante dalle foglie allargate, dal colore chiaro, dal profumo dolce come tanaceto o atanasia (Tancetum vulgaris).

Le foglie sono portatrici delllaxè, la forza sacra che si incontra in ogni elemento della natura: nelle piante, dalle quali si estrae la resina e la clorofilla, e negli animali, ai quali si può sottrarre sangue. Tuttavia le foglie liberano la loro forza magico-religiosa, l’axè, solo dopo una cerimonia di sacralizzazione, la sessanha, realizzata con la preparazione dell’amaci, che si compie macerando con le mani le foglie nell’acqua.

L’amaci è destinato a bagnare la testa degli iniziati, le zampe e le corna degli animali che saranno sacrificati, gli oggetti sacri, le collane rituali dei fedeli.

Questa purificazione di uomini o di oggetti può avere sia finalità strettamente rituali che scopi specifici, come la cura delle malattie, l’allontanamento della malasorte, la purificazione degli ambienti.

La sessanta (il termine deriva da Ossaim) consiste in una sequenza di canti durante i quali le foglie venfono triturate dal pai de santo, che le strofina tra le mani mescolando la massa vegetale con acqua, e colloca poi il tutto in un grande vaso di ceramica che viene usato in diverse occasioni.

Seduto sul terreno, il sacerdote canta di fronte ai propri filhos e questi ripetono varie volta la stessa cantica finchè le foglie non sono totalmente triturate.

I canti sono accompagnati dal ritmo dell’adjà, la campanella composta da due o più coni metallici.

In occasione delle grandi feste, la sessanha può essere accompagnata dal ritmo degli atabaques, i tamburi rituali. Tutti, tra una cantica e l’altra, gridano: “Ewè Ossaim!” (Salve, orixa delle foglie!).

Per ognuna delle foglie esiste una cantica specifica, in lingua rituale di origine ioruba. Il testo si riferisce alle virtù delle piante e al significato di ognuna.

Per esempio: 

Il basilico (Ocinum minimum) chiamato in ioruba efinrin, è una foglia che allontana le negatività e protegge contro i feticci degli stregoni e delle streghe, le Iya Mi Oxoronga.

La cantica dice: 

“Osho ile e ba jo mi si
Aje ile e ba jo mi si.”

 (Stregone che giri in questa casa allontanati, strega della casa vattene). 


Dracena fragrans

 La dracena (Dracena fragrans) appartiene a Ogum e in certe località a Orumilà-Ifa, il patrono delle divinazione. E’ considerata la foglia del segreto, della sapienza, ma anche della guerra.

Si dice che sia molto potente e, quando si canta per lei, tutti i presenti poggiano la testa a terra in segno di rispetto.

 “Peregun susu ni se awo igbodu
Peregun susu ru se awo igbodu”

(La rigogliosa dracena è il segreto della sapienza, la tigliosa dracena è il segreto della conoscenza del destino).
 



Datura fastuosa

Discorso a parte meritano la piante dagli effetti allucinogeni o il cui stormire evoca il vento. Queste piante, come il “legno di ferro” (Casuarina equisitifolia) o la datura d’Egitto (Datura fastuosa) sono le piante della sensuale, violenta  e misteriosa Iansa.

Le foglie sacre sono tanto importanti che la frase che segue è spesso ripetuta dagli adepti del canmblè come una specie di avvertimento affinché non venga perduta la tradizione del culto delle foglie:

 KOSSI EWE’

KOSSI ORISHA

 

 

Bibliografia:
B.Barba, La Divinazione nel Candomblè

Immagini tratte dal web